Stemma di Benedetto XVI |
Tratto dal sito del Vaticano l'11 ottobre 2011
1. La “porta della fede” (cfr At 14,27) che
introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa
è sempre aperta per noi. E’ possibile oltrepassare quella soglia quando la
Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che
trasforma. Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura
tutta la vita. Esso inizia con il Battesimo (cfr Rm 6, 4), mediante il
quale possiamo chiamare Dio con il nome di Padre, e si conclude con il
passaggio attraverso la morte alla vita eterna, frutto della risurrezione del
Signore Gesù che, con il dono dello Spirito Santo, ha voluto coinvolgere nella
sua stessa gloria quanti credono in Lui (cfr Gv 17,22). Professare la
fede nella Trinità – Padre, Figlio e Spirito Santo – equivale a credere in un
solo Dio che è Amore (cfr 1Gv 4,8): il Padre, che nella pienezza del
tempo ha inviato suo Figlio per la nostra salvezza; Gesù Cristo, che nel
mistero della sua morte e risurrezione ha redento il mondo; lo Spirito Santo,
che conduce la Chiesa attraverso i secoli nell’attesa del ritorno glorioso del
Signore.
2. Fin dall’inizio del mio ministero come Successore
di Pietro ho ricordato l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per
mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato
entusiasmo dell’incontro con Cristo. Nell’Omelia della santa Messa per l’inizio del pontificato dicevo:
“La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi
in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della
vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita,
la vita in pienezza” [1]. Capita ormai non di rado che i cristiani
si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e
politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto
ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più
tale, ma spesso viene perfino negato [2]. Mentre nel passato era possibile
riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo
ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più
essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di
fede che ha toccato molte persone.
3. Non possiamo accettare che il sale diventi insipido
e la luce sia tenuta nascosta (cfr Mt 5,13-16). Anche l’uomo di oggi può
sentire di nuovo il bisogno di recarsi come la samaritana al pozzo per
ascoltare Gesù, che invita a credere in Lui e ad attingere alla sua sorgente,
zampillante di acqua viva (cfr Gv 4,14). Dobbiamo ritrovare il gusto di
nutrirci della Parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e del Pane
della vita, offerti a sostegno di quanti sono suoi discepoli (cfr Gv
6,51). L’insegnamento di Gesù, infatti, risuona ancora ai nostri giorni con la
stessa forza: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che
rimane per la via eterna” (Gv 6,27). L’interrogativo posto da quanti lo
ascoltavano è lo stesso anche per noi oggi: “Che cosa dobbiamo compiere per
fare le opere di Dio?” (Gv 6,28). Conosciamo la risposta di Gesù:
“Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato” (Gv
6,29). Credere in Gesù Cristo, dunque, è la via per poter giungere in modo
definitivo alla salvezza.
