Un utile sussidio alla comprensione degli appunti del professor Ratzinger, lo fornisce questo articolo di Sandro Magister.
Non entra nel merito dei contenuti del testo di Benedetto XVI, ma chiarisce il contesto. Direi che “mette i puntini sulle i”, il che può darsi che faciliti la lettura anche a chi è meno pratico di quest'arte.
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Nella settimana seguita all’esplosiva pubblicazione degli “appunti”
di Joseph Ratzinger sullo scandalo degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica,
sono almeno sette gli elementi
essenziali venuti allo scoperto, di cui tener conto in vista di sviluppi
futuri.
*Il primo riguarda la
genesi della pubblicazione degli “appunti”. Ratzinger dice di averli
scritti “nel lasso di tempo che va dall’annuncio dell’incontro dei presidenti
delle conferenze episcopali al suo vero e proprio inizio”, cioè tra il 12
settembre 2018, giorno dell’annuncio,
e il 21 febbraio 2019, giorno dell’apertura del
summit.
Ma Ratzinger dice anche di averli scritti per “fornire qualche indicazione
che potesse essere di aiuto in questo momento difficile”.
Dal che si deduce che egli li abbia scritti per offrirli,
anzitutto, ai dirigenti di Chiesa convocati in Vaticano da papa Francesco per
discutere della questione.
Ne ha dato conferma il
13 aprile il “Corriere della Sera”, il più diffuso quotidiano laico italiano,
uno degli organi di stampa che due giorni prima aveva pubblicato il testo
integrale degli “appunti”:
“Benedetto ha inviato le diciotto pagine e mezza sulla pedofilia
'per cortese conoscenza' al segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin,
prima della riunione globale delle conferenze episcopali, per farle conoscere
anche a Francesco”.
È risultato però che nessuno dei partecipanti al summit abbia
ricevuto il testo di Ratzinger. Francesco ha creduto bene tenerlo per sé,
chiuso in un cassetto.
E nessuno ne avrebbe più saputo nulla se Ratzinger in persona,
una quarantina di giorni dopo, non avesse deciso di renderlo di pubblico
dominio, formalmente su una poco nota rivista bavarese, “Klerusblatt”, ma in
pratica su una decina di grandi testate cattoliche e non, in tutto il mondo e
in più lingue, dopo averne dato avviso alle massime autorità vaticane, come da
lui stesso rivelato:
“A seguito di contatti con il segretario di Stato, cardinale
Pietro Parolin, e con lo stesso Santo Padre, ritengo giusto pubblicare su
‘Klerusblatt’ il testo così concepito”.
*Un secondo elemento è la
reazione iniziale dei media vaticani. Gelida.
Il portale ufficiale “Vatican News”
ha dato conto del testo di Ratzinger solo parecchie ore dopo che era stato reso
pubblico, tra i lanci di second'ordine, con un breve e notarile riassunto privo
del rimando al testo integrale.
E lo stesso ha fatto “L’Osservatore
Romano” stampato nel pomeriggio dell'11 aprile, con il medesimo,
stringato riassunto nascosto in fondo a pagina 7, senza alcun richiamo in prima
pagina e sotto un ben più vistoso articolo del gesuita Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica” e primo
consigliere e ghostwriter di papa Francesco.
Essendo nota la prossimità al papa dei massimi dirigenti dei
media vaticani – il prefetto del dicastero per la comunicazione Paolo Ruffini e
il direttore editoriale Andrea Tornielli, oltre a padre Spadaro – questo gelo
nel registrare la pubblicazione del testo di Ratzinger non può che riflettere
la forte irritazione di Francesco.
*Un terzo elemento è il
comportamento dei media vaticani nei giorni successivi, del tutto taciturni
sui contenuti e i contraccolpi del testo di Ratzinger e invece mobilitati a
dare risalto distraente e giustificante – con due editoriali successivi di
Tornielli e del direttore de “L’Osservatore Romano” Andrea Monda – a un
concomitante gesto di Francesco tanto spettacolare quanto sconcertante, quel
suo bacio dei piedi dei
due leader rivali nella feroce guerra fra tribù che in Sud Sudan ha già fatto
quattrocentomila morti.
*Un quarto elemento
è il silenzio di Francesco. Non solo praticato ma anche teorizzato. Nell’omelia della
domenica delle Palme, il 14 aprile, il papa ha preso a paragone il “silenzio di
Gesù nella sua passione”, un silenzio – ha detto – che “vince anche la
tentazione di rispondere, di essere ‘mediatico’”, perché “nei momenti di
oscurità e grande tribolazione bisogna tacere, avere il coraggio di tacere,
purché sia un tacere mite e non rancoroso. La mitezza del silenzio ci farà
apparire ancora più deboli, più umiliati, e allora il demonio, prendendo
coraggio, uscirà allo scoperto”.
