lunedì 15 ottobre 2012

PAPA' DIMMI CHE E' VALSA LA PENA VENIRE AL MONDO

La FONDAZIONE SACRO CUORE DI CESENA ha ricordato i suoi 25 anni di esistenza invitando a CESENA il prof. FRANCO NEMBRINI, educatore di lungo corso, attualmente rettore della scuola paritaria "La Traccia" di Bergamo.


Il problema dell’educazione sono gli adulti, non i figli. Perché questi ultimi fanno solo il loro mestiere, cioè ci guardano. E cosa vedono? «Uomini e donne impauriti, spaventati dalla vita e dal ragazzo adolescente, che prende le distanze dai genitori, come è invece augurabile che sia. E la madre cosa fa? Si inventa un falso profilo su Facebook per “avere l’amicizia” e farsi dire dal figlio ciò che a un genitore non racconterebbe mai». Come a dire: devo controllarti perché fuori il mondo è brutto e cattivo. Senza capire che «le paure o le tristezze dei figli sono frutto di quelle dei genitori. “Papà, assicurami che è valsa la pena venire al mondo”, ci chiedono continuamente, ed è a questo livello che gli adulti hanno un’incertezza radicale». È il rapporto tra adulti, quindi, che non tiene: «Di più: è fragile la persona nel suo rapporto con la realtà, non si è più convinti che la vita ha un significato buono».
 
FRANCO NEMBRINI
 
Presentazione del libro “DI PADRE IN FIGLIO” conversazioni sul rischio di educare
 
Da dove si comincia a presentare un libro che non ho scritto, adesso spiego il perché, e dopo le parole che ha detto don Pino? Allora cominciamo a dire che quello della foto non sono io trent’anni fa o come qualcuno mi ha detto 30 chili fa. E’ una foto d’archivio, non sono questo meraviglioso padre della copertina. Non l’ho scritto io questo libro, io faccio due osservazioni molto elementari adesso, perché mi sembra che le preoccupazioni sollevate da tutto questo …Mi vergognavo un po’ stamattina a venir qui, ho sentito qualcosa, poco, di questo Meeting e di questa sfida sulla certezza, la vita che diventa un’immensa certezza, e quel poco che ho sentito è di una profondità di una …l’incontro di ieri. Ma avevo anche sentito in televisione la presentazione di Chesterton, da parte di Ubaldo Casotto, insomma sono state dette cose in questo Meeting rispetto alle quali questo libretto mi fa vergognare. E però due osservazioni, giusto per farvi venire, se mai vi verrà la voglia di leggerlo, due osservazioni vale la pena farle, perché almeno questo vorrei riuscire a dire: che tutto il tema della certezza è esattamente il tema dell’educazione. L’educazione è il verificarsi delle condizioni, l’educazione è un avvenimento misterioso, attraverso il quale è testimoniata, e per ciò condivisa e perciò vivibile, la vita come immensa certezza. Contro, unico punto di baluardo, di resistenza, a un relativismo, a una incertezza su di sé e sulla realtà che mi sembra essere la grande fatica dei nostri figli e di queste nuove generazioni. Dico sempre che non ho mai visto soffrire tanto una generazione di giovani, non li ho mai visti soffrire così per diventare grandi. Una generazione che soffre tremendamente. Ma di che cosa?
Soffre di una debolezza di proposta, di una debolezza di ipotesi, di una debolezza di testimonianza, di una mancanza di padri, se volete, come è stato detto prima. E per ciò soffre di un deficit di realtà. Un ragazzo di 16 anni, qualche mese fa, mi ha detto: “la tua è una generazione fortunata, perché a voi è stata portata via soltanto la fede, a noi, invece, hanno portato via la realtà, cioè la condizione stessa della fede, ci avete lasciato soli con i nostri pensieri”. E’ la definizione più terribile che si possa dire, e più sincera e più vera, della condizione con cui vengono su i nostri figli oggi. Un deficit di realtà, un’incertezza sulla realtà, un’incertezza sul dato, sul dato, sulle cose, un’incertezza perfino sulla materia. Educare vuol dire invece dare testimonianza di questa certezza. Io ve lo dico, ve lo ricordo in cinque minuti, in un modo che mi sembra simpatico e semplice, dicendovi la storia del titolo di libro. Perché è stata una storia interessante e controversa, perché il titolo che io avevo immaginato, lo devo dire, perché lo dico nel libro in tantissime occasioni, e quindi lo devo proprio giustificare. In molte occasioni dico che se un giorno scriverò un libro sull’educazione, lo vorrei intitolare: “ho visto educare”. Ho visto educare, poi il titolo è stato cassato dagli amici e da chi se ne intende, perché ritenuto troppo criptico, troppo difficile, non immediato. A me pareva bellissimo però …E mi pareva bellissimo perché diceva già nel titolo il contenuto: l’educazione è il contrario della preoccupazione di insegnare qualcosa a qualcuno. L’educazione è un qualcosa infinitamente più semplice e più grande e più bella e più libera. L’educazione è che uno partecipa alla manifestazione della verità, sbatte il muso con una eccedenza di umanità. Con una bellezza che, insomma usate i termini che volete, incontra, se preferite, incontra qualcosa o qualcuno e dentro quell’incontro sente il proprio io risorgere. L’io nasce e rinasce in un incontro, questa possibilità che l’io rinasca continuamente in un incontro si chiama educazione. E perciò vuol dire che l’educazione può essere solo un fatto presente.