4. Alla luce di tutto questo ho deciso di indire un Anno
della fede. Esso avrà inizio l’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo
anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà nella solennità di Nostro
Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il 24 novembre 2013. Nella data dell’11
ottobre 2012, ricorreranno anche i vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo della
Chiesa Cattolica, testo promulgato dal mio Predecessore, il
Beato Papa Giovanni Paolo II [3], allo scopo di illustrare a tutti i
fedeli la forza e la bellezza della fede. Questo documento, autentico frutto
del Concilio Vaticano II, fu auspicato dal Sinodo Straordinario
dei Vescovi del 1985 come strumento al servizio della catechesi [4] e venne realizzato mediante la
collaborazione di tutto l’Episcopato della Chiesa cattolica. E proprio
l’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi è stata da me convocata, nel mese
di ottobre del 2012, sul tema de La nuova evangelizzazione per la trasmissione
della fede cristiana. Sarà quella un’occasione propizia per introdurre
l’intera compagine ecclesiale ad un tempo di particolare riflessione e
riscoperta della fede. Non è la prima volta che la Chiesa è chiamata a
celebrare un Anno della fede. Il mio venerato Predecessore il Servo di
Dio Paolo VI ne indisse uno simile nel 1967, per fare memoria del martirio degli Apostoli Pietro e Paolo nel diciannovesimo centenario
della loro testimonianza suprema. Lo pensò come un momento solenne
perché in tutta la Chiesa vi fosse “un'autentica e sincera professione della
medesima fede”; egli, inoltre, volle che questa venisse confermata in maniera
“individuale e collettiva, libera e cosciente, interiore ed esteriore, umile e
franca” [5]. Pensava che in tal modo la Chiesa intera
potesse riprendere “esatta coscienza della sua fede, per ravvivarla, per
purificarla, per confermarla, per confessarla” [6]. I grandi sconvolgimenti che si
verificarono in quell’Anno, resero ancora più evidente la necessità di una
simile celebrazione. Essa si concluse con la Professione di fede del Popolo di Dio [7], per attestare quanto i contenuti
essenziali che da secoli costituiscono il patrimonio di tutti i credenti hanno
bisogno di essere confermati, compresi e approfonditi in maniera sempre nuova
al fine di dare testimonianza coerente in condizioni storiche diverse dal
passato.
5. Per alcuni aspetti, il mio venerato Predecessore
vide questo Anno come una “conseguenza ed esigenza postconciliare” [8], ben cosciente delle gravi difficoltà del
tempo, soprattutto riguardo alla professione della vera fede e alla sua retta
interpretazione. Ho ritenuto che far iniziare l’Anno della fede in
coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II possa essere un’occasione propizia per
comprendere che i testi lasciati in eredità dai Padri conciliari, secondo le
parole del beato Giovanni Paolo II, “non perdono il loro valore né il loro
smalto. È necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, che
vengano conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi del
Magistero, all'interno della Tradizione della Chiesa … Sento più che mai il
dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha
beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per
orientarci nel cammino del secolo che si apre” [9]. Io pure intendo ribadire con forza
quanto ebbi ad affermare a proposito del Concilio pochi mesi dopo la mia
elezione a Successore di Pietro: “se lo leggiamo e recepiamo guidati da una
giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza
per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa” [10].
6. Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso
la testimonianza offerta dalla vita dei credenti: con la loro stessa esistenza
nel mondo i cristiani sono infatti chiamati a far risplendere la Parola di
verità che il Signore Gesù ci ha lasciato. Proprio il Concilio, nella
Costituzione dogmatica Lumen gentium, affermava: “Mentre Cristo, «santo,
innocente, senza macchia» (Eb 7,26), non conobbe il peccato (cfr 2Cor
5,21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (cfr Eb 2,17),
la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme
sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della
penitenza e del rinnovamento. La Chiesa «prosegue il suo pellegrinaggio fra le
persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio», annunziando la passione e la
morte del Signore fino a che egli venga (cfr 1Cor 11,26). Dalla virtù
del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le
afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori,
e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà anche se non perfettamente, il
mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella
pienezza della luce” [11].
L’Anno della fede, in questa prospettiva, è un
invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del
mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza
l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la
remissione dei peccati (cfr At 5,31). Per l’apostolo Paolo, questo Amore
introduce l’uomo ad una nuova vita: “Per mezzo del battesimo siamo stati
sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti
per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una
nuova vita” (Rm 6,4). Grazie alla fede, questa vita nuova plasma tutta
l’esistenza umana sulla radicale novità della risurrezione. Nella misura della
sua libera disponibilità, i pensieri e gli affetti, la mentalità e il
comportamento dell’uomo vengono lentamente purificati e trasformati, in un
cammino mai compiutamente terminato in questa vita. La “fede che si rende
operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6) diventa un nuovo criterio di
intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo (cfr Rm
12,2; Col 3,9-10; Ef 4,20-29; 2Cor 5,17).
