Dalle esperienze
bisogna imparare.
Anche in
occasione di questo Congresso sono emerse da parte cattolica le posizioni delle
“anime belle” che condividevano i
contenuti ma non i metodi.
In altre parole ritenevano che il modo con cui
il congresso era stato organizzato escludendo un confronto, era sbagliato, mentre
avrebbero voluto posizioni dialogate.
Secondo loro non si trattava di ribadire
delle verità e di chiamare a raccolta quanti volevano impegnarsi per
difenderle, ma sarebbe stato utile creare un tavolo di confronto in vista di
passi condivisi.
Si tratta
dell’idea secondo cui il cattolico dovrebbe sempre proporre soluzioni aperte e mai dichiarare delle verità o condannare
degli errori. Insomma, dovrebbe essere sempre “per” e mai “contro”. Si
tratta dello stile di chi dice che non si devono mai usare parole ostili. Sotto
sotto c’è l’idea che il modo (il come) sia importante quanto e forse più del
contenuto (il cosa).
Ora, i fatti
verificatisi attorno al Congresso hanno completamente sfatato questa illusione “pastoralista”. Mentre le
“anime belle” del cattolicesimo non ostile rimproveravano gli organizzatori del
Congresso e i partecipanti ad esso, gli altri, ossia coloro verso cui si
sarebbe dovuto aprire un dialogo, puntavano le loro artiglierie e sparavano ad
alzo zero; preparavano i loro agguati e i loro trabocchetti, mobilitavano le
loro truppe pagandone il viaggio in pullman a Verona per manifestare,
aggredivano, insultavano e denigravano, seminavano bugie, mobilitavano
conduttrici e conduttori RAI, precettavano gli intellettuali di grido … insomma
facevano la guerra. Nei confronti di
questo bombardamento belligerante, nessuna delle “anime belle” è intervenuta
con parole di condanna o di dissociazione, anzi hanno continuato a criticare
gli organizzatori del Congresso
perché non avevano gettato “ponti” e perché avevano usato stili ostili.
Il Congresso
di Verona, per questi motivi, è stato la confutazione piena del cattolicesimo dialogante,
ha ribadito che per dialogare bisogna
essere in due e se l’altro spara non è possibile mettersi a dialogare con lui,
che è in atto una lotta non disciplinata da nessuna regola – Carl Schmitt
direbbe una “lotta partigiana” – e che la controparte mette in campo tutte le
sue potenti legioni. È una lotta in cui, come in ogni lotta, ci sono le
defezioni e i tradimenti. Una lotta in cui, come in ogni lotta, il pericolo
principale è il “fronte interno”. La richiesta del dialogo sistematico e
preventivo è – per usare una espressione militare - una forma di
connivenza col nemico.
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