Vespa
dà una lezione ai “politically correct worshippers” di casa nostra
“Perché
ammazzano i cristiani?”
Bisogna fare un
applauso a Bruno Vespa e ai suoi ospiti.
Ieri sera, in
mezzo a un oceano di retorica mediatica e politicamente corretto, hanno avuto
il merito di guardare la strage di Pasqua per quello che
è: un eclatante atto di persecuzione verso i cristiani. Porta a Porta ha dedicato la
prima parte della trasmissione di ieri sera su Rai 1 agli attentati in Sri
Lanka con un titolo emblematico: “Perché ammazzano i cristiani?”.
LA “MODA” DI COLPIRE I CRISTIANI A PASQUA
Gli ospiti (Bernardo Cervellera,
Marco Tarquinio, Maurizio Molinari e Gabriele Iacovino) hanno provato a
rispondere alla domanda. Il direttore di AsiaNews, in particolare, ha spiegato:
«Per la comunità dello
Sri Lanka è uno shock, perché è una comunità che ha ottimi rapporti con tutti,
musulmani e buddisti. La rivendicazione dell’Isis rende ancora più turpe il
fatto. Il disegno è quello di colpire una comunità per fare sì che tutto il mondo
ne parli, perché ormai è diventato quasi un cliché: colpire i cristiani a
Pasqua è il modo migliore per far parlare tutto il mondo. Dire che si tratta di
una rivendicazione per gli attacchi di Christchurch poi è assurdo e ingiusto:
intanto il suprematista non era dello Sri Lanka e poi i cristiani di Nuova
Zelanda e del mondo intero, soprattutto dell’Asia, quelli più vicini ai
musulmani, hanno espresso tutto il loro dolore per quegli attentati».
LA RELIGIONE PIÙ
PERSEGUITATA AL MONDO
Durante la
trasmissione, Vespa ha ricordato i numeri incredibili della
persecuzione dei cristiani nel mondo: 245 milioni di cristiani, uno su nove,
sono perseguitati e nel 2018 ne sono stati uccisi 4.305, un aumento di quasi il
50 per cento rispetto ai 3.066 del 2017. Il conduttore di Porta a Porta ha
anche riproposto un’intervista a Rebecca Bitrus, rapita da Boko Haram in
Nigeria, che ha raccontato come si sia rifiutata più volte di abiurare la fede
e convertirsi all’islam, nonostante le minacce da parte dei jihadisti. Allo
stesso modo, sono stati ricordati i casi eroici di testimonianza della fede di Meriam Ibrahim e Asia Bibi.
A Vespa va dunque
il merito di aver riportato all’attenzione di tutti questi numeri e queste
storie. Soprattutto, titolando la trasmissione “Perché ammazzano i cristiani?”,
Rai 1 dimostra di non avere alcuna intenzione di lasciarsi sviare dall’ondata
di politicamente corretto made in Barack Obama e Hillary Clinton, che hanno trasformato i cristiani in
generici «Easter worshippers».
I NOSTRI
POLITICALLY CORRECT WORSHIPPERS
I progressisti di
casa nostra, Oxford Dictionary alla mano, da giorni accusano i «sovranisti» di
non conoscere l’inglese. Hanno cercato in ogni modo di spiegare come quelle
parole non siano frutto del terrore di pronunciare la parola “cristiano”, ma
una locuzione verbale comunemente utilizzata negli Stati Uniti. Wired e Open di Enrico Mentana su tutti ci
hanno dato dentro con il “Fact Checking”(accertamento degli avvenimenti citati), rispolverando vecchi tweet di Fox
News e Breitbart.
Ma il loro è
stato un buco nell’acqua, come spiegato egregiamente da Dagospia, che ieri scriveva:
«A Dagospia non frega nulla della polemica sulla
locuzione Easter worshippers. Il problema è che la locuzione fa parte di
quel portafoglio lessicale costruito in punta di piedi per evitare di offendere
chicchessia. Il problema non sta nei sovranisti italiani che non sanno
l’inglese, perché le critiche nascono in America. Hillary Clinton e Barack
Obama quando twittarono a proposito della strage di Christchurch in Nuova Zelanda
parlarono di muslim community. Applicando lo stesso codice precisino,
avrebbero dovuto scrivere mosque-goers, coloro che si recano alla moschea.
È un dato di fatto: dire ”cristiani” è pericoloso, sono terrorizzati che
qualcuno usi le loro parole per fomentare uno scontro di civiltà, e per lo
stesso motivo nessuno (dei politicamente correttissimi) dice più ”radicalismo
islamico” o ”terrorismo islamico”. Tra i musulmani incazzati il problema non si
pone, i cristiani li chiamano direttamente ”crociati” e fanno prima».
Leone Grotti su Tempi