Butto lì, sono cose raccontate e spiegate in mille modi nel libro perché, come vi dicevo, non l’ho scritto io, l’abbiamo scritto insieme. Sono sbobinature, sono resoconti di incontri fatti con voi, in assemblee di genitori, nelle scuole, nei collegi docenti e di volta in volta vi accorgerete, leggendolo, che la volta dopo, racconto e cerco di capire con i miei interlocutori quello che mi è accaduto la volta prima, quello che ho visto in una scuola, quello che ho visto in una casa. In questo senso veramente sento di non aver scritto io, perché il libro rende conto e descrive, attraverso tanti esempi, un tentativo, un dramma, che non è mai definitivamente chiuso, per nessuno, né per chi fa l’insegnante, né per chi fa il genitore, perché educare, come è stato detto, è l’avventura della vita, è il mestiere dell’uomo, non è il mestiere dell’insegnante o del genitore. Farsi compagnia verso il proprio destino, fare dell’esistenza un’immensa certezza è il compito dell’uomo, è persino il compito di Dio, è quel che Dio è venuto a fare sulla terra. E’ la ragione per cui è nato Gesù, far compagnia agli uomini e introdurli nella realtà, fino al suo significato. Questo è quello che è venuto a far Dio, a rendere possibile questo. Ecco, io l’ho visto in tanti maestri e in tanti testimoni che la vita mi ha fatto incontrare, hai quali, in qualche modo, il libro è anche dedicato. L’ho dedicato naturalmente al mio papà e alla mia mamma. L’ho dedicato alla mia insegnante di italiano, di cui ho parlato tante volte, che mi fece innamorare di Dante e del mestiere di insegnante. E l’ho dedicato al don Gius, che a quei due grandi testimoni ha dato tutta la stabilità e la certezza, appunto, della fede. La vita mi ha fatto vedere tanti testimoni, tanti testimoni di un possibile rapporto con la realtà lieto, buono, positivo. E allora ho cercato di raccontarlo, ma la cosa interessante è quest’ultima che diceva don Pino: da chi ti lasci educare adesso, da chi ti lasci generare adesso, perché l’educazione è una cosa così mirabile, è una cosa così misteriosa, forse si dovrebbe dire è una cosa che fa Dio, attraverso di noi, ma la fa Dio. L’educazione avviene sempre, e avviene in forme e in modi imprevedibili, bisogna solo essere attenti, bisogna solo essere così semplici da saperla guardare. E allora chiudo raccontandovi semplicemente tre fatti, tre episodi che mi hanno molto colpito proprio in questi giorni, perché se uno guarda la vita così, con questa passione per se stesso e con questa passione per gli altri, la vede accadere l’educazione. In questo senso dico che quel titolo mi piaceva molto “ho visto educare”. Ho visto accadere l’educazione e ve la racconto, da questo punto di vista è un libro molto umile, è proprio il racconto di alcuni fatti visti, più che la spiegazione di che cosa sia l’educazione. Due cose che mi hanno colpito molto. Proprio ieri sera sono andato a trovare degli amici, la faccio breve…
Proprio ieri sera sono andato a trovare degli amici, di cui conosco bene la figlia, e sono andato a trovarli perché ero curioso di vedere cosa stesse succedendo in quella famiglia, dove, il racconto che la figlia mi fa di quello che sta avvenendo ai suoi genitori, è pieno di meraviglia, tanto da indurla ad andare a vedere il luogo che rigenera i suoi genitori a 50 anni, 55 60 non lo so, spero che non si offendano se sono qui, tanto da incuriosire la figlia di 20 anni, di 22, a conoscere il luogo che rigenera i suoi genitori. L’educazione è tutta qui. L’educazione – è forse la cosa più decisiva, più ripetuta, ma è la cosa che amo di più ricordare a me stesso e ai miei amici – l’educazione non è la preoccupazione che hai, di cambiare l’altro, perché questo è il mestiere di Dio, e lo fa Dio. L’educazione è la preoccupazione che hai di cambiare te stesso, di dare testimonianza del tuo cambiamento, perché è l’unica cosa di cui i figli hanno bisogno, non sono regole, ricette, norme di comportamento. Hanno bisogno di un testimone, di uno che si lascia educare oggi, e che per questo arriva a casa e saluta la moglie – l’episodio di Giovanni e Andrea citato da don Gius – e abbraccia i figli e i figli si chiedono: “ma babbo, cosa ti sta succedendo?”