GIANCARLO CESANA
Oltre
i programmi (e i capricci)
Le
risorse “politiche”che nessun governo potrà mai trovare
Foto Ansa |
Prevalente
è la domanda se io sono effettivamente pessimista sulla situazione del nostro
paese, che, come penso, è ridotto così male anche a causa della cultura sessantontina che tuttora
lo pervade. Sì, sono abbastanza pessimista. Giuliano Ferrara dice che stiamo
andando verso l’America latina. Condivido. Anzi chi mi conosce sa che lo dico
da anni. L’idea o la sensazione mi venne a Buenos Aires parecchio tempo fa, nel
1990 o giù di lì. L’Argentina andava su e giù, come al solito, ma quello che mi
colpì furono i lamenti a causa del freddo; non a causa della temperatura reale,
che era in inverno sui 15 gradi, ma della temperatura percepita, più bassa e
più umida.
Non so voi, ma io, a quel tempo, l’espressione
temperatura percepita non l’avevo mai sentita e mi fece l’effetto di una
sensibilità un po’ ridicola e piagnona. Adesso, la temperatura percepita è
arrivata anche qui.
Ne parlano tutti, anche televisione e giornali. Se fa
caldo o se fa freddo, fa più caldo e più freddo.
Il percepito domina pure in politica, conta più della
realtà, che se non combacia con esso è ostile e complottista.
Tutti – ci richiamerà anche la Nasa, ha ironizzato Luigi
Di Maio – dicono che i programmi del nostro governo sono impossibili, ma il
nostro governo dice di avere ragione e diritto a fare quello che fa. Da vero
statista Salvini ha detto che lui dell’Europa se ne frega. Ammettendo il grande
complotto dei poteri forti e degli Stati egemoni nell’Unione Europea, per spolpare
l’Italia, sarebbero opportuni prudenza e realismo. Anche il Vangelo lo suggerisce:
«Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se
può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? » (Lc
14,31).
Niente. Il popolo è d’accordo con il governo gialloverde;
il gradimento aumenta soprattutto per la Lega. Non bisogna stupirsi. La democrazia non è sinonimo di
ragione, tanto meno di verità. È il miglior sistema di governo
possibile, diceva Churchill (e io sono d’accordo con lui), ma è anche il
dominio della mentalità comune o maggioritaria. Questa attribuisce le
difficoltà economiche e politiche dell’Italia non ai comportamenti da cicala degli
anni passati, ma ai cattivi che non fan fare quello che si vuole.
Il desiderio, il percepito, prevale sulla realtà. Chi
non è d’accordo venga a farsi votare e buona notte! Consigli, avvertimenti e
suggerimenti grondano, ma appaiono assai poco efficaci. Come se ne esce?
Parecchi anni fa, una quarantina più o meno, scrissi un
volantino che uscì firmato da Cl e divenne abbastanza popolare: “La prima politica è vivere”.
Lo scrissi la notte dell’ultimo dell’anno, durante una vacanza di responsabili universitari,
a Bratto, nelle montagne di Bergamo. C’era anche don Giussani che ci aveva
fortemente sollecitato a esprimere un giudizio in grado di affrontare l’ambiente
post-sessantottino che ci opprimeva. Altro che vacanze e festa di Capodanno,
bisognava muoversi e impegnarsi, appunto vivere nonostante l’ostilità che ci
circondava. Bisognava non semplicemente adattarsi o reagire, ma trovare in noi
le risorse di un’esperienza originale, presente e piena di speranza.
In fondo è sempre così, ma lo è soprattutto nei momenti
di confusione e mancanza di prospettiva come l’attuale.
Non un’utopia ma un’amicizia
Le risorse per
vivere, anche la politica, cioè la preoccupazione per il bene comune, che, come dice il Papa coerentemente con i suoi
predecessori, deve essere se non in cima, tra le cime dei nostri pensieri, non
sono un programma di governo, nuovo o alternativo che sia.
Possiamo avere qualche competenza, ma non siamo in grado
di formulare un piano generale. Sembra che facciano discorsi da bar quelli del
governo; figurarsi se ci mettiamo anche noi, che siamo più ignoranti e incerti.
Le risorse “politiche” –
se così si può dire – le dobbiamo trovare in contenuti di esperienza che
realizzino un metodo di vita personale e sociale. Per spiegare quello
che ho in mente ricorro a una lettera-volantino scritta con Stefano Parisi per
le elezioni politiche del marzo scorso. La lettera è stata ripresa da Tempi,
ma come la campagna elettorale di Parisi non ha avuto molta fortuna. Mi
permetto di riprendere qui alcuni passaggi, a mio avviso fondamentali, a
cominciare dalla citazione introduttiva di Toqueville:
«Ai miei occhi le società umane, come gli individui,
diventano qualcosa solo grazie alla libertà».
