Carola Rackete, la capitana della
nave Sea Watch 3, dopo lo sbarco a Lampedusa ha detto:"Lo speronamento
della motovedetta è stato un errore". La Guardia di Finanza ha già multato
la comandante, l'armatore e il proprietario dell'imbarcazione con 16mila euro
di sanzione ciascuno. La capitana è agli arresti domiciliari nel
centro di accoglienza per i migranti, insieme ai 42 stranieri che saranno
ricollocati in cinque paesi europei. Francia, Germania e Lussemburgo chiedono
la liberazione della comandante della nave. Per Parigi ha parlato il ministro
dell'Interno Christophe Castaner, fedelissimo di Macron; a Berlino si è
schierato con la capitana il ministro degli Esteri Heiko Maas; dal Lussemburgo
ha protestato il ministro degli Esteri Jean Asselborn. Tutti dicono che
"salvare vite non è un reato". Il ministro dell'Interno Salvini: "Non
prendiamo lezioni da nessuno e tanto meno dalla Francia". Fioccano le
divisioni, dopo i guelfi e i ghibellini, siamo giunti ai carolisti e agli
anti-carolisti. Come previsto, siamo al naufragio della ragione. Proviamo a
rimettere ordine nella vicenda e fare un'analisi del problema:
l'immigrazione illegale e il potere dello Stato sul controllo dei
confini.
di Lorenzo Castellani (List)
La vicenda della Sea Watch 3 si è conclusa come
ci si aspettava: violazione dei confini nazionali e arresto (domiciliare) del
capitano della nave, Carola Rackete. L’agenda politica, ancora una volta,
è stato proiettata tutta sul tema dell’immigrazione e imperniata sulle decisioni
di Matteo Salvini. Sul piano del consenso rafforzerà, molto probabilmente, la
posizione del Ministero dell’Interno. La dinamica è quella che si ripete oramai
da un anno a questa parte, ma il fatto della Sea Watch 3 è più complesso del
solito poiché raggruppa insieme una serie di elementi interessanti sul piano
politico-culturale. Come siamo arrivati a questo punto sull’immigrazione? Le
reazioni dei progressisti e dell’opposizione continuano ad essere
costellate di errori e mancanze che ben raccontano la strada percorsa fino qui.
Andiamo con ordine.
La percezione e la realtà.
La prima critica generale, posta sulla esagerata centralità del tema
dell’immigrazione, riguarda il problema della comunicazione. Gran parte dei maître à penser ostili alla destra sostiene che l’emergenza immigrazione in realtà non
esista e che sia stata creata a tavolino dalla Lega. Che sia insomma tutta una
manipolazione mediatica, una circonvenzione del cittadino ignorante e rabbioso.
Tuttavia, sappiamo che la comunicazione funziona quando c’è un almeno punto
d’attracco nella società, nella sua profondità razionale e sentimentale. La questione della
centralità dell’immigrazione nel dibattito politico si protrae da anni, cosa
che dovrebbe almeno far sospettare che l’appiglio nella società sia piuttosto
profondo. Ciò perché, dati alla mano, l’immigrazione ha avuto un incremento
numerico considerevole negli ultimi cinque anni ed una pessima gestione del
processo d’integrazione da parte di tutti i governi che hanno lasciato in
strada, spesso nelle mani del racket e della mafia centinaia di migliaia di
immigrati irregolari. Persone che,
purtroppo, sono fantasmi non identificati che vagano per le nostre strade,
senza un percorso di istruzione o d’inserimento lavorativo e senza una reale
assistenza da parte dello Stato nel percorso di integrazione sociale. Una
situazione irrisolta che contribuisce a creare la percezione secondo cui
l’immigrazione sia in aumento e fuori controllo. Anche perché la crescita
numerica e l’abbandono a se stessi degli immigrati è fisicamente riscontrabile
nelle stazioni, nelle piazze, nelle strade di ogni città italiana. Nessuno nega
che la politica e i media amplifichino le percezioni, ma una base empirica,
fattuale, che genera l’attenzione al fenomeno deve esistere (ed in questo caso
esiste). Anche perché altrimenti tutta la comunicazione massiccia su fenomeni
che vengono presentati dai promotori come una questione di massima urgenza
dovrebbe funzionare e non è così, vale per la pubblicità e anche per la
politica.
Il contesto storico.