7. “Caritas Christi urget nos” (2Cor
5,14): è l’amore di Cristo che colma i nostri cuori e ci spinge ad
evangelizzare. Egli, oggi come allora, ci invia per le strade del mondo per
proclamare il suo Vangelo a tutti i popoli della terra (cfr Mt 28,19).
Con il suo amore, Gesù Cristo attira a sé gli uomini di ogni generazione: in
ogni tempo Egli convoca la Chiesa affidandole l’annuncio del Vangelo, con un
mandato che è sempre nuovo. Per questo anche oggi è necessario un più convinto
impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per riscoprire la
gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede. Nella quotidiana
riscoperta del suo amore attinge forza e vigore l’impegno missionario dei
credenti che non può mai venire meno. La fede, infatti, cresce quando è vissuta
come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza
di grazia e di gioia. Essa rende fecondi, perché allarga il cuore nella
speranza e consente di offrire una testimonianza capace di generare: apre,
infatti, il cuore e la mente di quanti ascoltano ad accogliere l’invito del
Signore di aderire alla sua Parola per diventare suoi discepoli. I credenti,
attesta sant’Agostino, “si fortificano credendo” [12]. Il santo Vescovo di Ippona aveva buone
ragioni per esprimersi in questo modo. Come sappiamo, la sua vita fu una
ricerca continua della bellezza della fede fino a quando il suo cuore non trovò
riposo in Dio [13]. I suoi numerosi scritti, nei quali
vengono spiegate l’importanza del credere e la verità della fede, permangono
fino ai nostri giorni come un patrimonio di ricchezza ineguagliabile e
consentono ancora a tante persone in ricerca di Dio di trovare il giusto
percorso per accedere alla “porta della fede”.
Solo credendo, quindi, la fede cresce e si rafforza;
non c’è altra possibilità per possedere certezza sulla propria vita se non
abbandonarsi, in un crescendo continuo, nelle mani di un amore che si
sperimenta sempre più grande perché ha la sua origine in Dio.
8. In questa felice ricorrenza, intendo invitare i
Confratelli Vescovi di tutto l’orbe perché si uniscano al Successore di Pietro,
nel tempo di grazia spirituale che il Signore ci offre, per fare memoria del
dono prezioso della fede. Vorremmo celebrare questo Anno in maniera
degna e feconda. Dovrà intensificarsi la riflessione sulla fede per aiutare
tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole ed a rinvigorire la loro
adesione al Vangelo, soprattutto in un momento di profondo cambiamento come
quello che l’umanità sta vivendo. Avremo l’opportunità di confessare la fede
nel Signore Risorto nelle nostre Cattedrali e nelle chiese di tutto il mondo;
nelle nostre case e presso le nostre famiglie, perché ognuno senta forte
l’esigenza di conoscere meglio e di trasmettere alle generazioni future la fede
di sempre. Le comunità religiose come quelle parrocchiali, e tutte le realtà
ecclesiali antiche e nuove, troveranno il modo, in questo Anno, per
rendere pubblica professione del Credo.
9. Desideriamo che questo Anno susciti in ogni
credente l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata
convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un'occasione propizia anche per
intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in
particolare nell’Eucaristia, che è “il culmine verso cui tende l’azione della
Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua energia” [14].
Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti
cresca nella sua credibilità. Riscoprire i contenuti della fede professata,
celebrata, vissuta e pregata [15], e riflettere sullo stesso atto con cui
si crede, è un impegno che ogni credente deve fare proprio, soprattutto in
questo Anno.
Non a caso, nei primi secoli i cristiani erano tenuti
ad imparare a memoria il Credo. Questo serviva loro come preghiera
quotidiana per non dimenticare l’impegno assunto con il Battesimo. Con parole
dense di significato, lo ricorda sant’Agostino quando, in un’Omelia
sulla redditio symboli, la consegna del Credo, dice: “Il simbolo
del santo mistero che avete ricevuto tutti insieme e che oggi avete reso uno
per uno, sono le parole su cui è costruita con saldezza la fede della madre Chiesa
sopra il fondamento stabile che è Cristo Signore … Voi dunque lo avete ricevuto
e reso, ma nella mente e nel cuore lo dovete tenere sempre presente, lo dovete
ripetere nei vostri letti, ripensarlo nelle piazze e non scordarlo durante i
pasti: e anche quando dormite con il corpo, dovete vegliare in esso con il
cuore” [16].
