Davide Rondoni
Fa bene il mio amico Alessandro D’Avenia nella sua rubrica del lunedì sul
Corriere della Sera a richiamare ieri che la
scuola non è un problema sanitario, e che la vita in classe non dipenderà
dalla emergenza sanitaria ma dal significato che gli daremo. E che non contano
gli oggetti (banchi singoli, tablet etc) ma i progetti con cui verranno usati. (*)
Dice che la scuola può esser luogo di relazioni
generative. E però dice anche che l’ "emergenza sanitaria non ha
debilitato il sistema scolastico, ma ne ha reso evidente lo stato
comatoso". Alessandro è un bravo scrittore e quindi sa che se di una cosa
si dice che è in "stato comatoso" poi è difficile sperare che lì
fioriscano relazioni generative. Certo, queste dipendono dalle persone, ma se
un sistema è “comatoso” significa che le persone che al suo interno vogliono
dar vita a qualcosa di generativo fanno molta, troppa fatica, ai limiti
dell’impossibilità.
E allora verrebbe da chiedere un po’ di coraggio all’Alessandro che scrive
di ragazzi e scuola sul Quotidiano dei Signori: non cavartela dicendo che lo
stato “comatoso” dipende da “tagli e operazioni sbagliate” compiute da governi
di diversi colore. Questo è solo una parte di verità che dicono anche politici
e politicanti.
Lo stato
comatoso dipende ben di più dall’impianto ideologico su cui la scuola è
edificata. I dogmi indiscutibili sono:
primo,
enciclopedismo illuminista (come se cultura fosse sapere – male – di tutto un
po’) e negazione del talento individuale,
secondo
dogma è lo statalismo e la conseguente riduzione dei docenti a funzionari
spesso frustrati.
Il terzo
dogma è una tendenza allo “scuolacentrismo” come se a scuola ci si dovesse
occupare di tutto (eccetto che di arte e di educazione del gusto) e cosí tener
occupati i ragazzi invece che favorire il loro rapporto con la società e con
gli adulti fuori dalla scuola.
Parlare
anche d’altro è utile, divagare no.
Da Il
resto del Carlino 8/9/2020
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