IL CARDINALE ROBERT SARAH
RESTA CON NOI SIGNORE; LA SERA SI AVVICINA E IL GIORNO GIA' VOLGE AL DECLINO
«Nel mondo dei fuggitivi, colui che prende
la direzione opposta avrà l’aria di un disertore». (T.S. ELIOT)
Perché scegliere un titolo così cupo, correndo il rischio
di spaventare il lettore?
Questo libro è anzitutto
un invito alla lucidità e a guardare lontano. La Chiesa attraversa una grande
crisi. I venti sono di rara violenza. Rare sono le giornate senza scandali,
veri o presunti. I fedeli hanno dunque ragione di interrogarsi. Per loro ho voluto
questo libro. Spero che possano uscire da questa lettura con la gioia che dà il
Cristo: «Resta con noi, Signore: la sera si avvicina e il giorno già volge al
declino». È la risurrezione del Figlio di Dio che dà Speranza nell’oscurità.
La scelta di questo versetto tratto dal Vangelo dei pellegrini di
Emmaus è per lei un modo di indicare che la Chiesa non mette sufficientemente
al centro Cristo e la preghiera?
Io credo fermamente che
la situazione che viviamo in seno alla Chiesa assomigli punto per punto a
quella del Venerdì santo, quando gli apostoli hanno abbandonato Cristo, quando
Giuda lo tradì – perché il traditore voleva un Cristo alla sua maniera, un
Cristo preoccupato da questioni politiche. Oggi parecchi preti e vescovi sono
letteralmente stregati da questioni politiche o sociali. In realtà, quelle
problematiche non troveranno mai risposte fuori dall’insegnamento di Cristo.
Egli ci rende più solidali, più fraterni; finché non avremo Cristo come
fratello maggiore, «il primogenito di una moltitudine di fratelli», non esiste
carità solida, non vera alterità. Cristo è la sola luce del mondo. Come
potrebbe la Chiesa scostarsi da quella luce? Come potrebbe passare il suo tempo
a perdersi in questioni puramente materialistiche?
Certo, è importante
essere sensibili alle persone che versano nella sofferenza. Penso in
particolare agli uomini che lasciano il loro paese. Ma perché si allontanano
dalla loro terra? Perché delle potenze senza fede, che hanno perduto Dio, per
le quali nulla conta se non il denaro e il potere, hanno destabilizzato le loro
nazioni. Queste difficoltà sono immense. Ma, lo ripeto, la Chiesa deve prima
restituire agli uomini la capacità di guardare verso Cristo: «Quando sarò
innalzato, attirerò tutti a me». È Cristo crocifisso che ci insegna a pregare e
a dire: «Perdonali perché non sanno quello che fanno». È guardando il Figlio di
Dio che la Chiesa potrà imparare a portare gli uomini verso la preghiera e a
perdonare come Cristo. Questo libro vuole provare a restituire alla Chiesa il
senso della sua grande missione divina. Perché ella possa portare gli uomini a
Cristo, che è la Speranza. Ecco il significato del titolo del nostro libro:
oggi tutto è cupo, difficile, ma quali che siano le difficoltà che noi
attraversiamo c’è una sola persona che può venirci in soccorso. Bisogna che ci
sia un’istituzione che conduca a questa persona: è la Chiesa.