10. Vorrei, a questo punto, delineare un percorso che
aiuti a comprendere in modo più profondo non solo i contenuti della fede, ma
insieme a questi anche l’atto con cui decidiamo di affidarci totalmente a Dio,
in piena libertà. Esiste, infatti, un’unità profonda tra l’atto con cui si
crede e i contenuti a cui diamo il nostro assenso. L’apostolo Paolo permette di
entrare all’interno di questa realtà quando scrive: “Con il cuore … si crede …
e con la bocca si fa la professione di fede” (Rm 10,10). Il cuore indica
che il primo atto con cui si viene alla fede è dono di Dio e azione della
grazia che agisce e trasforma la persona fin nel suo intimo.
L’esempio di Lidia è quanto mai eloquente in
proposito. Racconta san Luca che Paolo, mentre si trovava a Filippi, andò di
sabato per annunciare il Vangelo ad alcune donne; tra esse vi era Lidia e il
“Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo” (At 16,14).
Il senso racchiuso nell’espressione è importante. San Luca insegna che la
conoscenza dei contenuti da credere non è sufficiente se poi il cuore,
autentico sacrario della persona, non è aperto dalla grazia che consente di
avere occhi per guardare in profondità e comprendere che quanto è stato
annunciato è la Parola di Dio.
Professare con la bocca, a sua volta, indica che la
fede implica una testimonianza ed un impegno pubblici. Il cristiano non può mai
pensare che credere sia un fatto privato. La fede è decidere di stare con il
Signore per vivere con Lui. E questo “stare con Lui” introduce alla comprensione
delle ragioni per cui si crede. La fede, proprio perché è atto della libertà,
esige anche la responsabilità sociale di ciò che si crede. La Chiesa nel giorno
di Pentecoste mostra con tutta evidenza questa dimensione pubblica del credere
e dell’annunciare senza timore la propria fede ad ogni persona. È il dono dello
Spirito Santo che abilita alla missione e fortifica la nostra testimonianza,
rendendola franca e coraggiosa.
La stessa professione della fede è un atto personale
ed insieme comunitario. E’ la Chiesa, infatti, il primo soggetto della fede.
Nella fede della Comunità cristiana ognuno riceve il Battesimo, segno efficace
dell’ingresso nel popolo dei credenti per ottenere la salvezza. Come attesta il
Catechismo della
Chiesa Cattolica: “«Io credo»; è la fede della Chiesa professata
personalmente da ogni credente, soprattutto al momento del Battesimo. «Noi
crediamo» è la fede della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in Concilio, o
più generalmente, dall’assemblea liturgica dei fedeli. «Io credo»: è anche la
Chiesa nostra Madre, che risponde a Dio con la sua fede e che ci insegna a dire
«Io credo», «Noi crediamo»” [17].
Come si può osservare, la conoscenza dei contenuti di
fede è essenziale per dare il proprio assenso, cioè per aderire
pienamente con l’intelligenza e la volontà a quanto viene proposto dalla
Chiesa. La conoscenza della fede introduce alla totalità del mistero salvifico
rivelato da Dio. L’assenso che viene prestato implica quindi che, quando si
crede, si accetta liberamente tutto il mistero della fede, perché garante della
sua verità è Dio stesso che si rivela e permette di conoscere il suo mistero di
amore [18].
