Per il post di questa
sera, che temo sia più lungo di quanto avrei voluto, vorrei leggere, o
rileggere, con voi alcuni articoli.
Quello da cui partiamo
è l’editoriale
di Tempi di questa settimana. E’, in gran parte, di Antonio Simone.
Per coloro che non lo sapessero Simone è stato preventivamente in cella diversi
mesi perché accusato di tutta una serie di reati che si vorrebbero associare a
Roberto Formigoni. Adesso molte accuse sono cadute e lui è stato scarcerato, e
certo la caduta contemporanea della giunta lombarda non può essere che una
coincidenza. Infatti coloro che non hanno fede di solito indicano come
coincidenze fatti che sarebbe irragionevole pensare slegati ma che sarebbe
imbarazzante pensare collegati.
L’articolo di Simone è
fatto per gran parte di una lunga citazione di Don Giussani, particolarmente
impressionante in quanto pur risalendo a quarant’anni fa sembra scritta ieri.
Nella citazione Giussani osserva che la persecuzione prende spesso spunto da un nostro comportamento, da un nostro modo d’essere. Dalla nostra debolezza, che essendo umani non possiamo non avere. E’ una prova, lunga, crudele, in cui si paleserà la fede che abbiamo o non abbiamo.
Che poi sopra la nostra ferita il persecutore sparga letame occorre metterlo in conto.
A proposito della persecuzione Simone nomina en passant “la marea di menzogne e insulti che alcuni giornalisti e giornali hanno da un anno a questa parte riversato sul movimento di Comunione e Liberazione“. Sebbene concordi con lui che non vale la pena riassumere, forse potrà essere utile come esempio, per capire meglio, un’analisi di un articolo di stamattina sul “Corriere della Sera”.
Il titolo è “«Ha creduto di essere diventato il capo» Ora Cl vuole il divorzio da Formigoni”.
Nella citazione Giussani osserva che la persecuzione prende spesso spunto da un nostro comportamento, da un nostro modo d’essere. Dalla nostra debolezza, che essendo umani non possiamo non avere. E’ una prova, lunga, crudele, in cui si paleserà la fede che abbiamo o non abbiamo.
Che poi sopra la nostra ferita il persecutore sparga letame occorre metterlo in conto.
A proposito della persecuzione Simone nomina en passant “la marea di menzogne e insulti che alcuni giornalisti e giornali hanno da un anno a questa parte riversato sul movimento di Comunione e Liberazione“. Sebbene concordi con lui che non vale la pena riassumere, forse potrà essere utile come esempio, per capire meglio, un’analisi di un articolo di stamattina sul “Corriere della Sera”.
Il titolo è “«Ha creduto di essere diventato il capo» Ora Cl vuole il divorzio da Formigoni”.
La citazione del
titolista, per quanto virgolettata, nel testo dell’articolo è strettamente
anonima e lascia anche un poco perplessi: “come Lucifero a un certo punto ha creduto di esser diventato il capo di Cl“. Ma chi è il ciellino che direbbe una cosa del genere? Formigoni, da
quando ha intrapreso carriera politica, non ha un ruolo in Cl e tutti lo sanno.
L’accenno a Lucifero poi sembra messo lì perché un cristiano fondamentalista
“deve” parlare così, allo stesso modo in cui i selvaggi hanno tutti un osso al
naso. Chi sia poi questa Cl che vuole divorziare da Formigoni non è chiaro,
anche perché mi pare che il divorzio non rientri tra le pratiche più gradite ai
cattolici.
Se guardiamo poi lo svolgimento c’è veramente da divertirsi.
“Come metafora dei rapporti tra Roberto Formigoni e Comunione e Liberazione potremmo scegliere quella legata al nuovo grattacielo della Regione Lombardia.” inizia l’articolo. Affascinante, ma che ci acchiappa? Formigoni verticale, CL orizzontale? E perché non uno quadro e l’altro tondo?
“Il distacco quindi non parte…” continua il giornalista. A scuola mi hanno insegnato che il “quindi” si mette dopo che hai dimostrato qualcosa. In che modo un paragone cretino inventato lì per lì potrebbe dimostrare che “l’insofferenza dura da tempo“? Stai a pigliare per il sedere?
Qui si gioca con le parole. Tutto il resto dell’articolo è fatto di analogo vuoto, di virgolettati di non si sa chi, di dichiarazioni ad effetto senza prove, di asserzioni campate in aria di incogniti dietrologi, di causali senza causa.