Richiamar
la Chiesa alla sua vera missione: è un modo di dire che talvolta se n’è
allontanata. Lei si spinge fino a denunciare i pastori che tradiscono il
proprio gregge, cosa che molti cattolici fanno fatica a credere…
La sua osservazione non è
peculiare del nostro tempo: guardi l’antico Testamento, che tracima di cattivi
pastori… uomini bramosi di approfittare della carne o della lana delle loro
pecore senza prendersi cura di loro! Ci sono sempre stati tradimenti nella
Chiesa. Oggi non ho paura di affermare che dei preti, dei vescovi e anche dei
cardinali hanno timore di proclamare quel che Dio insegna e di trasmettere la
dottrina della Chiesa. Hanno paura di essere disapprovati, di essere visti come
dei reazionari. E allora dicono cose fluide, vaghe, imprecise, per sfuggire a
ogni critica, e così sposano la stupida evoluzione del mondo. È un tradimento:
se il pastore non conduce il proprio gregge «verso le acque tranquille, verso i
prati di erba fresca» di cui parla il salmo, se non lo protegge contro i lupi,
è un pastore criminale che abbandona le sue pecore. Se egli non insegna la
fede, se si compiace nell’attivismo invece di ricordare agli uomini che sono
fatti per pregare, egli tradisce la sua missione. Gesù dice: «Colpirò il
pastore e saranno disperse le pecore». È proprio quel che accade oggi. Non
sappiamo più dove rivolgerci.
Non c’è oggi, più specificamente, la tentazione in
alcuni di allineare la Chiesa ai valori del mondo, così che non sia più in
contraddizione con quest’ultimo?
Nei
fatti, c’è una forte maggioranza di preti che restano fedeli alla loro missione
di insegnamento, di santificazione e di governo. Ma ce n’è anche un piccolo
numero che cede alla tentazione morbida e scellerata di allineare la Chiesa sui
valori delle attuali società occidentali. Essi vogliono anzitutto che si dica
che la Chiesa è aperta, accogliente, attenta, moderna. Ma la Chiesa non è fatta
per ascoltare, è fatta per insegnare: essa è Mater et magistra, madre ed educatrice. Certo, la madre ascolta il
figlio, ma anzitutto è presente per insegnare, orientare e dirigere, perché sa
meglio dei sui bambini la direzione de prendere. Alcuni hanno adottato le
ideologie del mondo attuale con il fallace pretesto di aprirsi al mondo;
bisognerebbe piuttosto portare il mondo ad aprirsi a Dio, che è la fonte della
nostra esistenza.
Lei parla nel libro di una crisi della teologia
morale: non sarà anzitutto la tentazione di sacrificare la dottrina alla
pastorale, cioè il contenuto al contenitore, e una falsa concezione della
misericordia, talmente scrupolosa di mostrare la propria comprensione che
dimentica di richiamare le regole della vita buona?
Ogni pastorale è come
una casa: se non ci sono le fondamenta, la casa crolla. La pastorale dev’essere
costruita sull’insegnamento della Chiesa. Troppo spesso si dimentica la
dottrina per focalizzarsi solamente sulla pastorale; ma questa diventa allora
una pastorale vuota, puerile e sciocca. Non si può sacrificare la dottrina a
una pastorale che sia ridotta alla porzione congrua della misericordia: Dio è
misericordioso, ma nella sola misura in cui noi riconosciamo di essere
peccatori. Per permettere a Dio di esercitare la sua misericordia, bisogna
tornare a Lui, come il figliol prodigo. C’è una tendenza perversa che consiste
nel falsare la pastorale, nell’opporla alla dottrina, e nel presentare un Dio
misericordioso che non esige alcunché: ma non esiste un padre che nulla esiga
dai suoi figli! Dio, come ogni buon padre, è esigente perché nutre a nostro
riguardo delle ambizioni immense. Il Padre vuole che noi siamo a sua immagine e
somiglianza.
Lei parla di affievolimento della fede dei fedeli,
cosa che Benedetto XVI chiamava un “cristianesimo borghese”, o che papa
Francesco chiama “paganizzazione della vita cristiana”. I cristiani che non
vogliono essere il sale della terra ma preferiscono esserne lo zucchero… non è
una sfida ancora più grande delle eresie del passato?