. E mi diceva questa figlia ieri “e allora ho dovuto andare a vedere, ho dovuto andare a vedere che cosa cambiava il cuore di mio padre”. Questa è l’educazione. Aggiungo solo una cosa che ripeto tante volte nel libro, i nostri figli, cioè quella ragazza non è eccezionale, è eccezionale che lo faccia con una purità così a 25 anni. Ma i nostri figli, i nostri alunni, fanno questo di mestiere, guardano, guardano sempre. Dalla culla, forse dal grembo materno, 24 ore al giorno, qualsiasi cosa sembra che stiamo facendo, i nostri figli ci guardano. Guardano gli adulti. E cosa chiedono agli adulti? Non da mangiare, ve lo dico in un famoso episodio che me lo ha insegnato, e non lo racconto così vi incuriosisco e andate a leggere il libro, e non chiedono da mangiare, da bere e da dormire, se lo procurano quello, più o meno lecitamente se lo procurano, guardano e si chiedono “di che speranze il core vai sostentando?”. Di che certezza vivi? Papà, che cosa tiene su la vita, oggi? Non per quali ragioni mi hai dato la vita 20 anni fa, oggi che cosa tiene su la tua vita e la mia? A rovescio, ma mi preme dirlo, è così vero che l’educazione è una cosa che fa Dio, una cosa misteriosa, che Dio la può far funzionare persino a rovescio. E’ una delle cose che mi ha colpito di più in questi mesi: sono stato ricoverato in un ospedale, e ho conosciuto un professore, un luminare, un grande professore, ci siamo incontrati e mi ha raccontato la sua storia. Ci siamo raccontati la nostra storia. Era rimasto colpito dal fatto che io parlassi male dei giovani d’oggi, ma era un malinteso. Era un malinteso perché io intendevo dire il dramma e il dolore dei giovani d’oggi e in questo senso gli dicevo, “è una generazione che soffre, è una generazione che fa fatica, è una generazione che patisce una solitudine, una solitudine terrificante e nello stesso tempo uno spazio di libertà ridottissimo”.
Sto cominciando a capire adesso che quello che abbiamo un po’ arbitrariamente chiamato autoritarismo dei nostri vecchi, nelle nostre cascine, nell’albero degli zoccoli insomma per intenderci, lasciava ampi margini di libertà e di responsabilità personale, più di quanti illusoriamente crediamo di lasciarne oggi ai nostri figli. Soffocano i nostri figli. Ecco, io raccontavo queste cose a questo professore e inaspettatamente mi racconta di sé, mi racconta dell’incontro con tre ragazzine, con tre studentesse dell’università. E mi chiede, mi fa questa domanda così coraggiosa, mi chiede: “adesso lei mi deve spiegare come sia possibile questa cosa, che tre studentesse di 20 anni possano colpire il cuore e l’intelligenza di un uomo di 60, e cambiarlo”. Introdurre nella vita di un uomo di 60 anni un fattore di novità, un fattore di bene, un fattore tanto a lungo atteso, e improvvisamente reso presente, reso esperienza, reso possibile da un incontro con tre studentesse, che hanno 40 anni di meno, che ne sanno infinitamente di meno. E mi chiese, facendomi piangere, e piangendo lui, mi chiese: “chi è, chi è che consente a tre ragazzine di cambiare il cuore di un uomo in tarda età, quando sembrerebbe essere troppo tardi? Chi è che cambia il cuore dell’uomo? Chi è che fa di quelle tre ragazze una storia eccedente quello che in realtà sono? Cosa mi sta succedendo insomma?” E io gli ho detto: “ti sta succedendo l’educazione, cioè ti sta succedendo il cristianesimo”. E gli ho raccontato di un altro vecchio, visitato da tre tizi, alle querce di Mamre, che pure aveva detto “no, no per me è troppo tardi, non ce la faremo mai”. Ti sta succedendo l’educazione, perché ti sta succedendo il cristianesimo. Questa è un’altra cosa che mi entusiasma sempre dell’educazione, che l’educazione avviene così. Può essere che tu adulto educhi i tuoi figli, per la testimonianza che gli dai, e può essere che i tuoi figli educhino te, per la testimonianza che ti danno, perché è il Vero, è il Vero che si impone agli occhi dell’uomo e lo trascina a sé, cioè lo educa, lo accompagna. E così può accadere quello che ci auguriamo tutti noi genitori, che sia vero… Ho pensato per tanti anni, leggendo Dante, che la definizione “figlia del tuo figlio”, potesse essere proprio solo della Madonna. Invece perfino, perfino in questo la Madonna è primizia di una cosa che possiamo vivere tutti. Si può diventare figli dei propri figli, si può diventare alunni dei propri alunni, perché la vita, grazie a Dio, funziona così, sorprende in modi, in tempi, in luoghi inaspettati.