D’altra parte, non possiamo dimenticare che nel nostro
contesto culturale tante persone, pur non riconoscendo in sé il dono della
fede, sono comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della verità
definitiva sulla loro esistenza e sul mondo. Questa ricerca è un autentico
“preambolo” alla fede, perché muove le persone sulla strada che conduce al
mistero di Dio. La stessa ragione dell’uomo, infatti, porta insita l’esigenza
di “ciò che vale e permane sempre” [19]. Tale esigenza costituisce un invito
permanente, inscritto indelebilmente nel cuore umano, a mettersi in cammino per
trovare Colui che non cercheremmo se non ci fosse già venuto incontro [20].
Proprio a questo incontro la fede ci invita e ci apre in pienezza.
11. Per accedere a una conoscenza sistematica dei
contenuti della fede, tutti possono trovare nel Catechismo della
Chiesa Cattolica un sussidio prezioso ed indispensabile. Esso
costituisce uno dei frutti più importanti del Concilio Vaticano II. Nella Costituzione Apostolica Fidei depositum, non a caso firmata nella ricorrenza del
trentesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, il Beato Giovanni Paolo II scriveva: “Questo Catechismo apporterà un
contributo molto importante a quell’opera di rinnovamento dell’intera vita
ecclesiale… Io lo riconosco come uno strumento valido e legittimo al servizio
della comunione ecclesiale e come una norma sicura per l’insegnamento della
fede” [21].
E’ proprio in questo orizzonte che l’Anno della
fede dovrà esprimere un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei
contenuti fondamentali della fede che trovano nel Catechismo della
Chiesa Cattolica la loro sintesi sistematica e organica. Qui,
infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accolto,
custodito ed offerto nei suoi duemila anni di storia. Dalla Sacra Scrittura ai
Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i
secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui
la Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare
certezza ai credenti nella loro vita di fede.
Nella sua stessa struttura, il Catechismo della
Chiesa Cattolica presenta lo sviluppo della fede fino a toccare
i grandi temi della vita quotidiana. Pagina dopo pagina si scopre che quanto
viene presentato non è una teoria, ma l’incontro con una Persona che vive nella
Chiesa. Alla professione di fede, infatti, segue la spiegazione della vita
sacramentale, nella quale Cristo è presente, operante e continua a costruire la
sua Chiesa. Senza la liturgia e i Sacramenti, la professione di fede non
avrebbe efficacia, perché mancherebbe della grazia che sostiene la
testimonianza dei cristiani. Alla stessa stregua, l’insegnamento del Catechismo
sulla vita morale acquista tutto il suo significato se posto in relazione con
la fede, la liturgia e la preghiera.
12. In questo Anno, pertanto, il Catechismo della
Chiesa Cattolica potrà essere un vero strumento a sostegno della
fede, soprattutto per quanti hanno a cuore la formazione dei cristiani, così
determinante nel nostro contesto culturale. A tale scopo, ho invitato la Congregazione per la Dottrina della Fede, in accordo con i
competenti Dicasteri della Santa Sede, a redigere una Nota, con cui
offrire alla Chiesa ed ai credenti alcune indicazioni per vivere quest’Anno
della fede nei modi più efficaci ed appropriati, al servizio del credere e
dell’evangelizzare.
La fede, infatti, si trova ad essere sottoposta più
che nel passato a una serie di interrogativi che provengono da una mutata
mentalità che, particolarmente oggi, riduce l’ambito delle certezze razionali a
quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche. La Chiesa tuttavia non ha
mai avuto timore di mostrare come tra fede e autentica scienza non vi possa
essere alcun conflitto perché ambedue, anche se per vie diverse, tendono alla
verità [22].
13. Sarà decisivo nel corso di questo Anno
ripercorrere la storia della nostra fede, la quale vede il mistero insondabile
dell’intreccio tra santità e peccato. Mentre la prima evidenzia il grande
apporto che uomini e donne hanno offerto alla crescita ed allo sviluppo della
comunità con la testimonianza della loro vita, il secondo deve provocare in
ognuno una sincera e permanente opera di conversione per sperimentare la
misericordia del Padre che a tutti va incontro.