Questa specie di
mollezza o di affievolimento fa parte della cultura attuale: bisogna essere
tolleranti, rispettare le persone, evolverci con loro. Certo, abbiamo il dovere
di essere comprensivi, di camminare col passo della gente, ma bisogna al
contempo aiutarla a rinforzarsi i muscoli. Ci vogliono i muscoli, per fare
alpinismo. Le medesime qualità sono richieste per scalare la montagna di Dio:
ci vogliono i muscoli della fede, della volontà, della speranza e dell’amore. È
importante che non s’ingannino i fedeli con una religione molle, senza
esigenze, senza morale. L’Evangelo è esigente: «Se il tuo occhio è per te
occasione di scandalo, cavalo! Se la tua destra è per te occasione di scandalo,
tagliala!». Il nostro ruolo è proprio di portare il popolo a questa esigenza
evangelica.
Lei scrive che «l’Occidente fa esperienza della
solitudine radicale e liberamente voluta dei dannati»: come parlare di Dio a
persone che, come lei scrive, «non provano il bisogno di essere salvate»?
Guardi Cristo: lei
crede che le persone che egli aveva davanti volessero ascoltarlo? L’opposizione
a Dio, alla Verità, esiste da sempre. In Occidente è difficile parlare di Dio
perché la molle società del benessere crede di non aver bisogno di Lui. Ma il
comfort materiale non basta. Esiste una felicità nascosta che le persone
cercano, confusamente, senza saperlo. La Chiesa deve far scoprire all’uomo
questi bisogni interiori, queste ricchezze dell’anima che lo rendono pienamente
uomo, che lo rendono pienamente felice. Sant’Ireneo dice che «Dio si è fatto
uomo perché l’uomo divenga Dio»; la missione della Chiesa è guidare l’uomo in
quest’ascensione verso Dio. Ma se i preti sono impegolati nel materialismo non
potranno guidare il mondo verso la vera felicità.
Questa disaffezione riguardo alla Chiesa i
responsabili cattolici hanno spesso la tendenza a caricarla sulle spalle del
materialismo dilagante, delle evoluzioni della società. Non sarebbe utile che
la Chiesa si interroghi anche sulle sue responsabilità, sul modo in cui ha
potuto allontanare i fedeli desacralizzando la liturgia, volgendo le spalle
alla pietà popolare o rendendo evanescente la predicazione?
Sono
convinto che la responsabilità primaria del crollo della fede debba essere
assunta dai preti. Nei seminari e nelle università cattoliche non abbiamo
sempre insegnato la dottrina. Abbiamo insegnato quel che ci piaceva. Il
catechismo ai bambini è stato abbandonato. La confessione è stata disprezzata.
Del resto, non c’erano più preti nei confessionali! Siamo dunque parzialmente
responsabili di questa erosione. Negli anni Settanta e Ottanta in particolare,
ogni prete a messa faceva quel che voleva. Non c’erano due messe che si
assomigliassero: ecco che cosa ha scoraggiato tanti fedeli dal recarvisi. Papa
Benedetto XVI dice che la crisi della liturgia ha provocato la crisi della
Chiesa. Lex orandi, lex credendi: come si prega, così si crede. Se non c’è più fede la
liturgia è ridotta a uno show, a qualcosa di folkloristico, e i fedeli se ne
allontanano. Probabilmente siamo stati colpevoli di negligenza. La
desacralizzazione della liturgia ha sempre delle conseguenze gravi. Abbiamo
voluto umanizzare la messa, renderla comprensibile, ma essa resta un mistero
che sta al di là della comprensione. Quando dico la messa, quando do
l’assoluzione, capisco le parole che dico ma il mistero che quelle parole
realizzano l’intelligenza non può comprenderlo. Se non rendiamo giustizia a
questo mistero grande non possiamo condurre il popolo a una vera relazione con
Dio. Oggi abbiamo ancora una pastorale troppo orizzontale: come volete che la
gente pensi a Dio, se sono unicamente le questioni sociali a occupare la
Chiesa?