Il silenzio è reazione tipica di
Jorge Mario Bergoglio ogni volta che è seriamente messo alla prova. L’ha adottato con
i “dubia” dei quattro cardinali, con le domande scomode dell’ex nunzio negli
Stati Uniti Carlo Maria Viganò e ora con questo intervento del papa emerito.
Che Francesco, con la sua ultima apologia del silenzio,
alludesse “alle tensioni e ai veleni legati agli ‘appunti’ di Benedetto XVI”
non è frutto di fantasia, visto che l’ha messo nero su bianco un
cronista vicinissimo a Santa Marta come Domenico
Agasso, l’attuale coordinatore del sito “Vatican Insider” diretto fino a
pochi mesi fa da Tornielli e tuttora sotto la sua tutela.
In “Vatican Insider” questa esegesi dell’omelia papale faceva
seguito, domenica 14 aprile, a due altri articoli dello stesso Agasso dai
titoli molto eloquenti:
> Francesco e l’ombra di Ratzinger, la coesistenza che pesa sul Vaticano
> Francesco e l’ombra di Ratzinger, la coesistenza che pesa sul Vaticano
*Con questi due articoli è venuto allo scoperto un quinto elemento della storia: il
giudizio radicalmente negativo che papa Francesco ha elaborato sulla
pubblicazione degli “appunti” di Ratzinger.
Questo suo giudizio Francesco lo tiene dentro di sé. Ma
l’impressionante concordia vocale di persone a lui vicinissime consente di
leggere ciò che egli pensa.
La più solerte a prendere posizione è stata Stefania Falasca, editorialista del quotidiano della conferenza
episcopale italiana “Avvenire” ma soprattutto amica di lunga data di Bergoglio,
assieme al marito Gianni Valente, direttore dell’agenzia vaticana “Fides” e
altra firma di punta di “Vatican Insider”.
È utile ricordare che la prima telefonata di Bergoglio dopo la
sua elezione a papa, la sera stessa del 13 marzo 2013, fu proprio a Stefania
Falasca. E ben due volte, nei giorni che precedettero quel conclave, l’allora
arcivescovo di Buenos Aires era stato a cena a casa sua,
presente anche Tornielli.
Ebbene, con due tweet poco dopo la pubblicazione degli “appunti”
di Ratzinger, Falasca ha accusato il papa emerito di aver violato due obblighi
che il direttorio “Apostolorum
successores” del 2004 impone a tutti i vescovi emeriti: quello
di “non interferire in nulla” con il vescovo regnante e quello di non
“costituire quasi un’autorità parallela”.
Il primo dei due articoli sopra citati di Agasso su “Vatican
Insider” prende spunto proprio da qui per sostenere che con la pubblicazione
degli “appunti” si è rotto un equilibrio tra i due papi, anzi, si è ormai
arrivati a “una frattura”. E dunque “si pone una questione ‘costituzionale’ sul
ruolo del papa emerito”. Ruolo che effettivamente è un nodo non risolto, ma che
ora viene utilizzato dagli apologeti di Bergoglio per intimare a Ratzinger di
stare in silenzio e “nascosto al mondo”.
E il secondo articolo ribadisce lo stesso concetto, con
un’intervista a Massimo Faggioli, discepolo della cosiddetta “scuola di
Bologna” e professore alla Villanova University di Philadelphia, anche lui
convinto che “si pone il problema di regolamentare la figura del papa emerito
per il futuro” e che intanto, nel presente, sarebbe d’obbligo che Benedetto XVI
“resti invisibile”.
In entrambi gli articoli si fantastica anche su una manomissione
esterna del testo e della persona stessa di Ratzinger, da parte di imprecisati
suoi cortigiani.
In ogni caso senza dire
una sola parola che non sia di disprezzo sul contenuto degli “appunti”, nonostante
la loro serietà estrema, in continuità con quanto già scritto da Benedetto XVI
nella memorabile lettera ai
cattolici d’Irlanda del 2010.
*Ma c’è (sesto elemento) anche chi afferma: “Vogliono far tacere
Benedetto XVI perché dice la verità”. E siamo al sesto elemento della storia: l’intervista del cardinale Gerhard Müller a Riccardo Cascioli su “La Nuova
Bussola Quotidiana” del 15 aprile.