Procede quindi la lettera come segue. «È stato giustamente osservato che con lo sviluppo
della cultura e del costume del mondo occidentale, nelle nostre società l’individuo può
trovarsi “nudo”,
spogliato delle
sue antiche casacche religiose, comunitarie, locali, economiche, familiari, pressoché
solo di fronte allo Stato, cui chiede di farsi carico di tutti i suoi bisogni e di
tutelarne la libertà. Si tratta però di
una libertà ottusa perché
disimpegnata, irregimentata dal politicamente corretto e
dominata da un’opinione comune che fa
fatica a distinguere il vero dal
falso. Così il desiderio, che è il motore dell’agire umano, dell’interesse
a sé, agli altri e, perché no, alla politica si appiattisce in “un volontarismo senza respiro e
senza orizzonte, senza genialità e senza spazio e un moralismo d’appoggio allo
Stato come ultima fonte di consistenza per il flusso umano” (L.
Giussani).
La politica
gridata e il giustizialismo che la pervade sono l’esempio della
mancanza di prospettiva al di fuori
di un richiamo ossessivo alle
regole, che comunque
non riescono a essere adeguatamente
osservate.
Il principio associativo e lo spirito di aggregazione si
sono mostrati – nel corso della storia – come elementi fondativi e “strutturali”
della società. Ciò si è espresso attraverso la formazione nelle diverse epoche
di “comunità intermedie”, ad indicare “un’ampia
serie di raggruppamenti interpersonali che hanno lo scopo di non lasciare
solo – e, anzi, proteggere e integrare
– il soggetto, l’individuo, o la
persona” (P. Grossi). Così la locuzione “corpo intermedio” ha
rappresentato gli aggregati che si collocano fra il singolo individuo e lo Stato,
nelle sue diverse manifestazioni storiche e politiche. Il valore delle comunità
e dei corpi intermedi
discende da una scelta antropologica, che privilegia la nozione di persona in
contrapposizione a quella di individuo o di collettività. In una prospettiva libera
e relazionale, la comunità costituisce il necessario e insostituibile ambito di
sviluppo dell’umana libertà e quindi dell’uomo in tutte le sue dimensioni,
pubbliche
e private.
Il disinteresse per la politica e l’assenza di impegno
per tentativi di declinazione dei princìpi, delle concezioni e dei valori che
fondano l’esistenza portano all’irrilevanza e alla decadenza di ogni cultura: “Il capolavoro della politica pura è l’asservimento consensuale
degli altri, la democrazia degli eterodiretti” (A. Del Noce).
Al contrario, le “comunità intermedie”, come espressione del
principio associativo, sono l’aspetto dinamico del protagonismo sociale,
potenziando la libertà individuale e la sua incidenza sulla società. Comunità di
opere sociali, assistenziali ed educative rendono capillarmente e
necessariamente presente il primato della società nei confronti dello Stato, e
contribuiscono a realizzare il bene comune. Lo Stato, a prezzo di un dispotismo
insopportabile e inefficiente, non può sostituire ciò che emerge dalla vita
sociale: è il principio di
sussidiarietà, espresso anche nella nostra Carta costituzionale.
Il criterio del “più società, meno stato” deve essere ripreso per
valutare le diverse offerte politiche. Famiglie, comunità di vita e di lavoro
sono modalità di espressione e protezione della persona umana: senza il loro
contributo il cittadino resta solo e indifeso, in balìa dei poteri costituiti,
delle burocrazie e delle opinioni dominanti. La valorizzazione dei soggetti intermedi
permette anche di ripensare – prima ancora della questione della governabilità –
quella della rappresentanza, come radicamento sociale e territoriale, effettivo
legame tra popolo e, appunto, rappresentanti.
Vogliamo una politica capace di garantire condizioni di
vera libertà per tutti, a partire dal valore irriducibile e intangibile della
persona umana, alla quale compete la libertà positiva di aggregarsi, creare e costruire
il bene comune a cui lo Stato non deve opporsi, ma concorrere».
La lettera chiude quindi con una serie di richieste
e proposte funzionali alle elezioni.
La sua sostanza che voglio richiamare qui è che per sviluppare e potenziare la
libertà è necessaria una compagnia, una comunità in cui si faccia esperienza di
verità – di vita buona direbbe il cardinale Scola – per sé e per tutti.
Dobbiamo quindi amare, proteggere e dilatare l’amicizia
che si esprime e si realizza nelle opere educative e sociali, nel sostegno concreto
ai bisogni delle persone, nel giudizio operativo capace di individuare e
perseguire le risposte alle questioni fondamentali della vita.
Nell’editoriale dell’ultimo numero di Tempi,
Emanuele Boffi ha documentato, anche con i numeri, l’efficacia della politica sussidiaria,
ovvero di valorizzazione delle iniziative personali e di gruppo, condotta dalla amministrazione di Formigoni per ben 18 anni,
dal 1995 al 2013.
Quanto detto sopra, allora, non è utopia o propaganda,
oggi del tutto inutile; è stato il contenuto principale, realizzato in
iniziative, leggi e azioni concrete, che possono costituire il modello per
altri tentativi futuri con una base che non demorde: noi e, con noi, speriamo
molti altri.
Per
sviluppare e potenziare la libertà è necessaria una compagnia,
una
comunità in cui si faccia esperienza di verità – di vita buona direbbe il
cardinale
Scola
– per sé e per tutti.
Tratto da TEMPI
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