È attesa in via imminente una riforma della curia
romana. Nel suo libro lei si mostra piuttosto scettico su queste riforme di
struttura…
La vera riforma poggia
sulla nostra propria conversione. Se non cambiamo noi stessi, tutte le riforme
di struttura saranno inutili. Laici, preti, cardinali, tutti dobbiamo tornare
verso Dio. La storia ha conosciuto due riformatori: Lutero, che ha voluto
cambiare la faccia della Chiesa e che ha finito per uscirne, e Francesco
d’Assisi che ha trasformato la Chiesa vivendo radicalmente l’vangelo. Oggi la
vera riforma è una via radicalmente evangelica. Madre Teresa, in maniera
discreta e umile, ha riformato la Chiesa senza lesinare di proclamare davanti
al mondo: «Occupati dei poveri, ma prima di questo occupati anzitutto di Dio».
Ella sapeva per esperienza che siamo troppo poveri per occuparci dei poveri.
Finché non siamo arricchiti dalla presenza di Dio in noi, non ci si può
occupare dei più deboli.
Si parla anche tanto di sinodalità, di collegialità.
Nel suo libro lei ventila il rischio che le conferenze episcopali si
contraddicano fra loro. Teme che una riforma del centralismo della Chiesa
romana metta in pericolo la sua unità?
Cristo ha fondato una
Chiesa il cui governo è gerarchico. Il primo responsabile della Chiesa è il
Papa. Il secondo responsabile della Chiesa locale è il Vescovo nella sua
diocesi, e non la Conferenza episcopale – la quale è utile per confrontarsi,
non per imporre una linea. Io penso che bisogni ritrovare questa responsabilità
primaria del papa e di ogni vescovo. I grandi vescovi della storia, Ambrogio o
Agostino, non passavano il loro tempo facendo riunioni a destra, commissioni a
sinistra, viaggi in continuazione. Bisogna che il vescovo stia col suo popolo,
istruisca il suo popolo, ami il suo popolo.
Una Conferenza
episcopale non ha autorità giuridica, né competenze proprie nel campo della
dottrina. Del resto, constato tristemente che già ci sono contraddizioni fra le
conferenze episcopali, e questa cosa non favorisce la serenità dei cristiani.
«Che siano una cosa sola», ha detto il Signore, perché questa unità provoca la
fede. Se noi proseguiamo in questa direzione, che consiste a menomare l’unità
dottrinale e morale, contribuiremo ad accrescere l’incredulità.
Che cosa ha pensato del
libro Sodoma? Pensa che si assista attualmente a un’offensiva
generalizzata contro la figura del prete, oggetto di scandalo per una società
ipersessualizzata?
Non ho letto il libro.
Credo però che ci sia un progetto di distruzione della Chiesa particolarmente
strutturato, volto a decapitarne la testa – i cardinali, i vescovi e i preti.
Si accaniscono a distruggere il sacerdozio, e in particolare a distruggere il
celibato, che sarebbe cosa impossibile e contro natura: perché se si distrugge
il celibato si sferra un colpo fatale a una delle più grandi ricchezze della
Chiesa. L’abbandono del celibato aggraverebbe ancora la crisi della Chiesa e
sminuirebbe la posizione del prete, il quale è chiamato ad essere non solo un
altro cristo, ma Cristo stesso – povero, umile e celibe. Se scompare il
celibato, è la testimonianza che Gesù ha voluto dare a morire.
Esiste una volontà di
indebolire la Chiesa, di modificare il suo insegnamento sulla sessualità. Ma
quando si vede la quantità enorme di preti fedeli nel sacerdozio c’è da restare
sereni e da proseguire la nostra testimonianza di dono totale a Dio nel celibato.
La testimonianza non è compresa? È detestata? Gesù Cristo stesso non è stato
accettato, poiché è morto sulla Croce. Gesù ci ha detto: «Se hanno perseguitato
me, perseguiteranno anche voi».
