BENEDETTO XVI: UDIENZA
AD UN GRUPPO DI PADRI CONCILIARI ANCORA VIVENTI, A PATRIARCHI E ARCIVESCOVI
DELLE CHIESE ORIENTALI CATTOLICHE E A PRESIDENTI DI CONFERENZE EPISCOPALI,
12.10.2012

A cinquant’anni di distanza dall’apertura di quella solenne Assise della Chiesa qualcuno si domanderà se quell’espressione non sia stata, forse fin dall’inizio, non del tutto felice. Penso che sulla scelta delle parole si potrebbe discutere per ore e si troverebbero pareri continuamente discordanti, ma sono convinto che l’intuizione che il Beato Giovanni XXIII compendiò con questa parola sia stata e sia tuttora esatta.
Il Cristianesimo non deve essere considerato come «qualcosa del passato», né deve essere vissuto con lo sguardo perennemente rivolto «all’indietro», perché Gesù Cristo è ieri, oggi e per l’eternità (cfr Eb 13,8). Il Cristianesimo è segnato dalla presenza del Dio eterno, che è entrato nel tempo ed è presente ad ogni tempo, perché ogni tempo sgorga dalla sua potenza creatrice, dal suo eterno «oggi».
Per questo il Cristianesimo è sempre nuovo. Non lo dobbiamo mai vedere come un albero pienamente sviluppatosi dal granello di senape evangelico, che è cresciuto, ha donato i suoi frutti, e un bel giorno invecchia e arriva al tramonto la sua energia vitale.
Il Cristianesimo è un albero che è, per così dire, in perenne «aurora», è sempre giovane. E questa attualità, questo «aggiornamento» non significa rottura con la tradizione, ma ne esprime la continua vitalità; non significa ridurre la fede, abbassandola alla moda dei tempi, al metro di ciò che ci piace, a ciò che piace all’opinione pubblica, ma è il contrario: esattamente come fecero i Padri conciliari, dobbiamo portare l’«oggi» che viviamo alla misura dell’evento cristiano, dobbiamo portare l’«oggi» del nostro tempo nell’«oggi» di Dio.
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