In questo tempo terremo fisso lo sguardo su Gesù
Cristo, “colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb
12,2): in lui trova compimento ogni travaglio ed anelito del cuore umano. La
gioia dell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza
del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al
vuoto della morte, tutto trova compimento nel mistero della sua Incarnazione,
del suo farsi uomo, del condividere con noi la debolezza umana per trasformarla
con la potenza della sua Risurrezione. In lui, morto e risorto per la nostra
salvezza, trovano piena luce gli esempi di fede che hanno segnato questi
duemila anni della nostra storia di salvezza.
Per fede Maria accolse la parola dell’Angelo e
credette all’annuncio che sarebbe divenuta Madre di Dio nell’obbedienza della
sua dedizione (cfr Lc 1,38). Visitando Elisabetta innalzò il suo canto
di lode all’Altissimo per le meraviglie che compiva in quanti si affidano a Lui
(cfr Lc 1,46-55). Con gioia e trepidazione diede alla luce il suo unico
Figlio, mantenendo intatta la verginità (cfr Lc 2,6-7). Confidando in
Giuseppe suo sposo, portò Gesù in Egitto per salvarlo dalla persecuzione di
Erode (cfr Mt 2,13-15). Con la stessa fede seguì il Signore nella sua
predicazione e rimase con Lui fin sul Golgota (cfr Gv 19,25-27). Con
fede Maria assaporò i frutti della risurrezione di Gesù e, custodendo ogni
ricordo nel suo cuore (cfr Lc 2,19.51), lo trasmise ai Dodici riuniti
con lei nel Cenacolo per ricevere lo Spirito Santo (cfr At 1,14; 2,1-4).
Per fede gli Apostoli lasciarono ogni cosa per seguire
il Maestro (cfr Mc 10,28). Credettero alle parole con le quali
annunciava il Regno di Dio presente e realizzato nella sua persona (cfr Lc 11,20).
Vissero in comunione di vita con Gesù che li istruiva con il suo insegnamento,
lasciando loro una nuova regola di vita con la quale sarebbero stati
riconosciuti come suoi discepoli dopo la sua morte (cfr Gv 13,34-35).
Per fede andarono nel mondo intero, seguendo il mandato di portare il Vangelo
ad ogni creatura (cfr Mc 16,15) e, senza alcun timore, annunciarono a
tutti la gioia della risurrezione di cui furono fedeli testimoni.
Per fede i discepoli formarono la prima comunità
raccolta intorno all’insegnamento degli Apostoli, nella preghiera, nella
celebrazione dell’Eucaristia, mettendo in comune quanto possedevano per
sovvenire alle necessità dei fratelli (cfr At 2,42-47).
Per fede i martiri donarono la loro vita, per
testimoniare la verità del Vangelo che li aveva trasformati e resi capaci di
giungere fino al dono più grande dell’amore con il perdono dei propri
persecutori.
Per fede uomini e donne hanno consacrato la loro vita
a Cristo, lasciando ogni cosa per vivere in semplicità evangelica l’obbedienza,
la povertà e la castità, segni concreti dell’attesa del Signore che non tarda a
venire. Per fede tanti cristiani hanno promosso un’azione a favore della
giustizia per rendere concreta la parola del Signore, venuto ad annunciare la
liberazione dall’oppressione e un anno di grazia per tutti (cfr Lc 4,18-19).
Per fede, nel corso dei secoli, uomini e donne di
tutte le età, il cui nome è scritto nel Libro della vita (cfr Ap 7,9;
13,8), hanno confessato la bellezza di seguire il Signore Gesù là dove venivano
chiamati a dare testimonianza del loro essere cristiani: nella famiglia, nella
professione, nella vita pubblica, nell’esercizio dei carismi e ministeri ai
quali furono chiamati.
Per fede viviamo anche noi: per il riconoscimento vivo
del Signore Gesù, presente nella nostra esistenza e nella storia.