L’intervista è tutta da leggere. Ma ecco qui di seguito tre passaggi
in cui Müller rivendica la libertà del papa emerito di “dire la verità”:
“Certo che i vescovi emeriti devono restar fuori dal governo
quotidiano della Chiesa, ma quando si parla di dottrina, di morale, di fede
sono obbligati a parlare dal diritto divino. Tutti hanno promesso durante la
consacrazione episcopale di difendere il ‘depositum fidei’. Il vescovo e grande
teologo Ratzinger non solo ha il diritto ma anche il dovere di parlare e dare
testimonianza della verità rivelata”.
“Gli apostoli Pietro e Paolo, i fondatori della Chiesa romana,
hanno dato la loro vita per la verità. Pietro e Paolo non hanno detto: ‘Adesso
ci sono altri successori, Timoteo e Tito, lasciamo parlare loro pubblicamente’.
Hanno dato testimonianza fino alla fine della vita, fino al martirio, con il
sangue”.
“Un vescovo emerito, quando celebra una messa, nell’omelia non
deve dire la verità? Non deve parlare della indissolubilità del matrimonio solo
perché altri vescovi attivi hanno introdotto nuove regole che non sono in
consonanza con la legge divina? Piuttosto sono i vescovi attivi che non hanno
il potere di cambiare la legge divina nella Chiesa. Non hanno alcun diritto di
dire a un sacerdote che deve dare la comunione a una persona che non è in piena
comunione con la Chiesa cattolica. Nessuno può cambiare questa legge divina, se
uno lo fa è un eretico, è uno scismatico”.
E queste sono le battute finali dell’intervista:
D. – Cardinale Müller, quali conseguenze si aspetta dalla
pubblicazione di questi “appunti” di Benedetto XVI?
R. – Io spero che alcuni
comincino finalmente ad affrontare il problema degli abusi sessuali in modo
chiaro e corretto. Il clericalismo è una falsa risposta.
Il “clericalismo”, cioè il mantra che
per papa Francesco sarebbe la causa di tutti i mali della Chiesa.
*Infine il settimo ma non
ultimo elemento della storia: la visita di Francesco a Benedetto, nel
pomeriggio del 15 aprile, per gli auguri di Pasqua e di buon compleanno, come
mostra la foto diffusa dalla sala stampa vaticana.
Nelle stesse ore è uscito sulla prima pagina de “L’Osservatore
Romano” uneditoriale di
Tornielli dal titolo “Quella ‘via penitenziale’ che unisce i due pontificati”,
che insiste sul concorde richiamo dei due papi – nei maggiori documenti dei
rispettivi pontificati e da ultimo anche negli “appunti” – alla preghiera, alla
penitenza e alla conversione dei cuori come via maestra per vincere lo scandalo
degli abusi.
Le due cose insieme suonano come un segnale di tregua, all’inizio della settimana santa.
Ma ancora una volta, non una sola
parola di Francesco e dei suoi portavoce sul contenuto degli “appunti” di
Ratzinger riguardo alla radice ultima dello scandalo.
Su questo la divaricazione tra Francesco e Benedetto resta
intatta. E dagli sviluppi imprevedibili.
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E a proposito di giustificazione della pedofilia...
Ci sono due passaggi degli “appunti” di Benedetto XVI sui quali
alcuni suoi critici hanno infierito, imputandogli d’aver data per vera una
realtà inesistente.
È là dove il papa emerito scrive che “della rivoluzione del 1968
fa parte anche il fatto che la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa
e conveniente”, al punto da essere “teorizzata ancora non troppo tempo fa come
del tutto giusta”.
Invece proprio questo è avvenuto, specie in Germania, in
Francia, negli Stati Uniti, ad opera di intellettuali di grande fama, come ha
documentato ad esempio nel 2013 una insospettabile inchiesta di “Der Spiegel”,
rilanciata in Italia da Giulio Meotti su “Il Foglio”.
In quest’altra pagina di Settimo Cielo è riprodotta
integralmente la versione italiana dell’inchiesta. Da non perdere:
> Il ’68 dei pedofili
> Il ’68 dei pedofili
Tratto da http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2019/04/17/tra-i-due-papi-e-%E2%80%9Cfrattura%E2%80%9D-il-silenzio-di-francesco-contro-benedetto/?fbclid=IwAR024e8wK6sGwLbdkoVQNebiVzXdCS-Wqe0fubwI5GIb0JKHkWRsfz9zDQk
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