martedì 29 settembre 2020

L’AMMIRAZIONE COME CONOSCENZA

Fernando De Haro

Il libro El Abrazo (L’abbraccio) di Mikel Azurmendi, pubblicato un paio di anni fa in spagnolo, è uscito in italiano. L’autore, che è stato professore nell’Università dei Paesi Baschi e a Parigi, antropologo e saggista, in occasione di questa nuova edizione ha ripercorso il suo itinerario di avvicinamento al cristianesimo in un documentario-intervista  presentato al Meeting di Rimini.


Nella sua infanzia, il padre lo educò molto presto a lavorare duramente. Due ore prima di entrare a scuola e due ore dopo l’uscita lavorava nella rivendita di carbone della famiglia. Lì imparò a fare bene le cose e a continuare a farle fino a che non erano realmente completate. Entrò molto giovane nel seminario di San Sebastian, ma a 21 anni il cristianesimo aveva già cessato di essere qualcosa di significativo e si era ridotto a un riferimento mitico e a delle regole. Ciò che veramente lo interessava in quel momento – siamo negli anni ’60 – era la giustizia sociale, che considerava però impossibile sotto il regime franchista. Così se ne andò via dai Paesi Baschi e viaggiò in Francia e Germania.

Stava lavorando in una fabbrica, un lavoro molto duro, quando fu contattato da uno dei membri dell’ETA, l’organizzazione terrorista che stava nascendo proprio in quel periodo. Azurmendi entrò nell’organizzazione e tornò in Spagna lavorando come scaricatore per raccogliere nuovi adepti.

Tuttavia, si scontra presto con ciò che realmente significa il terrorismo. In una riunione del suo gruppo si vota se si deve uccidere una persona e per un solo voto ” la sua vita è risparmiata”. Questa esperienza lo segnerà per sempre, perché gli ripugna profondamente attentare alla vita, l’uccidere o l’essere ucciso. Quando nel ’68 avviene il primo omicidio organizzato dall’ETA, il terrorista che lo commette è uno dei giovani che aveva arruolato e si rende conto che lui stesso avrebbe potuto essere l’assassino. Da quel momento inizia una lotta contro l’ETA che segnerà buona parte della sua vita. L’organizzazione non gli perdonerà mai la sua opposizione e le minacce continueranno per molti anni e per un certo periodo dovrà anche utilizzare una falsa identità.

Azurmendi ha vissuto intensamente, non è stato un professore isolato in una sua bolla. In tutti i suoi libri vibra un’intensa ricerca. Alcuni anni fa, per una serie di rapporti assolutamente fortuiti, arrivò come relatore all’Encuentromadrid, ma si trovò in difficoltà nel partecipare alla tavola rotonda alla quale era stato invitato. Gli era difficile, infatti, prendere parte a un dialogo con cristiani, ma alla fine, per una questione di lealtà personale, decise di intervenire. Profondo conoscitore della filosofia moderna e contemporanea, Azurmendi sviluppò in quella occasione una lucida critica al pensiero illuminista.

Sorpreso da coloro che lo avevano invitato, incominciò lo studio di quella che definisce una “tribù molto speciale”, la tribù di Comunione e Liberazione, ed è questo studio che ha portato a El Abrazo. Come antropologo aveva già prodotto lavori simili, per esempio con i migranti di una località del Sud della Spagna, ma questa volta ha cambiato il metodo. Il punto di partenza non era quello già utilizzato da Durkheim o Weber, che si avvicinano ai fenomeni umani cercando la migliore quantificazione e la massima obiettività con distacco.

Il suo sguardo si era riempito di sorpresa, una sorpresa che si convertì subito in ammirazione e nel desiderio di volersi identificare con quello che aveva incontrato. Il punto di partenza divenne quindi la ricerca delle ragioni del suo stupore, di ciò che lo obbligava a ripensare se stesso, a riconsiderare l’io che stava guardando. Si era lasciato dietro il distacco e la neutralità teorica che, per principio, avrebbe dovuto rispettare.

Così, El Abrazo si trasforma in un viaggio appassionante pieno di incontri con persone che gli raccontano le loro storie, che Azurmendi coglie nel loro lavoro quotidiano come giornalisti, professori, come padri e madri di famiglia.


Uno dei momenti più intensi dell’opera è il racconto di un gesto di caritativa con un gruppo di drogati, in uno dei quartieri più degradati di Madrid. In prospettiva qui c’è poca utilità sociale, molti dei drogati non cambieranno la loro vita, ma ciò che cambia è la vita dei “membri della tribù”. E le domande si intensificano, si fanno più nette.

Azurmendi ammira Wittgenstein, ha letto e riletto i suoi diari. Perciò, quando trova in un libro di Carron una citazione del filosofo che pare giustificare il suo agnosticismo, capisce che ciò apre una sfida e non vuole ripetere la risposta che si diede Wittgenstein.

Considera quindi come plausibile l’ipotesi che la tribù che sta studiando abbia la sua origine nel Risuscitato. Dall’ammirazione per la tribù passa all’ammirazione per l’origine della tribù.

Azurmendi in italiano. Non conviene perderlo.  

 

Da Ilsussidiario.net

 


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