Giampaolo Crepaldi Arcivescovo di Trieste
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Gustav Vigeland, Vigeland Park Oslo |
Nelle vicende accadute al piccolo Alfie Evans, che tutti seguono con grande apprensione e partecipazione, colpisce e preoccupa il fatto che i comportamenti corretti da assumere fossero molto chiari e che, nonostante ciò, ci si sia accaniti a non metterli in atto. In questo caso il giudizio morale si imponeva senza molti margini di discrezionalità: la vita del bambino doveva essere salvata e tutti gli interessati, familiari e personale sanitario, avrebbero dovuto aiutarlo a vivere, pur nella estrema precarietà della sua situazione clinica. Certo, la situazione era ed è complessa, per il convergere di tante situazioni di tensione emotiva, di pena e di umana compassione. Mal dal punto di vista del giudizio morale non era e non è complessa, in quanto si dà il dovere di aiutare a vivere. Né gli interventi medici nei suoi confronti erano qualificabili come accanimento terapeutico. A maggior ragione, quindi, stupisce e preoccupa l’atteggiamento di non tenere conto di queste elementari considerazioni di buon senso etico e di costruire degli artificiosi e contradditori paradigmi morali secondo i quali il “bene” del bambino avrebbe dovuto consistere nella sospensione della ventilazione, ossia nella sua morte. Come provocare la morte possa essere fatto in vista del “bene” di un bimbo innocente rimane una contraddizione logica ed etica difficile da spiegare.
C’è poi un altro elemento in questa triste vicenda che risulta molto chiaro al buon senso naturale, vale a dire che lo Stato, nemmeno tramite le sue magistrature come sono i giudici nei tribunali, può sostituirsi al diritto naturale. La sentenza che ha ordinato la morte di Alfie tramite un atto eutanasico non ha rispettato il diritto naturale almeno in due punti: ha decretato la morte di un innocente, cosa che la coscienza di tutti i popoli ha sempre condannato come immorale, e ha sottratto il bambino alla potestà dei genitori, affidandolo allo Stato che, in qualche modo, è diventato “padrone” del piccolo. Si tratta di due aspetti molto preoccupanti, che gettano una luce torva sul futuro di noi tutti. Lo Stato, attraverso i suoi magistrati, e nonostante la legge britannica non preveda l’eutanasia per i minori, si è sostituto alla volontà dei genitori, ha come segretato il bambino, ha impedito il suo trasferimento e infine ha messo in atto la sospensione della ventilazione. E’ chiaro che un simile potere non può appartenere a nessun Stato e se così fosse tutti sarebbero in pericolo.
Il giudizio morale da darsi e il corretto comportamento da assumere erano e sono quindi chiari e privi di incertezze. Proprio questo però rende molto allarmante il fatto di non averli seguiti. Ciò sta a significare che in questo caso si è perso il contatto con la realtà e la coscienza, con le verità del senso comune, dimenticando cosa sia il bene in senso oggettivo. Più le verità sono ovvie e più preoccupa se non vengono rispettate e seguite perché significa che le nostre categorie mentali e morali stanno cambiando in peggio.
Davanti a simili fatti, chi si occupa di Dottrina sociale della Chiesa, di giustizia e pace nella società umana, sperimenta come un fallimento. Nel lettino del piccolo Alfie tutti i principi della Dottrina sociale della Chiesa sembrano naufragati. Il bene comune svanisce se si uccide un innocente, non come fatto accidentale ma come obiettivo voluto e ufficialmente decretato dall’autorità. Non c’è sussidiarietà se lo Stato si impossessa di una bimbo sottraendolo ai genitori. Non c’è solidarietà se il bene di Alfie è stabilito da un giudice secondo le proprie categorie di qualità della vita. Non c’è scelta preferenziale per i poveri se è proprio un povero bambino ad essere assassinato. Non c’è dignità della persona umana se la vita viene così calpestata. La sentenza su Alfie ha eliminato il diritto naturale, ha fatto piazza pulita del diritto a fare obiezione di coscienza, ha raso al suolo il concetto di oggettività del bene. Rimane solo l’oggettività del potere del nuovo Leviatano. Anche a tutto ciò si sono opposti coloro che, in varie forme, hanno manifestato la loro solidarietà al piccolo Alfie e alla sua famiglia, tra cui anche il Santo Padre Papa Francesco.
Ma non sarà la sentenza di un giudice, né l’azione di un governo, né la decisione di un ospedale a cambiare la verità e il bene. La sentenza inglese e quanto ne è seguito e ne segue non tengono conto né della verità né del bene, ma così ne testimoniano ugualmente in forma negativa la necessità e l’urgenza. La società che ha condannato a morte Alfie ha vita breve, bisogna continuare a preparare il futuro.
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