Ad esempio, che Formigoni sarebbe dovuto andare a suo tempo a Roma è un opinione che anch’io condivido. Che non l’abbia fatto per gelosie di partito può anche darsi. Ma per quale immaginario motivo questo dovrebbe essere “rivelatore di una volontà di prendere le distanze dal Celeste che ormai sembra conoscere poche eccezioni”? Dove è la consecutio, la causa e l’effetto?
Se dice che “trovare un ciellino che tifi per Formigoni è difficile“, il giornalista è scusabile, dato che probabilmente ha altre frequentazioni. E se “Nel movimento tanti si vantano di lavorare perché non nasca una lista a suo nome” può essere vero, nel mio caso lo è perché preferirei di molto che fosse lui a guidare una coalizione, piuttosto che un ennesimo frazionamento di un fronte già diviso.
In sostanza l’articolo è gran frittura d’aria. L’unica cosa che mi colpisce è l’asserzione finale che la Compagnia delle Opere non sia poi così importante, in fondo; proprio lei che fino a ieri era la piovra tentacolare.
Per un giornale sparapalle, che tenta di dividere e purtroppo talvolta ci riesce, è un cambio di prospettiva da non sottovalutare. Viene da chiedersi perché.
Se guardiamo poi lo svolgimento c’è veramente da divertirsi.
“Come metafora dei rapporti tra Roberto Formigoni e Comunione e Liberazione potremmo scegliere quella legata al nuovo grattacielo della Regione Lombardia.” inizia l’articolo. Affascinante, ma che ci acchiappa? Formigoni verticale, CL orizzontale? E perché non uno quadro e l’altro tondo?
“Il distacco quindi non parte…” continua il giornalista. A scuola mi hanno insegnato che il “quindi” si mette dopo che hai dimostrato qualcosa. In che modo un paragone cretino inventato lì per lì potrebbe dimostrare che “l’insofferenza dura da tempo“? Stai a pigliare per il sedere?
Qui si gioca con le parole. Tutto il resto dell’articolo è fatto di analogo vuoto, di virgolettati di non si sa chi, di dichiarazioni ad effetto senza prove, di asserzioni campate in aria di incogniti dietrologi, di causali senza causa.
Ad esempio, che Formigoni sarebbe dovuto andare a suo tempo a Roma è un opinione che anch’io condivido. Che non l’abbia fatto per gelosie di partito può anche darsi. Ma per quale immaginario motivo questo dovrebbe essere “rivelatore di una volontà di prendere le distanze dal Celeste che ormai sembra conoscere poche eccezioni”? Dove è la consecutio, la causa e l’effetto?
Se dice che “trovare un ciellino che tifi per Formigoni è difficile“, il giornalista è scusabile, dato che probabilmente ha altre frequentazioni. E se “Nel movimento tanti si vantano di lavorare perché non nasca una lista a suo nome” può essere vero, nel mio caso lo è perché preferirei di molto che fosse lui a guidare una coalizione, piuttosto che un ennesimo frazionamento di un fronte già diviso.
In sostanza l’articolo è gran frittura d’aria. L’unica cosa che mi colpisce è l’asserzione finale che la Compagnia delle Opere non sia poi così importante, in fondo; proprio lei che fino a ieri era la piovra tentacolare.
Per un giornale sparapalle, che tenta di dividere e purtroppo talvolta ci riesce, è un cambio di prospettiva da non sottovalutare. Viene da chiedersi perché.
Da parte mia,
piuttosto che perdere tempo con questi figuri dia-bolici – dal greco, “coloro
che fanno di tutto per dividere” – preferisco portare l’attenzione su cosa è
essenziale. In questo ad esempio è chiarificatore l’intervento
di Carron, che di Cl è la guida, lui sì, al Sinodo sulla Nuova
Evangelizzazione.
Come spiega bene, si è in grado di capire appieno la vuotezza di certe parole solo se si è avuto esperienza della pienezza di un incontro. Quello che cambia, che fa uscire dalla politica da tifosi o da cinici, piena d’odio e recriminazione, è solo l’avere conosciuto una umanità diversa.
Come spiega bene, si è in grado di capire appieno la vuotezza di certe parole solo se si è avuto esperienza della pienezza di un incontro. Quello che cambia, che fa uscire dalla politica da tifosi o da cinici, piena d’odio e recriminazione, è solo l’avere conosciuto una umanità diversa.
