venerdì 7 giugno 2019

PERCHE’ GLI OPERAI VOGLIONO TRUMP E LE DESTRE



Trump aiuta gli operai la sinistra se li scorda
di Federico Rampini

Constatare che i ceti popolari in tutto l’Occidente votano a destra, non turba gli intellettuali progressisti. La risposta è pronta, e rassicurante: gli operai, il vasto mondo del precariato, il ceto medio impoverito, “votano contro i propri interessi”. Eleggono dei demagoghi, come Donald Trump, che parlano “alla pancia della gente”. I leader populisti aizzano i peggiori istinti – come la xenofobia – ma quando governano non aiutano quella base che li ha portati al potere. Ha un’antica tradizione l’arroganza di chi descrive i ceti meno privilegiati come una massa di “utili idioti” pronti a farsi ingannare e tradire.


gli operai della Rust Belt
Le avanguardie rivoluzionarie – dai giacobini ai bolscevichi, dai terroristi anarchici alle Brigate Rosse, da Gabriele D’Annunzio al giovane Benito Mussolini – hanno sempre pensato di interpretare l’interesse del popolo molto meglio del popolo stesso. Ma è davvero così? Il popolo-bue, nel votare Donald Trump ha preso un abbaglio colossale? In realtà il Sovranista Capo sta mantenendo alcune promesse fatte proprio a quella classe operaia che fu decisiva per portarlo alla Casa Bianca nel 2016. La crescita economica accelera (+3,2% del Pil nel primo trimestre), il pieno impiego è vicino (3,6% di disoccupazione, un minimo storico), e anche i salari stanno finalmente crescendo più dell’inflazione.

Le diseguaglianze continuano ad aumentare, certo: ma Trump non ha promesso di ridurle e non è stato eletto su un programma socialista. In compenso i lavoratori americani stanno un po’ meglio ora che durante gli otto anni di Barack Obama. Il Sovranista Capo ha mantenuto la promessa di intavolare un duro confronto con la Cina per ottenere reciprocità nel commercio bilaterale. Non è chiaro se questo stia contribuendo alla buona salute dell’economia americana: probabilmente no. Ma è stato smentito chi prevedeva un’Apocalisse da protezionismo (cioè la totalità degli economisti di sinistra, talvolta gli stessi che sulla globalizzazione e il liberoscambio furono critici in passato).

Per i metalmeccanici del Michigan, per i siderurgici e i minatori della Pennsylvania – quella classe operaia in carne ed ossa, di cui molti intellettuali progressisti hanno già celebrato la definitiva scomparsa – Trump non è un millantatore. Fu invece un millantatore il presidente democratico Bill Clinton: promise che i grandi accordi di libero scambio avrebbero portato a un aumento medio di 17.000 dollari annui nel reddito di ogni famiglia americana. Quella sì, fu una promessa non mantenuta. Una parte dei leader democratici, almeno negli Stati Uniti, sembra aver capito la lezione del 2016. Il capogruppo dell’opposizione al Senato, Chuck Schumer, non critica affatto i dazi di Trump, anzi incalza il presidente perché tenga duro con la Cina.

Non è con il globalismo che i democratici riconquisteranno la fascia della Rust Belt, i vecchi Stati industriali. Bernie Sanders, il senatore del Vermont che ci riprova dopo aver perso per un soffio la nomination contro Hillary Clinton, è un socialista vecchio stampo anche sull’immigrazione. Cioè è convinto che i flussi di stranieri vadano regolati. È quel che accadde nel periodo in cui l’America fu socialdemocratica: tra le due presidenze di Franklin Roosevelt e John Kennedy, quando costruì un Welfare moderno e inclusivo, rafforzò i diritti dei lavoratori e il potere sindacale, alzò le tasse sui ricchi a livelli svedesi. Fu in quello stesso periodo che i flussi migratori furono ridotti da regole severe e la quota di popolazione straniera scese al 5%, un minimo storico.

Poi venne l’apertura delle frontiere, e subito ebbe inizio lo smantellamento del contratto sociale, l’attacco al Welfare e ai sindacati, il trionfo del liberismo e delle diseguaglianze, insomma la vittoria del capitale sul lavoro. La sinistra intellettuale, negli Stati Uniti come in Europa, si è innamorata della società multietnica. Ma ha delegato l’integrazione degli stranieri ad altri: chi vive negli stessi caseggiati popolari con l’ultima ondata di immigrati, non appartiene allo stesso ceto che si esprime nei talkshow televisivi.
Quella sinistra che parla come le agenzie di rating, che si allea con i chief executive e l’Uomo di Davos, ha spostato la sua rappresentanza verso altri interessi.

Nessun commento:

Posta un commento