domenica 29 settembre 2013

MAMMA MORMORA LA BOLDRINI


Elogio della massaia rurale

Mamma, mormora la Boldrini, mai più con spot e biscotti. Non capisce, la moderna, la natura dell’accudire che invece è eterna. Il focolare, un trasfigurare d’amore nella sostanza di roba e ciccia

Mamma, mormora la Boldrini, mai più con la pappa e coi biscotti. Ma dire che non se ne può più di mamme col grembiule e la pasta pronta significa dire che non se ne può più della mamma in quanto mamma, parliamone pure, sfasciamo volentieri tutti i tabù e l’enunciato ha solo questo significato: liberiamoci della mamma.

Mamma, mormora la Boldrini, mai più con certi spot. Se Laura Boldrini, dunque, non vuole saperne di pubblicità dove il genitore 1 fa il genitore 1 – cioè la locomotiva – e il genitore 2 fa il genitore 2 – dunque la vivandiera – significa che non vuole saperne più di una divisione di ruoli dove la femmina è quella che mette a dimora la vita, nutrendola, e il maschio, civilizzazione a parte, è quello che la difende, la vita. Procurando il cibo.

Mamma, mormora ancora la Boldrini, basta con un’idea della donna relegata ai fornelli. Ma la natura ancora non lo sapeva di tutti questi problemi derivati dalla modernità. L’ignorante natura neppure lo immaginava che dopo le bocche da sfamare sarebbero sopraggiunte le bollette da pagare. Nessuno, neppure Rousseau, nell’affollarsi di lavatrici, poteva immaginare la necessità di lavorare in due, correre in due, uscire di casa in due e siccome con la correttezza ideologica la nostra razza sarà sempre assai più povera di desideri che di buoni propositi, parliamone pure, tanto di mamma ce n’è una sola e quella solo questo fa: accudisce. E stampa in faccia al pupo il marchio indelebile di un monoteismo travestito da bisogno primario, questo: non avrai altra mamma che la mamma.

Mamma, ha mormorato infine la Boldrini, mai più donne accudenti. All’estero – ha detto il presidente della Camera – cose così non le fanno. E però – va bene – parliamone. Ci fosse stata Maria Antonietta di Francia avrebbe già risolto: si sarebbe fatto carico la servitù di portare a tavola le brioche per lei e per i pupi ma non si può pensare di anticipare a tal punto l’avvenire chiedendo alla mamma di trasformarsi in un’infelice, orba del predominio assoluto sul rito del focolare.
Ecco, il focolare. Se proprio non c’è più, c’è un retaggio. Ancora meglio: un istinto. E il focolare non è nel celebrato angelo retorico col grembiule e il mestolo.

Il focolare è quel trasfigurare d’amore nella sostanza di roba e ciccia. Boldrini che è magister del sentimento diffuso nel bla-bla umanitario forse sa di diritti, certamente di emancipazione e di sicuro sa anche di sessualità liberate ma sembra non conoscere la scienza umanissima dell’economia domestica. Il mettere a cuocere è il mettere mani sul destino dei propri figli. Perfino il marito, l’uomo, quel simulacro di autorità qual è il maschio, è solo un tramite di panza e presenza laddove quest’ultima però, già nel ruolo suo di vir, è spirito vivo di un procedere di carni che fanno il mestiere dell’eredità.
Roba, ciccia e spirito, quindi. Ed è un qualcosa che gli spot, oggi, replicano nella necessità di far commercio sapendo di trovare in Italia, nella patria delle massaie, una vena ricca di rimandi profondi, giusto per cantare “La Canzone della Terra” con Lucio Battisti: “Al risveglio alla mattina / quando il gallo mi apre gli occhi alle quattro di mattina / prima cosa polenta a fette e nell’aria voglio sentire il profumo del caffellatte”. In verità, il testo, ha strofe pericolose sul tipo “devi, devi e devi”.

I rimandi sono rimandi e tutto quel cantare del villico, nell’interpretazione di Battisti, non è un capriccio decorativo, ma un cantar chiaro: “Prima cosa voglio trovare il piatto pronto da mangiare e il bicchiere dove bere”. Certo, la natura resta ignorante e non si può determinare la provenienza di tutto un retaggio attenendosi a una canzone. Anche la vedova Battisti, per come la conosciamo dalle cronache, durissima e invincibile qual è, rivela un profilo coriaceo e terragno ma se un solo remo è insufficiente indizio per conoscere un grande mare, la sceneggiatura di un qualsiasi spot, con tanto di papà e pupi, quando verte su quel codice, sta riportando in scena la massaia. Come da bisogno primario. Come da monoteismo travestito.

Certo, mormora la Boldrini, ma la massaia, specie quella rurale, è il modello unico di grande madre su cui l’identità italiana – dal “Mulino del Po” di Riccardo Bacchelli a “Canale Mussolini” di Antonio Pennacchi, giusto per citare due capolavori della letteratura – ha da sempre confermato l’istinto, anzi, il principio: quello di realtà. Di mamma ce n’è una sola perché nell’essenza, questa, è massaia. E solo una cosa, fa: accudisce.

© - FOGLIO QUOTIDIANO


 

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