Come ha scritto
un’amica, che mi trova completamente d’accordo,
“Se è una questione di egemonia o di potere non è una cosa che riguardi un metodo di educazione alla fede – cioè di percorso verso la Verità (pellegrini della Verità diceva Benedetto XVI) -, ma solo il potere e l’egemonia.
A me non interessa il potere o l’egemonia culturale, ma il lavoro per contribuire, per il poco che posso, a ridestare nelle persone lo stupore per l’Avvenimento cristiano.“
“Se è una questione di egemonia o di potere non è una cosa che riguardi un metodo di educazione alla fede – cioè di percorso verso la Verità (pellegrini della Verità diceva Benedetto XVI) -, ma solo il potere e l’egemonia.
A me non interessa il potere o l’egemonia culturale, ma il lavoro per contribuire, per il poco che posso, a ridestare nelle persone lo stupore per l’Avvenimento cristiano.“
Finisco con una cosa
che il Papa ha detto oggi all‘udienza
generale.
Ma – ci chiediamo – la fede è veramente la forza trasformante nella nostra vita, nella mia vita? Oppure è solo uno degli elementi che fanno parte dell’esistenza, senza essere quello determinante che la coinvolge totalmente? Con le catechesi di quest’Anno della fede vorremmo fare un cammino per rafforzare o ritrovare la gioia della fede, comprendendo che essa non è qualcosa di estraneo, di staccato dalla vita concreta, ma ne è l’anima. La fede in un Dio che è amore, e che si è fatto vicino all’uomo incarnandosi e donando se stesso sulla croce per salvarci e riaprirci le porte del Cielo, indica in modo luminoso che solo nell’amore consiste la pienezza dell’uomo. Oggi è necessario ribadirlo con chiarezza, mentre le trasformazioni culturali in atto mostrano spesso tante forme di barbarie, che passano sotto il segno di «conquiste di civiltà»: la fede afferma che non c’è vera umanità se non nei luoghi, nei gesti, nei tempi e nelle forme in cui l’uomo è animato dall’amore che viene da Dio, si esprime come dono, si manifesta in relazioni ricche di amore, di compassione, di attenzione e di servizio disinteressato verso l’altro.
Dove c’è dominio, possesso, sfruttamento, mercificazione dell’altro per il proprio egoismo, dove c’è l’arroganza dell’io chiuso in se stesso, l’uomo viene impoverito, degradato, sfigurato. La fede cristiana, operosa nella carità e forte nella speranza, non limita, ma umanizza la vita, anzi la rende pienamente umana.
Ma – ci chiediamo – la fede è veramente la forza trasformante nella nostra vita, nella mia vita? Oppure è solo uno degli elementi che fanno parte dell’esistenza, senza essere quello determinante che la coinvolge totalmente? Con le catechesi di quest’Anno della fede vorremmo fare un cammino per rafforzare o ritrovare la gioia della fede, comprendendo che essa non è qualcosa di estraneo, di staccato dalla vita concreta, ma ne è l’anima. La fede in un Dio che è amore, e che si è fatto vicino all’uomo incarnandosi e donando se stesso sulla croce per salvarci e riaprirci le porte del Cielo, indica in modo luminoso che solo nell’amore consiste la pienezza dell’uomo. Oggi è necessario ribadirlo con chiarezza, mentre le trasformazioni culturali in atto mostrano spesso tante forme di barbarie, che passano sotto il segno di «conquiste di civiltà»: la fede afferma che non c’è vera umanità se non nei luoghi, nei gesti, nei tempi e nelle forme in cui l’uomo è animato dall’amore che viene da Dio, si esprime come dono, si manifesta in relazioni ricche di amore, di compassione, di attenzione e di servizio disinteressato verso l’altro.
Dove c’è dominio, possesso, sfruttamento, mercificazione dell’altro per il proprio egoismo, dove c’è l’arroganza dell’io chiuso in se stesso, l’uomo viene impoverito, degradato, sfigurato. La fede cristiana, operosa nella carità e forte nella speranza, non limita, ma umanizza la vita, anzi la rende pienamente umana.
Ecco, ha proprio
ragione. Con l’amore, con il ridestare quello stupore tutto cambia in meglio.
Senza fede tutto, anche la politica, non è che palle di letame, sfruttamento e
boiate sul Corriere.
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