domenica 4 agosto 2013

CASSARE LA CASSAZIONE

Accanimento ad personam e viltà in una sola sentenza

Il verdetto sarà rispettato, ma è politicamente e civilmente nullo


Dopo oltre sette ore di camera di consiglio, la Corte di Cassazione ha confermato la condanna a 4 anni per frode fiscale inflitta a Silvio Berlusconi dalla Corte d’appello di Milano. Alla stessa Corte, la Cassazione ha rinviato l’onere di rideterminare la pena accessoria per il condannato, ovvero la durata dell’interdizione dai pubblici uffici. Per il procuratore capo di Milano, Bruti Liberati, “la pena principale è definitiva e subito eseguibile”.


La logica parruccona, con un micragnoso tentativo di compromesso sull’interdizione dai pubblici uffici, ha portato a una sentenza che disonora la giustizia italiana, impegnata da vent’anni in un attentato continuato alla sovranità democratica del paese mascherato da guerra all’outsider populista, al leader che non doveva entrare in politica. Le lobby civili, giornalistiche, intellettuali e politiche avverse all’Arcinemico hanno avuto il loro premio giudiziario, complimenti. L’alleanza era nata su solide e sinistre basi, con la cancellazione manu giudiziaria dei partiti della Repubblica costituzionale, tra accuse di corruzione e di mafia, tonnellate di carcerazione preventiva. Fu l’avvilimento del diritto, con il passaggio successivo dei crusading prosecutors a una grottesca avventura in politica, da Tonino Di Pietro a Antonio Ingroia. In mezzo per Berlusconi c’è stato di tutto. E alla fine è arrivato uno scampolo di sentenza definitiva, che ha per conseguenza la privazione della libertà personale e, per quanti anni si vedrà, il divieto di fare politica inteso come decreto legale stabilito da una casta non eletta di magistrati tecnicamente irresponsabili di fronte al popolo di cui pretendono di essere la voce.

Ma una sentenza simile, di fronte a quel che conta, storia e sovranità popolare, è politicamente e civilmente nulla. Intanto proprio come significato. Una parte del paese giudica Berlusconi un reo, attuale o potenziale, dal momento in cui si è permesso di sconvolgere giochi ideologici, economici, finanziari e politici che prevedevano una diversa e più acconcia sistemazione in consorteria. Per loro la sentenza arriva con vent’anni di ritardo sulle campagne ostruzionistiche e la demonizzazione feroce di cui sono stati protagonisti. E’ una glossa ininfluente che consente loro di festeggiare in modo svaccato, ma una glossa. Se Berlusconi fosse stato assolto non uno di questi compatrioti avrebbe cambiato idea su di lui e sul senso della sua parabola nella vita dello stato. E un’altra parte del paese lo ha invece seguito e votato e considerato per quello che era, una persona dotata di un carisma personale importante, di un linguaggio e di modi nuovi e rivoluzionari sulla scena pubblica, denunciando come ingiusto, speciale e sinistro, anticostituzionale, il trattamento giudiziario al quale è stato sottoposto in decine di processi, molti dei quali si sono conclusi con plateali assoluzioni. Questa Italia ha votato Berlusconi malgrado gli accanimenti e le persecuzioni, lo ha fatto con tenacia per molti anni, consentendogli di vincere tre volte le elezioni politiche, e di determinare con le ultime elezioni una situazione in cui, con il patrocinio politico del capo dello stato, si è costituito un governo di larga coalizione come unica soluzione possibile nel rispetto del principio di realtà.

Sentenza nulla, dunque. Verdetto che può al massimo premiare le fregole dei nemici del Cav., può determinare una situazione di febbricitante instabilità anche e sopra tutto nell’esercito dei suoi avversari, oggi alleati di governo, che è profondamente diviso e minaccia di rompere gli argini della larga coalizione. Siamo molto lontani dalla conclusione drammatica, tragica, infelice della stagione di un Bettino Craxi o di un Giulio Andreotti: i socialisti e i democristiani erano stati disconosciuti dal paese, e le loro liste raccoglievano un micro consenso residuale dopo le inchieste di Mani pulite e l’assalto generalizzato ai partiti. Con Berlusconi è tutto diverso, come sempre. Il consenso resta un punto fermo, che nessun attestato di reità cassazionista può rovesciare nella coscienza pubblica.

E perciò è chiaro quel che c’è da fare, a parte il solidale dispiacere per una condizione difficilissima in cui adesso è piazzato l’uomo simbolo di questi vent’anni. C’è da rimboccarsi le maniche e da ricostruire, nelle forme possibili, l’identità integrale di una personalità che ha espresso intorno a sé un movimento popolare immenso e che ha una funzione basilare di equilibrio nella politica italiana. Nessuno può togliergliela né per legge né per sentenza: almeno in una democrazia matura in cui, fatta salva la sottomissione ai dettati dei tribunali, resta aperta, e Berlusconi ha tutte le risorse personali e politiche per tenerla bene aperta, la prospettiva di un combattimento politico, per le riforme e per la giustizia.

