venerdì 13 maggio 2022

IL MIO AMICO CARDINALE ZEN, GIGANTE DELLA LIBERTÀ

La Cina lo considera un criminale, ma a Hong Kong ha sempre lavorato per promuovere la dignità dell'uomo e la libertà religiosa. Se dopo l'arresto e il rilascio «sta bene ed è tranquillo» è grazie alla sua grande fede

 Bernardo Cervellera

«Sta bene. È molto tranquillo»: così mi dicono alcune persone vicine al cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, che mercoledì è stato incriminato di «collusione con forze straniere» in base alla legge sulla sicurezza nazionale. Il cardinale, insieme agli altri tre arrestati con lui, è stato rilasciato su cauzione, ma su di loro pende un processo che potrebbe condannarli a 10 anni o perfino all’ergastolo.

La campagna di Pechino contro Zen

Per chi lo conosce, non è una sorpresa che il cardinale Zen sia tranquillo. Una buona dose di fede gli fa vivere la realtà che è incisa nel suo motto episcopale: «Egli ha cura di voi» (1° lettera di Pietro 5,7). Un altro motivo di non sorpresa è che ad Hong Kong molti se l’aspettavano. In questi anni alcuni media cinesi lo hanno accusato di lavorare contro la Cina, di essere al servizio dell’occidente colonialista, di essere l’anima nera del movimento democratico.

Poi sono arrivati gli articoli di giornali filo-Pechino contro la Chiesa cattolica, e infine l’arresto. La stessa scansione, Pechino-filo-Pechino-arresto, si è avuta per l’Associazione che ricordava ogni anno le vittime di Tiananmen, la Federazione dei sindacati liberi, i vari giornali e agenzie che hanno dovuto chiudere.

Zen si è speso per Hong Kong e la Cina

In realtà, per me che lo conosco da quasi 30 anni, mi sembra che lui abbia sempre e solo lavorato per la libertà sociale e quella religiosa, due elementi strettamente uniti nella dottrina sociale della Chiesa. E lo fa per Hong Kong e per la Cina.

Non potrò dimenticare quando nel 2006 ha ricevuto la berretta cardinalizia da Benedetto XVI e lui ha detto che l’accettava perché la berretta rossa era per onorare il sangue di tanti martiri cinesi contemporanei.

Un gigante della carità

Il lavoro per la democrazia a Hong Kong segue la stessa traiettoria: un vescovo e un cardinale che trovi fianco a fianco nelle manifestazioni per ricordare i massacrati di Tiananmen, per domandare più libertà e più responsabilità nella gestione della società, per chiedere la libertà per qualche vescovo cinese imprigionato.

A questo va aggiunto il suo impegno caritativo per i poveri, i migranti, i prigionieri. Ogni settimana, finché ha potuto e glielo hanno concesso, andava a visitare una prigione di Hong Kong, intrattenendosi coi detenuti. Due anni fa le autorità gli hanno proibito di portare ai prigionieri i dolci della festa della luna (Zhongqiujie, la festa di mezzo autunno), perché potevano essere un messaggio «politico». Ma il messaggio era solo la stima per la dignità dell’altro, l’apertura all’amicizia e al rapporto, in una società dominata dall’autoritarismo confuciano e dall’individualismo consumista.

La critica dell’Accordo sino-vaticano

Nei primi anni del 2000 si era opposto, anche con uno sciopero della fame, a una riforma della scuola voluta dal governo, che per il cardinale Zen relativizzava il valore degli educatori a favore del controllo amministrativo e del governo. Per lui, la perdita della libertà educativa era il primo passo verso un controllo sociale autoritario. I fatti che stanno succedendo ad Hong Kong in questi ultimi anni sembrano dargli ragione.

Anche sull’Accordo sino-vaticano i fatti sembrano dargli ragione. Dopo la firma dell’accordo nel 2018, rinnovato per altri due anni nel 2020, le notizie che provengono dalla Chiesa in Cina raccontano di vescovi arrestati, di sacerdoti cacciati, di giovani a cui è proibito partecipare a catechismo e cerimonie religiose. Negli ultimi mesi, anche papa Francesco e la segreteria di Stato hanno riconosciuto che vi sono «difficoltà» e mancanza di dialogo da parte cinese.

La Chiesa non è «cortigiana della storia»

Anche il mondo occidentale non era esente dalle critiche del cardinale. Tante volte si lamentava che gli investitori stranieri – certo con l’aiuto di corrotti quadri del Partito – fossero interessati solo al proprio tornaconto e non alla popolazione cinese, amando l’autoritarismo di Pechino perché «faceva bene agli affari», disinteressandosi dei problemi dell’ambiente e dello sfruttamento della manodopera.

Insomma, grazie al cardinale Zen possiamo sfatare la definizione di Antonio Gramsci, grande comunista, secondo cui la Chiesa «è la cortigiana della storia», sempre amoreggiante con il potere. Per il cardinale la Chiesa è l’interlocutrice di ogni uomo e di ogni società.

 

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