Io sono
orgoglioso di far parte di Comunione e liberazione. Voglio dare questa
testimonianza oggi che CL sui media sembra diventata una pessima congrega.
E’ invece
una luminosa compagnia che fin da quando avevo 15 anni ha suscitato in me
entusiasmo e meraviglia: qui ho scoperto il senso della vita.
Cosa sia
Comunione e liberazione, anche oggi, non si apprende da ciò che scrivono i
giornali. Io lo vedo anzitutto nei volti dei miei figli. L’ho reimparato in
questi anni da Caterina.
Dai suoi
occhi bellissimi che illuminano il mondo quando ridono insieme a Stefano, a
Mira, a Maria, a Laura, a Maria Chiara, a Massimo e Martina, a tutti i suoi
amici, che sono suoi fratelli e sorelle e che le fanno sentire la carezza del
Nazareno nella sua sofferenza.
E che le
danno la forza di una Giovanna d’Arco nella sua battaglia.
L’ho visto
anche nel suo sguardo fiammeggiante e indignato quando – giorni fa – le ho raccontato,
perché ne stavo scrivendo, i drammi che vivono le giovani ragazze cristiane del
Pakistan, sottoposte a causa della fede a ogni forma di violenza.
Per questo
lei – Caterina, pur senza poter parlare – ha voluto che mandassimo quanto
potevamo, attraverso un’associazione che paga la cauzione per la piccola
Rimsha, per permettere ad alcune ragazze cristiane di poter studiare e
sottrarsi agli aguzzini.
Lo imparo
dal volto entusiasta di mio figlio dalla capigliatura ribelle quando torna
dalla caritativa per portare viveri a dei poveri clochard insieme alle suore di
Madre Teresa: “Sai babbo, don Andrea ci ha fatto capire che si è veramente
felici solo nel donarsi gratuitamente, anche senza sentirsi dire grazie. Ed è
proprio vero!”.
Mi accorgo
di cosa è CL quando sento la passione dell’altra figlia, per il suo violino e
il suo pianoforte. Questo struggimento per la bellezza se l’è trovato dentro il
cuore anche lei perché l’abbiamo imparato, assorbito per osmosi da don Giussani
che ci ha fatto gustare tutto, dalla Sonata per violino e pianoforte n. 2 di
Schubert, al panorama mozzafiato delle Dolomiti, dal mare azzurro e infinito al
buon vino del mio amico Michele.
Lo
struggimento per la bellezza, il gusto della vita, la fraternità vera (di chi
ti accoglie in casa sua anche in piena notte), la fede e la speranza nella
sofferenza, la compassione per il mondo intero, l’innamorata passione per Gesù
benedetto e l’amore alla sua Chiesa fino al martirio.
Tutto questo
miracolo in terra è CL, con tante opere meravigliose che ho scoperto di recente
come la splendida Cometa di Como o che conosco da tempo come il Banco
alimentare o i nostri medici dell’Avsi che da decenni curano gli ammalati di
Aids nell’Africa profonda.
E tanti
altri miracoli quotidiani, come la scelta della verginità di giovani di venti
anni o l’ “amore vero” fra ragazzi e ragazze di 25 anni che per grazia si amano
con eroismo e purezza (un tempo ci prendevano in giro, mentre oggi loro si
sentono dire dai coetanei: “vi invidio”).
E’ veramente
un’umanità affascinante. Una storia di santità che si porta dietro anche tutti
i limiti di noi peccatori, ma la Chiesa stessa è così.
Nel suo
cammino attraverso i secoli – scrive Eliot – gli uomini che si lasciano
abbracciare da lei – e diventano cristiani – si trovano
“salvati a
dispetto del loro essere negativo;
bestiali
come sempre, carnali, egoisti come sempre, interessati e ottusi come sempre lo
furono prima;
Eppure
sempre in lotta, sempre a riaffermare, sempre a riprendere la loro marcia sulla
via illuminata dalla luce.
Spesso
sostando, perdendo tempo, sviandosi, attardandosi, tornando, eppure mai
seguendo un’altra via”.
Questo sono
i cristiani. Gente misera, ma in cammino con i santi. La persona che mi ha
fatto incontrare CL – Andrea Aziani, che poi è pure il padrino di battesimo di
Caterina – incarna questa storia di grazia.