14. L’Anno della fede sarà anche un’occasione
propizia per intensificare la testimonianza della carità. Ricorda san Paolo:
“Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la
più grande di tutte è la carità!” (1Cor 13,13). Con parole ancora più
forti - che da sempre impegnano i cristiani - l’apostolo Giacomo affermava: “A
che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella
fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e
sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace,
riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che
cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è
morta. Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere;
mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia
fede»” (Gc 2,14-18).
La fede senza la carità non porta frutto e la carità
senza la fede sarebbe un sentimento in balia costante del dubbio. Fede e carità
si esigono a vicenda, così che l’una permette all’altra di attuare il suo
cammino. Non pochi cristiani, infatti, dedicano la loro vita con amore a chi è
solo, emarginato o escluso come a colui che è il primo verso cui andare e il
più importante da sostenere, perché proprio in lui si riflette il volto stesso
di Cristo. Grazie alla fede possiamo riconoscere in quanti chiedono il nostro
amore il volto del Signore risorto. “Tutto quello che avete fatto a uno solo di
questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40): queste
sue parole sono un monito da non dimenticare ed un invito perenne a ridonare
quell’amore con cui Egli si prende cura di noi. E’ la fede che permette di
riconoscere Cristo ed è il suo stesso amore che spinge a soccorrerlo ogni volta
che si fa nostro prossimo nel cammino della vita. Sostenuti dalla fede,
guardiamo con speranza al nostro impegno nel mondo, in attesa di “nuovi cieli e
una terra nuova, nei quali abita la giustizia” (2Pt 3,13; cfr Ap
21,1).
15. Giunto ormai al termine della sua vita, l’apostolo
Paolo chiede al discepolo Timoteo di “cercare la fede” (cfr 2Tm 2,22)
con la stessa costanza di quando era ragazzo (cfr 2Tm 3,15). Sentiamo
questo invito rivolto a ciascuno di noi, perché nessuno diventi pigro nella
fede. Essa è compagna di vita che permette di percepire con sguardo sempre
nuovo le meraviglie che Dio compie per noi. Intenta a cogliere i segni dei
tempi nell’oggi della storia, la fede impegna ognuno di noi a diventare segno
vivo della presenza del Risorto nel mondo. Ciò di cui il mondo oggi ha
particolarmente bisogno è la testimonianza credibile di quanti, illuminati
nella mente e nel cuore dalla Parola del Signore, sono capaci di aprire il
cuore e la mente di tanti al desiderio di Dio e della vita vera, quella che non
ha fine.
“La Parola del Signore corra e sia glorificata” (2Ts
3,1): possa questo Anno della fede rendere sempre più saldo il
rapporto con Cristo Signore, poiché solo in Lui vi è la certezza per guardare
al futuro e la garanzia di un amore autentico e duraturo. Le parole
dell’apostolo Pietro gettano un ultimo squarcio di luce sulla fede: “Perciò
siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo,
afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più
preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco – torni
a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate,
pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di
gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la
salvezza delle anime” (1Pt 1,6-9). La vita dei cristiani conosce
l’esperienza della gioia e quella della sofferenza. Quanti Santi hanno vissuto
la solitudine! Quanti credenti, anche ai nostri giorni, sono provati dal
silenzio di Dio mentre vorrebbero ascoltare la sua voce consolante! Le prove
della vita, mentre consentono di comprendere il mistero della Croce e di
partecipare alle sofferenze di Cristo (cfr Col 1,24), sono preludio alla
gioia e alla speranza cui la fede conduce: “quando sono debole, è allora che
sono forte” (2Cor 12,10). Noi crediamo con ferma certezza che il Signore
Gesù ha sconfitto il male e la morte. Con questa sicura fiducia ci affidiamo a
Lui: Egli, presente in mezzo a noi, vince il potere del maligno (cfr Lc
11,20) e la Chiesa, comunità visibile della sua misericordia, permane in Lui
come segno della riconciliazione definitiva con il Padre.