Ci sono uomini di
Chiesa, alcuni altolocati, che hanno infangato la Chiesa, sfigurato il volto di
Cristo, ma Giuda non deve portarci a rigettare tutti gli apostoli. Queste gravi
mancanze non condannano la Chiesa: al contrario, questo mostra che Dio dà
fiducia anche a persone deboli per mostrare la potenza del suo amore per noi.
Egli non affida la sua Chiesa a degli eroi eccezionali, ma a degli uomini
semplici, per mostrare che è Lui ad agire mediante quelli.
Sulla pedofilia lei parla di un “mistero di Giuda”,
precisando che quest’abominevole tradimento del sacerdozio è stato preceduto da
ben altri: quali sono?
Un prete che ha
perduto il suo legame con Gesù, che non prega, che non si dà il tempo di stare
con Cristo davanti al Santissimo Sacramento, è un prete reso fragile. «Senza di
me non potete far nulla», diceva Cristo. Un prete mondano che non ha più tempo
di meditare la Parola di Dio, che salta la messa o la celebra in modo profano,
che non ha vita interiore, non può reggere. Se si può arrivare a comportamenti
tanto gravi è perché prima ci si è staccati da Gesù, dalla forza che ci
mantiene collegati a lui. Per non distribuire i sacramenti come un semplice
funzionario, come se si trattasse di un fenomeno umano, abbiamo bisogno di
un’energia che viene dalla nostra relazione con lo Spirito santo. E
sfortunatamente molti fra noi hanno perduto questa relazione intima con Gesù.
L’attivismo sacerdotale conduce all’autismo clericale, fonte di tutte le
derive.
Che cosa pensa della condanna del cardinale Barbarin?
Lo
conosco da molto tempo. Ho grande ammirazione per lui. Mi ha accolto molto
amichevolmente quando sono venuto a Lione a presentare il mio libro La Force du silence. Non posso non soffrire per il martirio che gli viene
imposto, tanto più perché sono persuaso della sua innocenza. Tutta la Chiesa
porta collegialmente questa sofferenza. Il Papa ha davvero avuto ragione nel
prendere la decisione di non accettare le sue dimissioni per rispettare la
presunzione d’innocenza attendendo il giudizio in appello. E il cardinale
Barbarin è stato coraggioso nel ritirarsi, partendo per un monastero, per il
bene della diocesi e per dare pace alle vittime di questi atti abominevoli.
Però sono scioccato che si sia condannato mons. Barbarin mentre l’orribile
prete che ha commesso quei crimini inqualificabili non sia ancora stato
giudicato… Sono accanto al cardinale Barbarin nella preghiera, così come sono
al fianco delle vittime.
Molti nostri contemporanei vedono la Chiesa come
un’organizzazione totalitaria, che impone un modo di vivere. Lei afferma al
contrario che è la Chiesa ad essere il riparo contro il totalitarismo
contemporaneo…
Sono le nuove
ideologie che impongono un radicale cambiamento della morale, dell’antropologia
umana, una nuova visione della famiglia, della sessuologia, con delle pressioni
importanti, finanziarie e mediatiche. La Chiesa non impone niente, non fa che
proporre. Ma proporre l’insegnamento di Dio al mondo è la sua missione.
Lei si spinge a respingere insieme la “barbarie
islamista” e la “barbarie materialistica”, a rischio di risultare scioccante…
È la mia convinzione.
Sono due demonî che hanno forse metodologie differenti ma che agiscono nella
medesima direzione. Il materialismo ci allontana radicalmente da Dio e
dall’uomo interiore. L’islamismo pure. Dio non può ispirare la barbarie.
Uccidere qualcuno perché non condivide la fede? Far brillare una bomba in un
bus e uccidere degli innocenti in nome di Allah? È una cosa impossibile a Dio.
