La Cina lo considera un criminale, ma a Hong Kong ha sempre lavorato per promuovere la dignità dell'uomo e la libertà religiosa. Se dopo l'arresto e il rilascio «sta bene ed è tranquillo» è grazie alla sua grande fede
«Sta bene. È molto tranquillo»: così mi dicono alcune persone vicine al cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, che mercoledì è stato incriminato di «collusione con forze straniere» in base alla legge sulla sicurezza nazionale. Il cardinale, insieme agli altri tre arrestati con lui, è stato rilasciato su cauzione, ma su di loro pende un processo che potrebbe condannarli a 10 anni o perfino all’ergastolo.
La
campagna di Pechino contro Zen
Per chi lo conosce, non è una sorpresa
che il cardinale Zen sia tranquillo. Una buona dose di fede gli fa vivere la
realtà che è incisa nel suo motto episcopale: «Egli ha cura di voi» (1° lettera
di Pietro 5,7). Un altro motivo di non sorpresa è che ad Hong Kong molti se
l’aspettavano. In questi anni alcuni media cinesi lo hanno accusato di lavorare
contro la Cina, di essere al servizio dell’occidente colonialista, di essere
l’anima nera del movimento democratico.
Poi sono arrivati gli articoli di
giornali filo-Pechino contro la Chiesa cattolica, e infine l’arresto. La stessa
scansione, Pechino-filo-Pechino-arresto, si è avuta per l’Associazione
che ricordava ogni anno le vittime di Tiananmen, la Federazione
dei sindacati liberi, i vari giornali e agenzie che hanno dovuto chiudere.
Zen
si è speso per Hong Kong e la Cina
In realtà, per me che lo conosco da
quasi 30 anni, mi sembra che lui abbia sempre e solo lavorato per la libertà
sociale e quella religiosa, due elementi strettamente uniti nella dottrina
sociale della Chiesa. E lo fa per Hong Kong e per la Cina.
Non potrò dimenticare quando nel 2006 ha
ricevuto la berretta cardinalizia da Benedetto XVI e lui ha detto che
l’accettava perché la berretta rossa era per onorare il sangue di tanti martiri
cinesi contemporanei.
Un
gigante della carità
Il lavoro per la democrazia a Hong Kong
segue la stessa traiettoria: un vescovo e un cardinale che trovi fianco a
fianco nelle manifestazioni per ricordare i massacrati di Tiananmen, per
domandare più libertà e più responsabilità nella gestione della società, per
chiedere la libertà per qualche vescovo cinese imprigionato.
A questo va aggiunto il suo impegno
caritativo per i poveri, i migranti, i prigionieri. Ogni settimana, finché ha
potuto e glielo hanno concesso, andava a visitare una prigione di Hong Kong,
intrattenendosi coi detenuti. Due anni fa le autorità gli hanno proibito di
portare ai prigionieri i dolci della festa della luna (Zhongqiujie, la festa di
mezzo autunno), perché potevano essere un messaggio «politico». Ma il messaggio
era solo la stima per la dignità dell’altro, l’apertura all’amicizia e al
rapporto, in una società dominata dall’autoritarismo confuciano e
dall’individualismo consumista.
La
critica dell’Accordo sino-vaticano
Nei primi anni del 2000 si era opposto,
anche con uno sciopero della fame, a una riforma della scuola voluta dal
governo, che per il cardinale Zen relativizzava il valore degli educatori a
favore del controllo amministrativo e del governo. Per lui, la perdita della
libertà educativa era il primo passo verso un controllo sociale autoritario. I
fatti che stanno succedendo ad Hong Kong in questi ultimi anni sembrano dargli
ragione.
Anche sull’Accordo
sino-vaticano i fatti sembrano dargli ragione. Dopo la firma
dell’accordo nel 2018, rinnovato per altri due anni nel 2020, le notizie che
provengono dalla Chiesa in Cina raccontano di vescovi arrestati, di sacerdoti
cacciati, di giovani a cui è proibito partecipare a catechismo e cerimonie
religiose. Negli ultimi mesi, anche papa Francesco e la segreteria di Stato
hanno riconosciuto che vi sono «difficoltà» e mancanza di dialogo da parte
cinese.
La
Chiesa non è «cortigiana della storia»
Anche il mondo occidentale non era
esente dalle critiche del cardinale. Tante volte si lamentava che gli
investitori stranieri – certo con l’aiuto di corrotti quadri del Partito –
fossero interessati solo al proprio tornaconto e non alla popolazione cinese,
amando l’autoritarismo di Pechino perché «faceva bene agli affari»,
disinteressandosi dei problemi dell’ambiente e dello sfruttamento della
manodopera.
Insomma, grazie al cardinale Zen
possiamo sfatare la definizione di Antonio Gramsci, grande comunista, secondo
cui la Chiesa «è la cortigiana della storia», sempre amoreggiante con il
potere. Per il cardinale la Chiesa è l’interlocutrice di ogni uomo e di ogni
società.
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