Berlusconi e Wikileaks: il rapporto travisabile
La pubblicazione dell’intero dispaccio scritto dalla diplomatica americana Elizabeth Dibble a proposito di Silvio Berlusconi illumina un problema che nei giorni convulsi di Wikileaks viene spesso dimenticato: il contesto.
Nella relazione scritta dall’ambasciata americana a Roma il 9 giugno 2009 e inviata direttamente al presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, il Cav. non è esattamente descritto come il leader “inetto, vacuo e inefficace”, il “portavoce di Putin”, il premier che “non riposa abbastanza”, come raccontato dai giornali dopo le prime, parziali rivelazioni del sito di Julian Assange; letto nella sua interezza, il ritratto di Berlusconi è quello di un leader certamente originale e anche criticabile a livello personale, ma uno statista capace di governare e un alleato fedele degli Stati Uniti che – per necessità che non sfuggono alla diplomatica Dibble – coltiva relazioni che fanno alzare qualche soppracciglio al dipartimento di stato.
“La nostra relazione con Berlusconi è complessa”, scrive Dibble, “ci ha aiutato a sviluppare i nostri interessi su molti piani in un modo e una dimensione che il governo precedente non era intenzionato o capace di perseguire, sia dal suo ritorno al potere la scorsa primavera che nei suoi precedenti governi”. Dibble, che scrive a Obama alla vigilia dell’incontro del G8 all’Aquila, entra nei dettagli dell’alleanza e distingue chiaramente due piani: da una parte c’è il Berlusconi capo affidabile di un governo storicamente alleato che lavora per non perdere rilevanza nel panorama internazionale, che è fedele e solerte nel rispettare “l’impegno morale con gli Stati Uniti” e che “ha sempre accettato le nostre richieste, nonostante i rischi per la politica interna”. Si citano i dossier fondamentali, soprattutto l’Afghanistan, e il lavoro fatto dal Cav. sulle basi americane in Italia. “Berlusconi è uno dei politici che dura da più tempo in Europa e la sua popolarità in Italia garantisce la sua influenza nel panorama politico italiano dei prossimi anni. Ha fatto terminare il periodo dei governi italiani inefficienti e deboli che hanno afflitto questo paese dalla fine della Seconda guerra mondiale”, scrive Dibble.
Dall’altra c’è il Berlusconi “non ortodosso”, quello delle gaffe e del chiacchiericcio, dei rapporti “non trasparenti” con la Russia. E’ questo secondo volto che ha “portato molti, inclusi alcuni nel governo americano, a ritenerlo inetto, vacuo e inefficace come leader europeo moderno”. Non è un mistero che al dipartimento di stato alcuni operativi di medio e alto livello non vedano di buon occhio la relazione con il governo Berlusconi: il segretario per gli Affari europei, Philip Gordon, è fra questi, ma la relazione con l’Italia è appunto “complessa”: Gordon è stato ad esempio l’uomo che durante la campagna elettorale di Obama ha fatto saltare l’ipotesi di una tappa in Italia durante il tour europeo. Fonti vicine al dipartimento di stato spiegano che quella era esattamente il contrario di una mossa antiberlusconiana: Washington temeva piuttosto che il passaggio di Obama potesse rafforzare il Pd veltroniano e obamiano contro un Berlusconi che, per quanto guascone, è alleato affidabile sui dossier che contano.
L’autrice dei cable, Elizabeth Dibble, è stata descritta come una specie di spia americana incaricata di attaccare Berlusconi da via Veneto, ma fonti che conoscono bene l’ambasciata americana dicono che semmai è vero il contrario: Dibble voleva con tutte le forze rimanere in servizio in Italia, mentre a ottobre è stata riassegnata a Foggy Bottom perché si sapeva ormai che Wikileaks aveva in mano documenti che, opportunamente ritagliati, rimasticati e risputati, l’avrebbero messa in imbarazzo.
Alla cena romana d’addio, con i colleghi dell’ambasciata, la Dibble era in lacrime. Ma il giudizio che la diplomatica dà nel 2009 su Berlusconi è inequivocabile: “Quella di liquidare Berlusconi come un interlocutore poco serio, con le sue fissazioni personali, le sue gaffe e talvolta il suo modo di agire spregiudicato in politica, potrebbe essere una tentazione, ma pensiamo si tratterebbe di un errore. Nonostante i suoi difetti, Berlusconi è stato la pietra di paragone della politica italiana per gli ultimi quindici anni, e tutto sembra indicare che lo sarà ancora per gli anni a venire. Egli si è dimostrato un alleato e un amico degli Stati Uniti”. Al vertice Osce di Astana, il segretario di stato, Hillary Clinton, ha detto che Berlusconi è il “miglior amico dell’America”, formula subito bollata da Repubblica come brodaglia diplomatica servita per riparare la verità di Wikileaks; ma i dispacci, letti nel contesto, dicono che l’affezione di Hillary è vera nella sostanza e il segretario non ha perso occasione per dare un altro segnale all’Italia a proposito dell’Afghanistan, dossier fondamentale per giudicare l’alleanza. All’ex inviato speciale della Farnesina in Afghanistan e Pakistan, Massimo Iannucci, Hillary ha consegnato un biglietto di ringraziamento che va oltre ogni linguaggio diplomatico. Non si sa se si sia espressa in termini “migliori amici”, ma il concetto è quello.
Mattia Ferraresi
Tratto da Il Foglio del 6 dicembre 2010
Tratto da Il Foglio del 6 dicembre 2010
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