Nasce Fondazione Tempi
Un settimanale e i suoi lettori per alimentare
un’inquietudine culturale
In mezzo al conformismo e alle campagne moraliste che seminano solo paura
del futuro, uno strumento a disposizione degli amici di Tempi per promuovere
incontri e iniziative
«Un giornale ha un ruolo decisivo. Può
infatti essere l’equivalente di uno scriba di israeliana memoria, cioè il
feroce propugnatore del pensiero del potere, quello che affonda il tacco sul
pensiero dell’opposizione (…); oppure può diventare la comunicazione di quel
principio per cui la fede può essere veramente vivibile, cioè un fatto di
umanità significativamente rinnovato, un fatto di appartenenza». Bisogna
ripescare uno dei passaggi dell’intervento di Giancarlo Cesana durante la
presentazione ufficiale della Fondazione Tempi per spiegare le motivazioni
identitarie profonde che hanno spinto un giornale come il nostro a fare un
passo in più. Il passo è quello della costituzione di una Fondazione che
attraverso diverse attività di carattere culturale si propone come punto di
dibattito e raccolta di idee, utili per l’attività editoriale del settimanale,
ma non solo.
La Fondazione si occupa infatti di
affrontare attraverso iniziative pubbliche le tematiche culturali più urgenti
nel nostro paese, grazie a una rete di aderenti (lettori e “amici” del
settimanale) presenti in tutta Italia. In questo senso la sua natura vuole
essere ampiamente aperta. Non è un mistero, infatti, che dal momento della sua
nascita, nel 1995, il nostro settimanale ha potuto contare su un gruppo di
lettori crescente e soprattutto fedele. Spesso e volentieri sono i lettori che
segnalano eventi, storie, iniziative che giudicano utili alla “libera
circolazione di idee” che Tempi è nato per favorire. La Fondazione vuole
essere dunque uno strumento che facilita questa preziosa collaborazione per
fare in modo che non se ne disperdano il valore e la memoria e per aumentarne
l’efficacia. Ma quali sono le battaglie, le urgenze di quelli che nel luglio
scorso, durante l’evento di presentazione della Fondazione, tutti i relatori
(dal direttore Amicone, al vescovo di Carpi, al ministro Quagliariello fino a Giancarlo
Cesana) hanno definito tempi duri? Perché parlare di tempi duri e che tipo di
atteggiamento questa considerazione detta sul modo di agire nella realtà?
«Viviamo nella paura»
«Non credo di dire una cosa sconvolgente – ha detto monisgnor Cavina – affermando che tutti viviamo nella paura e nell’ansia. Abbiamo paura dei pericoli che abbiamo fabbricato con le nostre mani (disastro ecologico, energia nucleare, modificazione genetica), della situazione economica mondiale, del futuro nostro e delle generazioni che ci seguono. Ma la paura genera angoscia, tristezza, immobilismo…». Oggi, ha detto Cesana citando alcuni passaggi dell’enciclica Lumen Fidei, è come se mancasse l’aria. «Perché la fede è completamente separata dalla modalità attraverso cui l’uomo si mette a cercare quello che vuole».
«Non credo di dire una cosa sconvolgente – ha detto monisgnor Cavina – affermando che tutti viviamo nella paura e nell’ansia. Abbiamo paura dei pericoli che abbiamo fabbricato con le nostre mani (disastro ecologico, energia nucleare, modificazione genetica), della situazione economica mondiale, del futuro nostro e delle generazioni che ci seguono. Ma la paura genera angoscia, tristezza, immobilismo…». Oggi, ha detto Cesana citando alcuni passaggi dell’enciclica Lumen Fidei, è come se mancasse l’aria. «Perché la fede è completamente separata dalla modalità attraverso cui l’uomo si mette a cercare quello che vuole».
Come scrive papa Francesco nell’enciclica:
«Si è pensato di poterla conservare (la fede) di trovare per essa uno spazio
perché convivesse con la luce della ragione. Lo spazio della ragione si apriva
lì dove la ragione non poteva illuminare, lì dove l’uomo non poteva avere
certezze. La fede è stata intesa come un salto nel vuoto che compiamo per
mancanza di luce, spinti da un sentimento cieco; o come una luce soggettiva,
capace forse di riscaldare il cuore, di portare una consolazione privata, ma
che non può proporsi agli altri come luce oggettiva e comune per rischiarare il
cammino. Poco a poco, però, si è visto che la luce della ragione autonoma non
riesce ad illuminare abbastanza il futuro; alla fine esso resta nella sua
oscurità e lascia l’uomo nella paura dell’ignoto. (…) Quando manca la luce,
tutto diventa confuso, è impossibile distinguere il bene dal male, la strada
che porta alla meta da quella che ci fa camminare in cerchi ripetitivi, senza
direzione».
«La proposta dentro la società moderna –
ha proseguito Cesana – è questa: un comportamento – quello che corrisponde al
politicamente corretto –, sostenuto dal potere, deve dominare su tutti gli
altri. Basti pensare alle nozze gay, a certo giustizialismo, alla cultura del
grillismo: gli atteggiamenti così moralistici di tanta politica di oggi non
bastano, perché in essi non ci si può impegnare tutto se stessi e, alla fine,
sono vissuti da tutti come una specie di inevitabile imposizione. Infatti, è
proprio impressionante la velocità con cui si cambiano le bandiere». «Tra di
noi che siamo qui, invece, mi pare ci sia il tentativo, di cui non potremo
essere mai abbastanza grati, di fare qualcosa di diverso, ovvero di ribadire il
principio di un’appartenenza. Non è un mistero per nessuno che dietro
l’esperienza di Tempi c’è Comunione e Liberazione: noi non dobbiamo
essere un fattore di rappresentanza, nel senso che non è che siamo
rappresentanti di ciò a cui apparteniamo, ma siamo responsabili di ciò a cui
apparteniamo e, certamente, in questa responsabilità verremo giudicati dagli
altri anche come rappresentanti. La preoccupazione non è di essere
rappresentante di, ma di essere fino in fondo responsabile di quello che
definisce, che ha costruito, la nostra umanità. E credo che l’iniziativa di
oggi voglia proprio invitare a fare dell’appartenenza di ciascuno, in modo
assolutamente laico, popolare, una possibilità di proposta, di incontro e di
approfondimento su un piano che è decisamente prepolitico, non perché si
disprezzi la politica, ma perché si vuole dare forza ideale alla decisione
politica. Credo che la nascita di questa Fondazione sia proprio una decisione
d’ingaggio nelle scelte culturali e politiche del mondo di oggi. Si tratta
sicuramente di una posizione minoritaria, ma d’altra parte sono sempre state le
minoranze a cambiare il mondo, mentre sono le maggioranze che lo conservano. Ci
deve essere, inoltre, una possibilità d’aiuto reciproco e, secondo me,
sistematico (comunicazione delle notizie, sostegno al giornale, etc). Bisogna
alimentare una inquietudine culturale».
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