Questo è il modo in cui Dio educa il suo popolo, cioè ciascuno di noi. In questo senso ho finito. Cerco di spiegare la cosa che mi sembra più decisiva, non abbiate paura, educare è semplice, educare è semplice se non si ha la pretesa, se non si hanno pretese. Cioè educare è semplice se è un amore, e l’amore funziona così, che Dio ci ha amati per primo mentre eravamo ancora peccatori. Per me è questo il grande segreto che ho imparato dal mio papà, da mia mamma, da mia moglie nel modo con cui guardava i figli, da don Gius nel modo con cui ha guardato me, da don Pino nel modo in cui a sua volta ha guardato i miei figli e ha rimesso insieme i cocci che io gli avevo affidato. In tutto questo io ho sempre capito che l’educazione è una misericordia, cioè un amore all’altro prima che cambi, prima che cambi, prima di sentir su di sé la preoccupazione e l’angoscia e la pretesa del genitore di trascinarlo verso qualcosa. L’educazione ha, tra il legittimo desiderio della felicità per i propri figli e la loro condizione di povertà, di debolezza, di fragilità, ha in mezzo tutta l’ampiezza della libertà. Amare veramente la libertà dei figli è il segreto dell’educazione, è la cosa più difficile dell’educazione.
Evitare le scorciatoie, evitare quell’equivoco terribile del genitore che dice: “io sono tuo amico, sono con te, ti capisco, vengo anch’io con te”. Commento sempre la parabola del Figliol Prodigo, mirabile, la parabola dell’educazione, sfottendo un po’ i genitori che dicono ai figli: “facciamo così, se proprio vuoi andar via di casa, vengo anch’io con te”. E vendono tutto, lasciano la casa, per andare col figlio, così lo tengo d’occhio, così mi assicuro che non faccia niente di male, che il mondo non se lo porti via. E così facendo il mondo si è già portato via il figlio e il padre, senza alcuna possibilità di ritorno e di perdono. Invece l’educazione è questo padre che ama la libertà del figlio fino a lasciarlo andare, e che capisce che il suo compito è rimanere, garantire sempre la possibilità del ritorno, cioè di una casa. Quella che Giussani nel Rischio educativo chiama, con una immagine mirabile, funzione di coerenza ideale dell’adulto, una casa sulla roccia, una casa che rimane, una casa a cui si possa sempre tornare. E così l’educazione è semplice, è come quella del mio papà. E’ come quella che abbiamo sentito in alcuni interventi di questi giorni. E’ come quella dello sguardo con cui don Giussani mi ha guardato quel 21 gennaio del 2003, l’ultima volta che l’ho visto. E’ un perdono. Se un perdono è possibile, se un perdono è semplice, se un perdono non teme gli errori, non teme la fragilità, come ci insegna sempre padre Aldo, il perdono non è cosa che segue o consegue alla colpa, siccome ho sbagliato poi devo essere perdonato, il perdono viene prima della colpa.
E’ uno sguardo che si ha a scuola come in famiglia. Scusate voglio chiudere con questa cosa che mi ha impressionato, non so se faccio bene a leggerla, tante cose non so se faccio bene, poi le faccio. Ho letto questo articolo sul Corriere della sera di qualche giorno fa, la dichiarazione di un padre che ha portato la figlia a un concorso di bellezza. Dice così, intervistato dal giornalista: “sono orgoglioso di lei, non c’è nulla di male a partecipare a un concorso di bellezza”. E io che ho dedicato intere serate a spiegare ai genitori, guardate che, quando uno dice non c’è niente di male, ha già perso, la domanda dell’educatore non è cosa c’è di male, ma cosa c’è di bene nella proposta che gli posso fare oggi, chi si chiede cosa c’è di male, come educatore, è già sconfitto. “Non c’è niente di male a partecipare a un concorso di bellezza, per mia figlia si è trattato di un gioco”. I figli, poverini, mio figlio ha il diritto, fa tanta fatica, ha il diritto di riposarsi, ha il diritto di giocare, ha il diritto di divertirsi, lei sa bene che i suoi genitori vogliono che metta al primo posto lo studio. Vi prego, leggete queste pagine anche solo perché tentano di smitizzare la scuola, di far capire alle mamme …L’altro titolo sapete cos’era? Non ve l’ho detto, Lasciateli stare. Però l’editore l’ha ritenuto troppo graffiante, troppo. Il titolo era lasciateli stare, dedicato alle mamme italiane, come sottotitolo.
