Rodolfo Casadei
Tempi novembre 2018
Solo una protesta per il carburante?
Molti intellettuali francesi danno un’altra interpretazione della rivolta che
sta colpendo la Francia di Emmanuel Macron
Chi sono i “giubbotti gialli” che dopo una settimana
di blocchi stradali che hanno paralizzato mezza Francia, sabato si sono
scontrati con la polizia a Parigi? In
Italia le loro proteste sono state interpretate come la reazione viscerale di
automobilisti, camionisti e contadini privi di coscienza ecologica che non
vogliono pagare il prezzo della transizione all’economia decarbonizzata da
realizzare entro il 2050 secondo gli accordi di Parigi sui cambiamenti
climatici, o al massimo come un infortunio in materia fiscale della presidenza
Macron che non ha saputo accompagnare i
provvedimenti di aumento del prezzo di
benzina, gas e diesel con misure di esenzione per i gruppi sociali sfavoriti.
Ma in Francia sempre più numerosi sono gli intellettuali che si dicono convinti
che ci troviamo di fronte a qualcosa di molto più grande e importante: un nuovo, forse decisivo episodio di
quella rivolta delle classi popolari contro le élites mondialiste che sta
cambiando il volto della politica in tutta Europa e negli Stati Uniti. «Il
movimento dei giubbotti gialli», scrive su Le Figaro Alexandre
Devecchio, «più che una semplice ribellione contadina è un nuovo sintomo della
rivolta dei popoli contro la società mondializzata. Una rivolta che attraversa
tutte le democrazie occidentali». Gli danno ragione Christophe Guilluy, il
geografo più famoso di Francia che ha saputo spiegare le fratture sociali
francesi attraverso i movimenti di migrazione interna, il sociologo Jean-Pierre
Le Goff, il saggista Ivan Rioufol, il politologo Dominique Reynié e il filosofo
Jean-Claude Michéa, socialista libertario feroce critico della sinistra che è
diventata liberale e seguace del pensiero di George Orwell.
LA DISTANZA TRA ALTO E BASSO
Guilluy, che ha
concettualizzato l’opposizione fra
Francia periferica e Francia delle metropoli, inquadra il movimento delle
giubbe gialle in un fenomeno molto più vasto: «I media puntano il dito contro
gli xenofobi, la popolazione rurale, ed evocano l’impoverimento dei centri
storici. Quello che non vedono è un fenomeno ben più gigantesco: la fine della classe media occidentale.
Dalla fine della Seconda Guerra mondiale è stata questa classe maggioritaria
(ne facevano parte operai, contadini, impiegati e quadri superiori) che ha
strutturato tutte le democrazie occidentali con lo stesso circolo virtuoso:
integrazione economica, politica e culturale in un contesto di ascesa sociale.
Tutto questo sta venendo meno». La ragione per cui la classe media in via di
estinzione e i ceti popolari la pensano diversamente sulle questioni ecologiche
è chiaro: «Il bilancio del carbonio dell’aeronautica non è mai evocato, perché
non si può tassare il kerosene in un contesto di mondializzazione dei
trasporti.
L’inquinamento della mobilità dei “ricchi” è dunque meno tassato di
quello dei “poveri” sedentari. Più in
generale, le metropoli sono nuove cittadelle medievali, con una borghesia che
si rinchiude dietro i suoi bastioni e intende pure istituire presto dei pedaggi
urbani: il ritorno delle concessioni! In questi spazi chiusi, gli abitanti
hanno soltanto bisogno di collegamenti per uscire: aerei, treni ad alta
velocità; e l’automobile per loro è obsoleta. Inversamente, i ceti popolari
oggi vivono sempre più lontano dal posto di lavoro e hanno un bisogno vitale
dell’auto. Nella demonizzazione
dell’auto condotta dalle élites si evidenzia una forma di incoscienza delle
difficoltà reali di questi concittadini e anche un disprezzo di classe. La
reazione della classe politica superiore è stata di accusare le classi popolari
di non avere consapevolezza della
problematica ecologica! I conflitti sociali
sono sempre esistiti, ma questa è la prima volta nella storia che c’è una
perdita di contatto così grande fra l’alto e il basso della società. Tutti i
francesi desiderano preservare l’ambiente. Nessuno consuma il diesel per puro
piacere. Alla stessa maniera, se si considera la questione del
multiculturalismo, tutto il mondo desidera conservare il proprio capitale
culturale e un rapporto distanziato con l’Altro. Ma bisogna distinguere gli
obiettivi e i mezzi. Se ho i mezzi per tenere a distanza l’Altro, aggirando la
questione della scuola per esempio, posso fare l’apologia della società aperta
senza difficoltà. Lo stesso vale per l’ecologia. Si possono facilmente fare discorsi sulla necessità di preservare
l’ambiente quando si hanno i mezzi per offrirsi una vettura elettrica o per
consumare biologico. La difesa dell’ecologia, come la promozione della “società
aperta”, sono divenuti segni di distinzione sociale».