Affidiamo alla Madre di Dio, proclamata “beata” perché
“ha creduto” (Lc 1,45), questo tempo di grazia.
Dato a Roma, presso San Pietro, l’11 ottobre dell’Anno 2011, settimo di Pontificato.
Dato a Roma, presso San Pietro, l’11 ottobre dell’Anno 2011, settimo di Pontificato.
Benedetto XVI
NOTE
[1] Omelia per l’inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma (24 aprile 2005): AAS 97(2005), 710.
[1] Omelia per l’inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma (24 aprile 2005): AAS 97(2005), 710.
[2] Cfr BENEDETTO XVI, Omelia S. Messa al Terreiro do Paço, Lisbona (11 maggio 2010):
Insegnamenti VI,1(2010), 673.
[3] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994), 113-118.
[4] Cfr Rapporto finale del Secondo Sinodo Straordinario dei Vescovi (7 dicembre 1985), II, B, a, 4: in Enchiridion Vaticanum, vol. 9, n. 1797.
[5] PAOLO VI, Esort. ap. Petrum et Paulum Apostolos, nel XIX centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo (22 febbraio 1967): AAS 59(1967), 196.
[6] Ibid., 198.
[7] PAOLO VI, Solenne Professione di fede, Omelia per la Concelebrazione nel XIX centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, a conclusione dell’ “Anno della fede” (30 giugno 1968): AAS 60(1968), 433-445.
[8] ID., Udienza Generale (14 giugno 1967): Insegnamenti V(1967), 801.
[9] GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 57: AAS 93(2001), 308.
[10] Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2005): AAS 98(2006), 52.
[11] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 8.
[12] De utilitate credendi, 1,2.
[13] Cfr AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, I,1.
[14] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 10.
[15] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994), 116.
[16] Sermo 215,1.
[17] Catechismo della Chiesa Cattolica, 167.
[18] Cfr CONC. ECUM. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. III: DS 3008-3009; CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 5.
[19] BENEDETTO XVI, Discorso al Collège des Bernardins, Parigi (12 settembre 2008): AAS 100(2008), 722.
[20] Cfr AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, XIII, 1.
[21] GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994), 115 e 117.
[22] Cfr ID., Lett. enc. Fides et ratio (14 settembre 1998), nn. 34 e106: AAS 91(1999), 31-32, 86-87.
[3] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994), 113-118.
[4] Cfr Rapporto finale del Secondo Sinodo Straordinario dei Vescovi (7 dicembre 1985), II, B, a, 4: in Enchiridion Vaticanum, vol. 9, n. 1797.
[5] PAOLO VI, Esort. ap. Petrum et Paulum Apostolos, nel XIX centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo (22 febbraio 1967): AAS 59(1967), 196.
[6] Ibid., 198.
[7] PAOLO VI, Solenne Professione di fede, Omelia per la Concelebrazione nel XIX centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, a conclusione dell’ “Anno della fede” (30 giugno 1968): AAS 60(1968), 433-445.
[8] ID., Udienza Generale (14 giugno 1967): Insegnamenti V(1967), 801.
[9] GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 57: AAS 93(2001), 308.
[10] Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2005): AAS 98(2006), 52.
[11] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 8.
[12] De utilitate credendi, 1,2.
[13] Cfr AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, I,1.
[14] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 10.
[15] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994), 116.
[16] Sermo 215,1.
[17] Catechismo della Chiesa Cattolica, 167.
[18] Cfr CONC. ECUM. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. III: DS 3008-3009; CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 5.
[19] BENEDETTO XVI, Discorso al Collège des Bernardins, Parigi (12 settembre 2008): AAS 100(2008), 722.
[20] Cfr AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, XIII, 1.
[21] GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994), 115 e 117.
[22] Cfr ID., Lett. enc. Fides et ratio (14 settembre 1998), nn. 34 e106: AAS 91(1999), 31-32, 86-87.
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