Ritratto
del pm De Pasquale: dal suicidio di Cagliari durante Tangentopoli al
"confino" per Colucci. Perfino Borrelli lo sgridò
di Filippo Facci
Tratto da Libero del 26 febbraio 2012
di Filippo Facci
Tratto da Libero del 26 febbraio 2012
Il
proscioglimento per prescrizione era stato richiesto dalla difesa in subordine
all’assoluzione piena: e basterebbe questo a decretare vincitori e vinti. O
forse bastava il sorriso dell’avvocato Ghedini, o meglio ancora: bastava la
faccia del pm Fabio De Pasquale, che non si capisce neanche che cosa sperasse
di ottenere. Forse una condanna «morale»: come se il sistema penale servisse a
questo.
I giudici
non hanno deciso sul merito, ecco tutto: sicché per appiccicare a Berlusconi lo
status di «corruttore» (che i suoi nemici, tanto, gli attribuivano già) occorre
riesumare la Cassazione del processo Mills (il primo) laddove l’avvocato inglese
in effetti figura corrotto: dimenticando che però Berlusconi, in quel processo,
non era imputato, anche perché nessuno può essere processato due volte per lo
stesso reato. Pare invero pretestuoso anche appellarsi all’ennesima legge ad
personam: la norma che ha accorciato la prescrizione (da 15 a 10 anni, in
questo caso) è del 2005, prima ancora del rinvio a giudizio e due anni prima
che il processo, tra un rinvio e l’altro, cominciasse effettivamente.
Significa, non fosse chiaro, che non è mai esistito il minimo dubbio - sin
dall’inizio - sul fatto che sarebbe finita così: ci si poteva soltanto
accapigliare sulla data precisa della prescrizione, ma non su di essa. Il primo
novembre 2006, senza particolari doti divinatorie, lo scrivente la mise così: «L’ottavo
rinvio a giudizio per Berlusconi su tredici tentativi non andrà a finire da
nessuna parte: la prescrizione è pressochè garantita». Prescrizione che perciò
non può certo definirsi un «incidente», e che pone dubbi retorici circa una
giustizia che a fronte di tre milioni di arretrati butta via tempo e soldi e
stipendi (quelli dei magistrati) per inseguire una prescrizione certa, un
proscioglimento certo, e tutto per il puntiglio di toghe ad personam. Tra
l’altro c’è il forte rischio che non sia ancora finita, visto che le difese
paiono decise a impugnare la sentenza - per ottenere l’assoluzione piena - e
così pure il pm ha detto che «valuterà» se ricorrere in Cassazione. La follia
potrebbe continuare, insomma: ma qui meriterebbe un discorsetto personale il pm
Fabio De Pasquale, se non fosse che ha la querela facile.
Occorrerebbe
chiedersi, tuttavia, che cosa sarebbe di un pm come lui se fossimo negli Usa,
laddove la carriera dell’accusa è commisurata ai successi che ottiene. De
Pasquale, per dire, nei primi anni Novanta fu capace di mettere d’accordo
l’intero Parlamento a margine di un’inchiesta sui fondi neri Assolombarda,
quando l’intero emiciclo - sinistre e forcaioli compresi - respinse le
richieste di autorizzazione a procedere per due deputati liberali e due
repubblicani: l’intento del pm fu giudicato «persecutorio» dall’intero arco
costituzionale. Poi ci furono le frizioni col Pool e in particolare con Di
Pietro: litigarono per la gestione dell’indagato Pierfrancesco Pacini Battaglia
(Di Pietro, accentratore, lo voleva tutto per sé) sino a un litigio furioso nel
tardo settembre 1993, quando un certo latitante, Aldo Molino, sbarcò a Linate e
si consegnò a Di Pietro nonostante fosse ricercato da De Pasquale. Volarono
urla.
È lo stesso
periodo in cui il pm condusse anche la chiassosa indagine sul regista Giorgio
Strehler (chiese la pena massima, ma Strehler fu assolto con formula piena) e
così pure l’indagine sui fondi Cee, roba con percentuali di assoluzione
mostruose. Pochi ricordano quest’ultimo caso, eppure fu cornice di uno degli
episodi più raccapriccianti del periodo di Mani pulite, stigmatizzato anche dal
procuratore capo Francesco Saverio Borrelli: l’indagato Michele Colucci,
socialista, fu ammanettato e trascinato nella calca dei giornalisti sinché
svenne; in precedenza De Pasquale aveva ottenuto per Colucci il provvedimento
addirittura del confino, soluzione adottata di norma per i mafiosi. Arrestato,
le condizioni del detenuto sessantenne si fecero drammatiche (come svariate
perizie mediche confermarono) ma l’atteggiamento di De Pasquale rimase
durissimo, tanto che fece di tutto per farlo finire comunque a San Vittore
anziché in ospedale. La figlia di Colucci, giornalista della Rai, fece un
pubblico appello che fu raccolto da politici e da giornalisti anche noti, come
Gad Lerner. Nonostante la ferocia dell’opinione pubblica di quel periodo, alla
fine Colucci, da poco trapiantato di cuore, ottenne gli arresti domiciliari per
quanto strettissimi. Dopo nove mesi di carcerazione detentiva, alla fine, il
pericoloso criminale potè uscire: sarà assolto in Cassazione. Un altro successo
di De Pasquale.
Poi c’è il
noto caso di Gabriele Cagliari, celebre indagato di Mani pulite. Dai verbali
del suo legale, Vittorio D’Ajello: «Il dottor Fabio De Pasquale, alla fine
dell’interrogatorio, disse al Cagliari che avrebbe dato parere favorevole alla
sua libertà, affermando espressamente rivolto al Cagliari: “Lei me l’ha messo
in culo, ma io devo liberarla”». Gli ispettori ministeriali, senza punire il
magistrato, conclusero: «Il dott. De Pasquale, con espressioni non consone, ha
tenuto dei comportamenti certamente discutibili (...) soprattutto per avere
promesso a un indagato che era in carcere da oltre centotrenta giorni, di età
avanzata e in condizione di grave prostrazione psichica, che avrebbe espresso
parere favorevole (...) e di avere invece assunto una posizione negativa senza
però interrogare nuovamente lo stesso indagato, impedendogli, così, di fatto,
di potersi ulteriormente difendere. È mancato quel massimo di prudenza, misura
e serietà che deve sempre richiedersi quando si esercita il potere di incidere
sulla libertà altrui». Cagliari si ammazzò in carcere, per chi non lo
ricordasse: dopo che De Pasquale gli aveva promesso la liberazione e invece se
n’era partito per le ferie estive, fra Capo Peloro e Punta Faro, Sicilia
orientale. Poi via, verso nuovi insuccessi. Tipo quello di ieri.
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