In secondo luogo, spesso
il mondo intellettuale e politico progressista tende a trascurare la storia e
di conseguenza a razionalizzare errori e sconfitte. Ogni fase storica
ha i suoi momenti topici e anche per l’immigrazione è forse possibile
individuarne uno. Un momento fondamentale di questa storia, a giudizio di chi
scrive, è stato il dicembre 2014, quando furono pubblicate le intercettazione
di mafia capitale in cui Buzzi, manager di una cooperativa e appaltatore della
giunte Alemanno e Marino per l’accoglienza dei migranti, affermava “con
gli immigrati faccio più soldi che con la droga”. Con quello scandalo si
è iniziata a determinare nell’opinione pubblica la saldatura logica tra immigrazione senza controllo-ONG-logiche
affaristiche-compiacenza del Partito Democratico, da cui non si è più
tornati indietro. È stato il momento in cui Matteo Salvini ha iniziato a
martellare contro la politica dell’allora governo Renzi e contro i 35 euro al
giorno pro-capite destinati agli immigrati. Nella vulgata comune il concetto di
accoglienza, con cui il mondo progressista si auto-compiaceva, si è trasformato
in un “business con i soldi degli italiani”.
Retrospettivamente l’esplosione di Mafia Capitale è stato un momento di
rottura nel dibattito politico italiano in cui la questione
pro/anti-immigrazione è divenuta centrale. In cui si sono attivati quelli che
potremmo chiamare “i meccanismi politici del sospetto”, secondo cui dietro la
gestione dell’immigrazione si sarebbero celati convenienze, sprechi pubblici,
guadagni privati dei fiancheggiatori del Pd. Un episodio che ha contribuito, in
modo fondamentale, al successo della Lega e alla disgrazia del Pd. Questa
dinamica, unita al discredito della classe politica e alla sfiducia verso
l’Unione Europea, ha creato i presupposti per l’affermazione di successo del
neo-nazionalismo di Salvini. Mentre i democratici nel campo delle politiche
sull’immigrazione non si sono mai liberati, agli occhi della grande maggioranza
degli elettori, del sospetto che gravava su di loro e sul partito. Una spirale
letale.
La disobbedienza civile.
Da ultimo, il micro-cosmo in progress sbandiera in questi
giorni, su social network e media mainstream, l’invocazione dell’Antigone di Sofocle e della disobbedienza civile.
Anche questa storia sembra stia sfuggendo di mano al pianeta del progresso. La
disobbedienza civile è un concetto soggettivo (o al massimo di gruppo) che si
può prestare a molteplici usi e significati politici (esempio: non pagare
le tasse, sparare a chi entra nel perimetro di casa, occupare una casa perché
senza tetto etc). Il confine tra disobbedienza civile e la decisione sullo
"stato d’eccezione", teorizzata dal giurista tedesco Carl Schmitt
come atto extra-legale per ripristinare la legittimità politica, è molto labile.
Insomma, giustificare
(ed incitare) la violazione delle leggi di uno Stato come atto moralmente
giusto - e pretendendo che possa essere giustificato - apre la strada a
ripetizioni pericolose.
Se ogni gruppo ha la propria morale, diversa rispetto a quelle degli altri,
ed ognuno si sente legittimato a violare la legge dello Stato in nome dei suoi
valori, che ne sarà dell’ordine politico? Quanto possono essere messe in
pericolo le libertà e la democrazia? Tutto questo senza considerare il fatto che è molto discutibile parlare
di disobbedienza civile di un cittadino straniero nei confronti di un altro
Stato. Soprattutto nel caso in cui questo individuo favorisca
l’immigrazione illegale e violi senza permesso i confini della nazione verso
cui sta andando. La disobbedienza rischia di perdere di senso in questo
specifico. Lo stesso Henry David Thoreau la concepiva come atto di resistenza
nei confronti di leggi ingiuste e tiranniche del proprio governo. Non come
violazione delle leggi di una nazione straniera.
La causa dell'accoglienza.
Infine, siamo certi che atti dimostrativi di questo genere aiutino chi
vorrebbe più apertura sull’immigrazione a diffondere il suo messaggio? È forse
inneggiando al forzare posti di blocco e regolamenti che si riesce a
sensibilizzare l’animo degli italiani sul problema degli immigrati? O la
solidarietà del resto d’Europa? Chi fugge da guerre, fame e miseria ha molto
più diritto ad entrare attraverso percorsi legali, sicuri e controllati, non
con azioni illegali, dopo aver subito la pena di settimane di stallo in mare. E al tempo stesso i cittadini di uno Stato
hanno diritto al fatto che i confini della propria nazione siano attraversati
con procedure legali.
Del RIO (PD) a bordo della Sea Watch |
Una scelta diversa.
Forse l’opposizione può fare diversamente e meglio, promuovere un dibattito,
fornire soluzioni pratiche, convincere gli italiani con progetti ed idee su
integrazione ed accoglienza, indebolire la politica di Salvini con fatti e
credibilità.
Salire su una
nave non basta, anzi rischia di trasformarsi in una stucchevole passerella, in
un esercizio di pedante pedagogia e replicare tutti gli stessi errori del
passato.