Ma la barbarie materialistica non ha per obiettivo
programmatico la distruzione, essa pretende di condurre l’uomo alla felicità
della liberazione…
Dire a un uomo “sei
libero di scegliere il tuo sesso” significa distruggerlo. È in realtà la
libertà di distruggersi. Dio solo ci rende liberi! Ai nostri giorni quante distruzioni
umane ci sono, sotto il pretesto della libertà! In nome di questa stessa
libertà vengono distrutti tanti giovani mediante la pornografia. L’uomo si
autodistrugge; Dio, da parte sua, crea – perché l’uomo «abbia la vita e la vita
in pienezza».
Lei scrive anche che il mondo moderno distrugge
aggredendo le identità. Lei al contrario difende quel radicamento che Simone
Weil descriveva come il primo bisogno dell’anima umana. Questo fa di lei una
voce un po’ isolata in una Chiesa che sembra talvolta divenuta un semplice
satellite del partito immigrazionista…
Quando
sono andato in Polonia [nell’ottobre del 2017, N.d.R.], paese che ho sovente criticato, ho incoraggiato i
fedeli ad affermare la loro identità così come hanno fatto per secoli. Il mio
messaggio è stato semplice: voi siete anzitutto polacchi, cattolici, e solo
successivamente europei. Voi non dovete sacrificare queste due prime identità
sull’altare dell’Europa tecnocratica e senza patria. La Commissione di
Bruxelles non pensa che alla costruzione di un libero mercato al servizio delle
grandi potenze finanziarie. L’Unione europea non protegge più i popoli,
protegge le banche. Ho voluto dire di nuovo alla Polonia la sua missione
singolare nel piano di Dio. Essa è libera di dire all’Europa che ciascuno è
stato creato da Dio per essere messo in un ben preciso posto, con la sua
cultura, le sue tradizioni e la sua storia. Questa volontà attuale di
globalizzare il mondo sopprimendo le nazioni, le specificità, è pura follia. Il
popolo giudeo ha dovuto vivere l’esilio, ma Dio l’ha ricondotto nel suo paese.
Cristo ha dovuto fuggire Erode in Egitto, ma alla morte di Erode è tornato nel
suo paese. Ciascuno deve vivere nel suo paese. Come un albero, ciascuno ha il
suo suolo, il suo ambiente in cui può crescere perfettamente. Meglio aiutare le
persone a realizzarsi nelle loro culture piuttosto che incoraggiarle a venire
in un’Europa in piena decadenza. È una falsa esegesi quella che utilizza la
Parola di Dio per valorizzare la migrazione. Dio non ha mai voluto questi
strappi.
Lei scrive che i paesi del patto di Visegrad o
l’Italia vanno nella direzione giusta, mentre tante voci nella Chiesa li
condannano. Non pensa che la Chiesa ci si giochi il suo avvenire? Come si fa a
evangelizzare dei popoli mentre si condanna la loro cura di restare ciò che
sono?
I leader politici che
parlano come me sono minoritari, al giorno d’oggi? Non lo penso. Esistono molti
paesi che vanno in questa direzione, e questo dovrebbe condurci a riflettere.
Tutti i migranti che arrivano in Europa vengono stipati, senza lavoro, senza
dignità… È questo ciò che vuole la Chiesa? La Chiesa non può collaborare con la
nuova forma di schiavismo che è diventata la migrazione di massa. Se
l’Occidente continua per questa via funesta esiste un grande rischio – a causa
della denatalità – che esso scompaia, invasa dagli stranieri, come Roma fu
invasa dai barbari. Parlo da africano. Il mio paese è in maggioranza musulmano.
Credo di sapere di cosa parlo.
Alcuni nella Chiesa si preparano a mettere una pietra
sopra all’Europa, stilare per essa un bilancio costi-benefici. Al contrario lei
scrive che la paganizzazione dell’Europa comporterebbe la paganizzazione del
mondo…
Dio non cambia idea.