I MORALIZZATORI ECOLOGISTI
Per Le Goff
la rivolta dei “giubbotti gialli” non fa che catalizzare tutti i mali nati
dagli sconvolgimenti della società francese negli ultimi decenni. Essa esprime il rigetto di quattro decenni
di liberalismo culturale e di adattamento economico a marce forzate voluto
dalle élites. «Che percentuale rappresentano le automobili
nell’inquinamento e nel riscaldamento climatico in rapporto all’insieme dei
trasporti stradali, marittimi e aerei? Coloro che predicano il verbo ecologista
sono spesso gli stessi che prendono l’aereo per trascorrere le vacanze in paesi
lontani nel medesimo tempo che si considerano “verdi”. Non si sta facendo
pagare ai privati il prezzo della buona coscienza ecologica e politica, nel
quadro del libero scambio mondializzato che non si preoccupa di problemi
ecologici? Da anni gli appelli reiterati ad adattarsi a una concorrenza
mondializzata dove il prezzo del lavoro e le protezioni sociali diventano meri
valori di aggiustamento si accompagnano a discorsi
moralizzatori nell’ambito dell’ecologia, della cultura e dei costumi da un
punto di vista modernista e alla moda. Questa congiunzione rafforza le
divisioni in seno alla società fra le élites al potere e una buona parte della
popolazione».
I NUOVI PELLEROSSA
«I giubbotti gialli», scrive Rioufol, saggista conservatore autore di La Guerre civile qui vient, «sono dei Pellerosse: come loro al tempo che fu si
battono contro uno Stato rullo compressore per il quale l’antico popolo è un
ostacolo alla “trasformazione” del paese. Ora, questi francesi
indesiderabili non sono candidati al suicidio. I ribelli non hanno alcuna
intenzione di restare nelle loro riserve indiane ad ammuffire: queste unità
residenziali della Francia periferica, dove i parcheggi dei supermercati e le
rotonde stradali servono oggi da punti di concentrazione dei manifestanti.
L’insurrezione contro le tasse sul carburante unisce una gran parte della
classe media. Essa protesta anche contro l’indifferenza dei “primi della
cordata”, contro il centralismo del
potere e l’assenza di democrazia. Il poujadismo si fermava ai piccoli
commercianti, la sociologia degli indignati è più ampia. I macronisti senza dubbio non amano questa Francia: troppo bianca,
troppo attaccata alle radici, troppo patriottica».
FERMARE LA DEGRADAZIONE
«Siccome le
classi medie non creavano problemi, i governanti per troppo tempo hanno pensato
che non ne avessero», scrive Dominique
Reynié, direttore generale di Fondapol, un centro studi
liberal-progressista ed europeista. «L’aumento delle tasse sui carburanti le
conduce alla rivolta perché si sentono ingannate, essendo l’automobile
indissociabile dal modello residenziale che esse rivendicano come loro ideale.
Era un mondo a parte, con un certo confort a prezzo moderato, ma anche al
riparo dalle forme di vita urbana contemporanea che fanno paura: l’inciviltà,
una certa brutalità, i conflitti interculturali… Dopo una serie di misure come
la chiusura dei commissariati o degli ospedali, l’aumento del prezzo della
benzina e del gasolio è percepito come la conferma che a essere messo in discussione è il modo di vivere delle classi medie, il
loro stile di vita. I “giubbotti gialli” sono il primo tentativo di
arrestare questo processo di degradazione. Non sarà l’ultimo».
COSCIENZA RIVOLUZIONARIA
Infine Jean-Claude
Michea, l’autore de I misteri della Sinistra, si è
schierato apertamente coi giubbotti gialli, contrapponendo il loro movimento a
quello del 2016 contro la riforma della legislazione sul lavoro al tempo della
presidenza Hollande: «Il movimento dei “giubbotti gialli” è, in una certa
maniera, l’esatto contrario di “Nuit Debout”. Quest’ultimo movimento,
semplificando, era in effetti anzitutto un tentativo incoraggiato dalla maggior
parte della stampa borghese da parte del “10%” (cioè coloro che sono preposti o
stanno per esserlo all’inquadramento tecnico, politico e culturale del
capitalismo moderno) di disinnescare la critica radicale del Sistema, dirigendo
tutta l’attenzione politica sul solo potere (certo decisivo) di Wall Street e
dei famosi “1%”. Una rivolta, di
conseguenza, dei ceti urbani ipermobili e superdiplomati che rappresentano, dai
tempi di Mitterrand, il principale vivaio nel quale si reclutano i quadri della
sinistra e dell’estrema sinistra liberali. Nel
caso dei “giubbotti gialli”, al contrario, sono proprio quelli che stanno in
basso che si ribellano, avendo sufficiente coscienza rivoluzionaria per
rifiutare di dovere ancora scegliere fra sfruttatori di destra e sfruttatori di
sinistra».
CONTRO GLI SFRUTTATORI DI SINISTRA
Agli sfruttatori di sinistra e al loro moralismo
ecologista il socialista Michéa riserva la sua indignazione: «Non è l’auto come simbolo della loro
integrazione al mondo del consumo che i “giubbotti gialli” difendono. Si tratta
semplicemente del fatto che la loro vettura diesel acquistata di seconda mano
(e che la Commissione Europea cerca già di togliere loro inventando
continuamente nuove norme di “controllo tecnico”) rappresenta la loro ultima
possibilità di sopravvivere, cioè di avere ancora un tetto, un lavoro e
qualcosa da mangiare, loro e la loro famiglia, all’interno del sistema
capitalistico così come è diventato, e che avvantaggia sempre più i vincenti
della mondializzazione. E pensare che è anzitutto questa “sinistra al
kerosene”, che vola di aeroporto in aeroporto per portare nelle università del
mondo intero (e in tutti i Festival di Cannes) la buona parola “ecologica” e
“associativa” che osa impartire a loro lezioni di ambientalismo!».