Andrea
arrivò a Siena mandato da don Giussani. Era responsabile di CL alla Statale di
Milano dove, nel post-68, il movimento subiva tutto l’odio ideologico e la
violenza fisica di quegli anni da parte dei vari gruppi estremisti (Andrea era
stato spesso aggredito).
E’
impossibile descrivere la sua umanità eccezionale. Aveva l’ardore missionario
di san Paolo (del resto era ebreo per parte di madre e suo nonno aveva subito
persecuzioni sotto il fascismo prima perché cattolico, militante del Partito
popolare, e poi per le leggi razziali).
Andrea da
Siena andò in missione in Perù, nelle miserabili bidonville di Lima. E’ vissuto
venti anni in quel mare di povertà ed è morto d’infarto, letteralmente
consumandosi per Cristo e per i suoi fratelli, nel 2008, a 55 anni.
E’
significativa la testimonianza del suo vescovo, diocesi Carabayllo, periferia
nord di Lima, il cappuccino padre Panizza: “l’avevo conosciuto una ventina di
anni fa qui a Lima e mi aveva colpito per la sua preparazione e franchezza… Nel
1998 pensai alla necessità di costruire un’università per permettere di
studiare alle migliaia e migliaia di giovani che mi circondavano. Lo cercai e
la sua disponibilità” confermata da don Giussani “ci permise di iniziare questa
grande opera che è l’Università Cattolica Sedes Sapientiae”.
Il vescovo
ricorda che Andrea, insieme ad altri amici di CL, era “l’anima di questa
avventura… febbre di vita era il suo motto, e realmente era una febbre di
dedizione che lo portava a volte a dimenticarsi di mangiare e di dormire, per
non dimenticarsi di Cristo e delle persone”.
“Oggi questa
università” prosegue il vescovo “è una realtà di seimila studenti, con
succursali nel pieno della foresta amazzonica e in mezzo alle Ande, nate per
rispondere anche lì alla necessità di educazione e conoscenza di tanti giovani
che vivono in situazioni di povertà”.
L’Università
in pochi anni ha permesso a tanti di loro di costruirsi una vita degna.
Monsignor Panizza conclude: “E’ difficile descrivere la grandezza della persona
di Andrea perché è stato insieme un maestro di migliaia di giovani, un padre
attento e discreto per moltissimi, un grande uomo di cultura, un rivoluzionario
dei cuori. Ma non posso pensare ad Andrea se non come a un santo di oggi.
Infatti, appena saranno passati i cinque anni previsti dal diritto canonico,
comincerò la causa di beatificazione, perché l’esperienza che ho vissuto
nell’amicizia con lui non si può spiegare senza arrivare alla fonte della sua
umanità, alla sua fede in Gesù”.
Forse sarà
il primo santo che abbia vissuto il ’68. Monsignor Panizza aggiunge: “Era un
‘Memor Domini’, un laico consacrato… nessuno è potuto rimanere indifferente
davanti alla sua testimonianza di passione per le persone, di attenzione ai più
bisognosi, di apertura al dialogo con tutti, di lavoro incessante per una
società più umana. Non ha vissuto nemmeno un minuto senza dare tutto per il
bene degli altri”.
E’ da lui
che ho sentito raccontare, da ragazzo, di Roberto Formigoni e di Antonio
Simone. Diceva che essendo alti e robusti stavano spesso in prima fila e si
prendevano le sprangate con lui durante le aggressioni a CL nella Milano degli
anni Settanta.
Anche a
loro, al loro coraggio e alla loro testimonianza, devo gratitudine se questa
storia, questa carezza del Nazareno, è arrivata fino a me e ai miei figli.
Se hanno
fatto errori (come tutti noi) ne risponderanno al confessore oppure agli
elettori. Per eventuali reati ai magistrati. E’ certo però che la Lombardia
governata da Formigoni – secondo i principi della dottrina sociale della Chiesa
– è stata la regione più prospera, solidale ed efficiente d’Italia. Fra le
prime d’Europa.
Usciranno
indenni dalle indagini come nel passato? Glielo auguro. Ma anche in questo caso
sono certo che porteranno addosso il dolore dei propri limiti che oggi vengono
usati dal mondo per picchiare su CL.
Ma la storia
cristiana è così. Da duemila anni. E’ fatta di uomini che si sentono umiliati
per la propria miseria, ma la cui imperfezione è usata dal Signore
dell’universo come piedistallo della Sua gloria.
Antonio
Socci
Da “Libero”,
18 ottobre 2012
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