Marco Bersanelli ricorda Margherita Hack

Mi ha sempre colpito questa sua ostinazione sulla questione religiosa, quasi si agitasse in lei un tormento, o forse come lei avrebbe detto una fede sui generis: «tanto il credente che il non credente non possono dimostrare scientificamente l’esistenza o la non esistenza di Dio, si tratta in ambedue i casi di fede». Sono parole del suo ultimo libro, “Il mio infinito. Dio, la vita e l’universo nelle riflessioni di una scienziata atea”. In questo libro, nel confermare con fierezza le sue posizioni radicali, in alcuni passaggi Margherita si dimostra più aperta rispetto a certe rigidità del passato. Ad esempio, indica (e forse auspica?) la strada del tutto condivisibile e positiva per un dialogo tra posizioni diverse: «ateo e credente possono anche dialogare, a patto che ambedue siano “laici”, nel senso che rispettano le credenze o le fedi dell’altro senza volere imporre le proprie». Ed esprime il limite intrinseco del metodo scientifico, riconoscendo che la scienza non è in grado di rispondere alle domande di significato: «la scienza sviscera le cause piccole e grandi di quello che c’è, non il perché c’è. Non spiega, né potrà mai spiegare perché c’è l’universo, perché c’è la vita».
Ma nella sua visione quelle domande di significato si trovano abbandonate nel binario morto dell’opinione, del sentimento, della scelta arbitraria, dell’irrazionalità. Le domande a cui non sappiamo rispondere, dice la Hack, si dividono in due grandi categorie: quelle che resteranno sempre senza risposta e quelle che ci appaiono oggi inaccessibili ma che non si può escludere un giorno possano essere affrontate: «alla prima categoria appunto appartiene il perché c’è l’universo e non il nulla». Raramente la moderna divisione tra sapere e credere è stata espressa tanto sinteticamente: da questo punto di vista la Hack ha dato voce alla posizione culturale più diffusa nella nostra mentalità.
A me pare che la religione che Margherita disdegnava era legata a un’idea ridotta di Dio e a un’idea moralistica della fede. Non poteva sopportare che Dio fosse una svendita del bisogno umano di comprendere, la «scappatoia per spiegare quello che la scienza non sa ancora spiegare». Mentre l’uomo è fatto per conoscere, la fede come lei la intendeva e la conosceva era piuttosto una passività, un rifugio, un’auto-consolazione. Ma la Fede è ben altro! Così oggi che Margherita è scomparsa dispiace che non ci siano state più occasioni di dialogo, di confronto, per provare a intendersi meglio. E mi domando quanto noi scienziati credenti abbiamo saputo e desiderato veramente esprimere e testimoniare una Fede viva, capace di dimostrarsi incidente nel nostro lavoro, di rendere più desiderabile la conoscenza e più viva la ricerca. Il ricordo di Margherita, e la sua inedita assistenza dal cielo, possa aiutare tutti noi a essere più autentici nel vivere e condividere ciò in cui crediamo.
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