E ci sono pagine interessanti sull’equivoco per cui le mamme e i papà, ma soprattutto le mamme, confondono la performance scolastica col valore ontologico dei propri figli. O per lo meno cercano queste pagine di spiegare alle mamme che i figli si sentono giudicati e amati dai propri genitori in proporzione all’esito scolastico, che è una delle cose più devastanti che ci siano. Anche questo papà sembra dire: “da parte mia, prima di dare il consenso ho raccolto qualche informazione, l’organizzazione era seria, e la serata non aveva nulla di sporco, pensate non l’ho mai persa di vista e dopo la premiazione l’ho riaccompagnata a casa”. Si trattava del concorso lato B per la votazione del più bel culo della Regione in questione. Quel genitore lì, dice delle cose, lì la cosa è clamorosamente evidente, ma mi è venuta questa riflessione e ve la voglio partecipare chiudendo. Si può trattare i nostri figli, veramente si può trattarli così, pensando di volergli bene, di essergli compagni e amici. Non c’è niente di male in quello che stanno facendo e io sono lì con loro e li guardo e non c’è niente di sporco, e l’organizzazione era seria. E si è divertita e ha giovato un po’, l’ho anche riaccompagnata a casa per essere sicuro che non facesse niente di male. Pensate, si può fare questo ragionamento portando la figlia a un concorso di bellezza, dove la bellezza è identificata con le misure del sedere.
Si può trattar così la pagella scolastica, si può trattar così il mestiere che farà, si può trattar così la salute dei figli. Si può trattare il figlio identificandone il bene con un particolare che non è mai il suo destino. Un amore vero al suo destino, questa è la questione. Se non siamo rigenerati continuamente noi da un’attesa grande, da un desiderio grande, da una certezza grande, finirà così. Non sarà il sedere certo, perché siamo abbastanza accorti per non cadere così in basso, ma l’educazione si fermerà, si interromperà, e sarà una frustrazione e una ultima violenza. Vi ripeto, che sia nella scala di valori il bel lavoro, il successo, il non ammalarsi, la pagella, tutto quello che volete voi, tutto questo tradisce l’educazione. Perché l’educazione è quella che abbiamo imparato e visto. Un amore al destino così grande, così acuto, così drammatico, da portare intero il peso della croce della libertà cioè dei possibili no e di tutta la debolezza di cui siamo carichi noi e sono carichi i nostri figli. Ma abbiamo un posto, questo, quello che è stata la mia famiglia, che non ha né schifo né paura di quello che siamo. Educa un posto così. Speriamo di riuscire, speriamo che questo libro ci aiuti a ricordarci che ogni famiglia e ogni scuola dovrebbe essere un posto così.
a venire al mondo”, ci chiedono continuamente, ed è a questo livello che gli adulti hanno un’incertezza radicale». È il rapporto tra adulti, quindi, che non tiene: «Di più: è fragile la persona nel suo rapporto con la realtà, non si è più convinti che la vita ha un significato buono».

Oggi si tende a guardare i figli secondo un giudizio di valore, che è sempre più quello dei voti». Cioè: ti voglio bene, ma quanto te ne vorrei se ti impegnassi un po’ di più come dicono i professori! Tu vali tanto quanto hai successo a scuola, e «se lasci gli studi, perché capisci che non sei portato, e vai a fare il giardiniere, sei un fallimento». Ma tanto questo è un peso che schiaccia i ragazzi, tanto «i figli sono sensibilissimi: se sentono uno sguardo d’amore trovano l’energia anche per studiare di più».

Ecco il testo dell'intervento pronunciato al Meeting di Rimini
 

 

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