Centro Studi Rosario Livatino
Oggi
l’accanimento non è terapeutico, ma per la morte. E non è un problema soltanto
inglese
Aprile
28, 2018
Alfie Evans,
grave disabile di 23 mesi, in continuità con quanto da oltre 15 anni viene
praticato in Belgio e in Olanda, ha raccontato oltre ogni dubbio che oggi il
criterio decisivo nei confronti di chi soffre non è più nemmeno l’autonomia o
l’autodeterminazione, bensì la convenienza sanitaria e sociale di sopprimere
una vita qualificata come inutile.
Marc Chagall, Blue Angel |
Dal suo lettino Alfie, pur
non parlando, ha mostrato che il vero accanimento oggi esistente non è quello
c.d. terapeutico, ma è quello per la morte, che passa per le aule di giustizia
di ordinamenti formalmente democratici.
E che il dibattito non è fra chi ha pietà e chi non ne ha: il
dibattito è fra chi lascia l’individuo solo nelle mani dello Stato e chi sa che
per vivere è necessaria la speranza, specie nelle prove, come hanno testimoniato i suoi genitori.
Non è un
problema solo inglese: non trascuriamo
che in Italia la legge 219/2017 riconosce, ai fini della permanenza in
vita, “disposizioni” date “ora per allora”, qualifica cibo e acqua come
trattamenti sanitari, se somministrati per via artificiale, contiene norme
pericolose per i minori e per gli incapaci, nega l’obiezione di coscienza ai
medici e obbliga anche le strutture non statali. Riprendendo peraltro quanto
già affermato dalla giurisprudenza nel caso Englaro.
La speranza – dei pazienti, dei parenti, di chi li affianca con
generosità – non la danno né lo Stato né i giudici né la legge: possono però
oltraggiarla e schiacciarla, come è accaduto da ultimo a Liverpool. Il piccolo
Alfie sollecita tutti a impedire che ciò avvenga.
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