La condanna fa notizia all’estero. In Italia, no
Il Papa non parla di migranti o d'ambiente ma condanna la cancel culture e quindi, in Italia, non fa notizia. Dov'è la novità? Si dirà: è la routine dal marzo del 2013. In effetti, mentre all’estero, sulla laicissima stampa internazionale - davvero laica, quella, non troppo interessata a essere cooptata adorante nelle sacre corti - la notizia era la denuncia cristallina fatta dal Papa del’ideologia che in nome di una riscrittura della storia abbatte le statue e invoca la parità di genere sui monumenti che adornano le piazze.
Si guardi Bloomberg,
ad esempio, che scrive senza troppe perifrasi che “il Papa denuncia la cancel culture come forma di colonizzazione
ideologica”.
Qui da noi, nulla. Il Corriere della Sera ha però intervistato una suora attiva nel campo lgbt che ha ricevuto una lettera di Francesco. Lei, ovviamente emarginata da san Giovanni Paolo Il - che fino ai 2013 era “santo subito” e quello di “Jesus Christ you are my life” a Tor Vergata anno 2000 e ora è l’emblema dell’oscurantismo reazionario - ora è riabilitata da Bergoglio.
E’ l’ultimo capitolo della narrazione melensa e rintronata che da otto anni e mezzo ritrae Francesco come un liberatore della Chiesa dai lacci dell’insostenibile passato, castigatore dei costumi dei perfidi conservatori e rivoluzionario per definizione. Un gioco che risulta facile se si omette di ricordare ogni bordata papale - ed è solo un esempio - contro il gender considerato “une sbaglio delia mente umana che fa tanta confusione”, una “bomba atomica”, “l’espressione di una frustrazione che cancella le differenze".
Si porta meglio, comunicativamente parlando, il santino di un Papa lassista, che entra in un negozio di dischi a Roma (ieri sera era la notizia più commentata sul social), un “Papa buono” del Terzo millennio, ottimo profilo per fiction da prime time tra preti in bicicletta e suore canterine.
Anche questo, in fin dei conti, è un po' il segno dei tempi.
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