marzo 6, 2014politica
Ha torto, Beppe Grillo, quando paragona il
coretto in onore di Matteo Renzi cantato dai bambini di una scuola elementare
di Siracusa agli incontri di Benito Mussolini con i “figli della lupa”. Al
Duce, infatti, non sarebbe affatto piaciuto quel “clap and jump” scoordinato e
dissonante, mal diretto dall’attentissimo maestrino post-marxista con toppe
incorporate sul maglioncino avana, calvizie incipiente e simil-Clarks
d’ordinanza.
Non solo: il dittatore che fece e disfò
l’Italia per un Ventennio, a differenza del buon Renzi, arrivò a Palazzo Chigi
sull’onda di una straordinaria vittoria elettorale, raccogliendo quasi cinque
milioni di voti (su sette e mezzo). Non grazie al voto dei simpatizzanti del
suo stesso partito, al secondo tentativo, in una dubbia rappresentazione
all’italiana di quelle che, altrove, sono una cosa seria (le primarie).
Mussolini il potere l’ha conquistato con
il consenso degli italiani, anche se poi ha deciso di utilizzarlo per
distruggere quel poco di democrazia liberale che lo Statuto Albertino aveva
concesso al popolo.
Non è una differenza di piccolo conto.
La messa in scena organizzata per
compiacere Renzi (e fotografi al seguito), più che le occasioni di propaganda
tanto care al fascismo nostrano ricordano le tristi sfilate dell’esercito
nordcoreano sotto il cielo plumbeo di Pyongyang. Con la folla costretta a
sventolare vessilli tutti uguali, se non vuole rinunciare alla razione di cibo
quotidiana elargita dal regime. L’unica concessione allo spirito latino è la
scenografia dello sfondo, vagamente castrista, con i murales “multikulti” e
finto-pacifisti decorati dalle bandiere arcobaleno. Le stesse bandiere che
affollavano le finestre del nostro sventurato paese quando i malvagi
statunitensi invadevano l’Afghanistan e l’Iraq. E che oggi sono misteriosamente
scomparse con l’Armata Rossa alle porte dell’Unione Europea e gli chavisti che
sparano sulla folla in Venezuela. Quell’arcobaleno, simbolo della viltà
dell’Occidente, è l’unico tocco di colore in un allestimento scenico
monocromatico e opprimente.
Il coro dei bambini di Siracusa, insomma,
è una rappresentazione plastica e sconcertante di quel conformismo piatto e
incolore tipico dei regimi totalitari. Nei video che girano in rete, guardate
le facce svogliate degli alunni e mettetele a confronto con la postura
sovraeccitata degli insegnanti (c’è n’è una con un improponibile golf
blu-elettrico, proprio alla destra del sindaco, che accenna addirittura a
qualche mossa da balera). Sono loro che hanno organizzato tutto, sono loro che
si sentono onorati dalla visita del Caro Leader e vogliono rendergli omaggio.
E
sono loro, putroppo, che hanno in mano il futuro dei nostri figli. Che, come
sempre accade, sono le prime vittime delle dittature.
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