Dio ha dato una missione all’Europa che ha accolto il cristianesimo. Poi i
missionari europei hanno portato Cristo fino ai confini del mondo. E non è
stato un caso, ma il piano di Dio. Questa missione universale che Egli ha dato
all’Europa quando Pietro e Paolo sono venuti a installarsi a Roma, a partire
dalla quale la Chiesa ha evangelizzato l’Europa e il mondo, questa missione non
è terminata. Se però siamo noi a metterle termine sprofondando nel
materialismo, nell’oblio di Dio e nell’apostasia, allora le conseguenze saranno
gravi. Se l’Europa scompare, e con lei gli inestimabili valori del vecchio
continente, l’Islam invaderà il mondo e noi cambieremo totalmente cultura,
antropologia e visione morale.
Lei cita molto abbondantemente Benedetto XVI, quando
tanta gente considera quel pontificato abortito come un fallimento. Secondo lei
qual è la sua fecondità?
Dio
ha visto che il mondo sprofondava in una confusione funesta. Egli sa che più
nessuno sa dove andiamo. Egli vede bene che perdiamo sempre più le nostre
identità, le nostre credenze, la nostra visione dell’uomo e del mondo… Per
prepararci a questa situazione, Dio ci ha dato dei papi solidi: egli ci ha dato
Paolo VI, che ha difeso la vita e l’amore vero, malgrado opposizioni molto
forti, con l’enciclica Humanæ vitæ;
egli ci ha dato Giovanni Paolo II, che ha lavorato al matrimonio fra la fede e
la ragione perché esse siano la luce che guida il mondo verso una vera visione
dell’uomo – la vita stessa del grande Papa polacco è stata un Evangelo vivente.
Egli ci ha dato Benedetto XVI, che ha composto un insegnamento di una
chiarezza, di una profondità e di una precisione senza eguali. Oggi egli ci dà
Francesco che vuole letteralmente salvare l’umanesimo cristiano. Dio non
abbandonerà mai la sua Chiesa.
Ecco perché dobbiamo
restare sereni: la Chiesa non è in crisi, siamo noi ad essere in crisi. Il suo
insegnamento resta il medesimo, la sua chiarezza resta la medesima. È vero che
Benedetto XVI non è stato compreso né accettato, il suo passato alla
Congregazione per la dottrina della fede l’aveva fatto guardare come un
tradizionalista, un reazionario; egli però è rimasto calmo, sereno e umile. È
stato fondamentale per la dottrina, per la vita interiore, per l’avvenire della
Chiesa.
Rivolgendosi alla gioventù cattolica lei cita questa
bellissima frase del poeta inglese T.S. Eliot: «Nel mondo dei fuggitivi, colui
che prende la direzione opposta avrà l’aria di un disertore». I giovani
credenti sono votati ad essere dei resistenti?
Bisogna
che tutti siamo dei resistenti, che prendiamo la direzione contraria a quella
del mondo secolarizzato, cioè la strada di Cristo, l’unico salvatore del mondo.
Io incoraggio i giovani a guardare verso Cristo. Nel romanzo di Hemingway Il vecchio e il mare, si vede l’eroe tentare di trascinare verso il porto
un grosso pesce che ha pescato. Egli però non riesce a issarlo da solo fuori
dell’acqua; il tempo di arrivare al porto e gli squali hanno divorato il pesce.
Oggi i giovani sono resi fragili da un numero di sollecitazioni così grande che
essi si isolano e corrono l’enorme rischio di essere divorati. Oggi, se lei è
solo, ci sono tanti squali che divoreranno la sua fede, i suoi valori
cristiani, la sua speranza. Gesù ha creato una comunità di dodici apostoli e
quando è stato necessario mandarli in missione ce li ha inviati due a due.
Ormai, per difendere la nostra fede, perché essa sia solida, bisogna sostenerci
mutuamente nella fede, camminare come una comunità unita attorno a Cristo: «Lì
dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro». È da questa
presenza che possiamo trarre la nostra forza. Le soir approche et déjà le jour baisse è una risposta pensata e argomentata a questa
urgenza.
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