La lettera a
Scalfari di papa Jorge Mario Bergoglio, datata 4 settembre, è uscita su “la
Repubblica” la mattina dell’11 e nel pomeriggio dello stesso giorno
“L’Osservatore Romano” l’ha riprodotta per intero:
Scalfari ha
accompagnato la pubblicazione della risposta del papa con un riassunto delle
otto domande da lui formulate in precedenza:
E
l’indomani, 12 settembre, è intervenuto con un suo commento alla lettera
papale:
Giorgione I tre Filosofi |
Particolarmente
apprezzata dal fondatore di “la Repubblica” è stata la risposta di papa
Francesco alla domanda “se una persona che non ha fede né la cerca, ma commette
quello che per la Chiesa è un peccato, sarà perdonato dal Dio cristiano”:
“Premesso
che – ed è la cosa fondamentale – la misericordia di Dio non ha limiti se ci si
rivolge a lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in
Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha
la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa
significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o
come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro
agire”.
Questa
risposta del papa ha talmente soddisfatto Scalfari da fargli scrivere subito
dopo:
“Un’apertura
verso la cultura moderna e laica di questa ampiezza, una visione così profonda
tra la coscienza e la sua autonomia, non si era mai sentita finora dalla
cattedra di San Pietro”.
Trascurando
che sulla questione della coscienza Benedetto XVI aveva detto molto di più.
Rifacendosi
al cardinale John Henry Newman, il grande convertito inglese da lui beatificato
durante il suo viaggio del 2010 nel Regno Unito, papa Joseph Ratzinger disse a
questo proposito:
“La forza
motrice che spingeva sul cammino della conversione era in Newman la coscienza.Ma che cosa si intende con ciò? Nel pensiero moderno, la parola ‘coscienza’
significa che in materia di morale e di religione, la dimensione soggettiva,
l’individuo, costituisce l’ultima istanza della decisione. Il mondo viene
diviso negli ambiti dell’oggettivo e del soggettivo. All’oggettivo appartengono
le cose che si possono calcolare e verificare mediante l’esperimento. La
religione e la morale sono sottratte a questi metodi e perciò sono considerate
come ambito del soggettivo. Qui non esisterebbero, in ultima analisi, dei
criteri oggettivi. L’ultima istanza che qui può decidere sarebbe pertanto solo
il soggetto, e con la parola ‘coscienza’ si esprime, appunto, questo: in questo
ambito può decidere solo il singolo, l’individuo con le sue intuizioni ed
esperienze.
“La
concezione che Newman ha della coscienza è diametralmente opposta. Per lui
‘coscienza’ significa la capacità di verità dell’uomo: la capacità di
riconoscere proprio negli ambiti decisivi della sua esistenza – religione e
morale – una verità, ‘la’ verità. La coscienza, la capacità dell’uomo di
riconoscere la verità, gli impone con ciò, al tempo stesso, il dovere di
incamminarsi verso la verità, di cercarla e di sottomettersi ad essa laddove la
incontra. Coscienza è capacità di verità e obbedienza nei confronti della
verità, che si mostra all’uomo che cerca col cuore aperto. Il cammino delle
conversioni di Newman è un cammino della coscienza: un cammino non della
soggettività che si afferma, ma, proprio al contrario, dell’obbedienza verso la
verità che passo passo si apriva a lui. [...]
“Per poter
asserire l’identità tra il concetto che Newman aveva della coscienza e la
moderna comprensione soggettiva della coscienza, si ama far riferimento alla
sua parola secondo cui egli – nel caso avesse dovuto fare un brindisi – avrebbe
brindato prima alla coscienza e poi al papa. Ma in questa affermazione,
‘coscienza’ non significa l’ultima obbligatorietà dell’intuizione soggettiva. È
espressione dell’accessibilità e della forza vincolante della verità: in ciò si
fonda il suo primato. Al papa può essere dedicato il secondo brindisi, perché è
compito suo esigere l’obbedienza nei confronti della verità”.
Non stupisce
che l’argomentazione “soft” di Bergoglio sia preferita da “la Repubblica” a
quella “hard” di Ratzinger.
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Sulla
coscienza “che si misura sulla verità” è istruttiva anche quest’altra citazione
di Ratzinger, tratta dall’omelia da lui pronunciata quattro giorni dopo la
morte di Paolo VI, il 10 agosto 1978, nella cattedrale di Monaco di Baviera di
cui era allora arcivescovo:
“Paolo VI ha
svolto il suo servizio per fede. Da questo derivavano sia la sua fermezza sia
la sua disponibilità al compromesso. Per entrambe ha dovuto accettare critiche,
e anche in alcuni commenti dopo la sua morte non è mancato il cattivo gusto. Ma
un Papa che oggi non subisse critiche fallirebbe il suo compito dinanzi a
questo tempo. Paolo VI ha resistito alla telecrazia e alla demoscopia, le due
potenze dittatoriali del presente. Ha potuto farlo perché non prendeva come
parametro il successo e l’approvazione, bensì la coscienza, che si misura sulla
verità, sulla fede. È per questo che in molte occasioni ha cercato il
compromesso: la fede lascia molto di aperto, offre un ampio spettro di
decisioni, impone come parametro l’amore, che si sente in obbligo verso il
tutto e quindi impone molto rispetto. Per questo ha potuto essere inflessibile
e deciso quando la posta in gioco era la tradizione essenziale della Chiesa. In
lui questa durezza non derivava dall’insensibilità di colui il cui cammino viene
dettato dal piacere del potere e dal disprezzo delle persone, ma dalla
profondità della fede, che lo ha reso capace di sopportare le opposizioni”.--------------------------------------------
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