Saranno ore e giorni di forte tensione, ma chi è amico di Berlusconi, e sopra tutto chi è amico di questo paese in grave crisi, guarderà oltre e cercherà, si spera con prudenza istituzionale e con saggezza, di determinare nuove condizioni anche a partire dal fatto che la guerra dei vent’anni oggi ha fatto un prigioniero, il più notevole dei suoi protagonisti. Un prigioniero libero.

3 agosto 2013

Cassare la Cassazione

Chi dice che quello del Cav. è un destino privato è un cretinetti e un ipocrita: è stato messo fuori legge un pezzo di libertà. Che fare? Deludere gli sfascisti ed eleggere domicilio politico a casa del prigioniero libero

Gli ipocriti per stupidità o per gola dicono che bisogna distinguere, all’indomani della sentenza della Cassazione, tra il destino personale di Berlusconi e la governabilità del paese. Impossibile. E’ stato messo fuori legge un movimento, un partito, un cartello di consenso su cui si regge il governo, va ai domiciliari una leadership che si è rivelata un pilastro della prospettiva politica, senza alternative serie di alcun tipo. E un pezzo di storia italiana, di libertà italiana.

In una situazione normale le cose andrebbero altrimenti. Se sui magistrati come corporazione, fino alla Cassazione, non gravasse il sospetto della politicizzazione, del comportamento abusivo di potere supplente contro l’autonomia sovrana della politica democratica, rappresentativa, sarebbe diverso. Ma questo sospetto da anni lo coltiva anche Luciano Violante, e non saremo noi a contraddirlo. Lasciamo al partito delle manette, fiorente nei giornali, il piacere delle campagne di insulti diretti ai Violante e ai Napolitano e a chiunque altro, da qualsiasi sponda, ha preso atto del principio di realtà. Il sospetto c’è, dilaga, è senso comune, e non può non delegittimare la decisione giudiziaria nel caso controverso di questi vent’anni. I festeggiamenti maramaldi della sentenza non fanno che confermare lo scetticismo sarcastico riguardo la sua presunta neutralità.

Le cose andrebbero altrimenti, di nuovo in questo contesto, se Berlusconi fosse un ordinario leader di partito. Messo in discussione da un potere neutro, legittimato e riconosciuto dal consenso etico e politico universale, il capopartito condannato se ne va. E il partito lo sostituisce con un altro alla guida. E’ successo a Helmut Kohl, e nemmeno in virtù di una sentenza, figuriamoci. Ma Berlusconi non è un politico in carriera, sia pure di grande rilievo e capace di durare nel tempo; è un’altra cosa, è un outsider che nella crisi della Repubblica dei partiti ha cambiato il terreno di gioco e si è fatto uomo di stato entrando in politica e innovandola radicalmente, con un tratto personale legato al maggioritario, all’alternanza di governo e al consenso sovrano come potere popolare di investitura oltre le nomenclature e le oligarchie. Berlusconi non è uno statuto, un apparato, una tradizione o prassi collettiva, un’ideologia come programma, un comitato centrale, un consiglio nazionale, una sede, un numero d’ufficio e di telefono al quale possa rispondere un’altra qualsiasi voce: Berlusconi è Berlusconi, una persona, piena di difetti, capace di sbagliare cinque volte al giorno, che si esprime in modo personale, che fa bene o male sempre in ragione di un istinto privato e personale, un capo popolare portato dal voto democratico a unzioni pubbliche e di governo, l’onction démocratique di cui parlava Mitterrand. Berlusconi è Berlusconi ed essere Berlusconi non è reato. Questo è il punto. Che una parte degli italiani, ostinatamente, si rifiuta di obliterare. Quando Craxi e Andreotti furono colpiti, loro che erano campioni di una Repubblica lasciata perire dai vili e dai furbi sotto i colpi delle crociate giudiziarie, in un delirio di cinismo e inverecondia, il paese sanzionò la cosa subito, automaticamente, distruggendo il loro consenso nelle urne e nella coscienza pubblica. Nel caso di Berlusconi il “reo” arriva alla sentenza della Cassazione, un timbro un po’ vile di conformismo della suprema corte rispetto alla Repubblica delle procure e al partito dei giudici, dopo anni di processi che non hanno convinto nessuno, non hanno alienato voti e fiducia. Anche Berlusconi ha pagato il suo tributo notevole all’antipolitica e all’anticasta dei ricchi e famosi nella crisi economica e nella grande adunata grillina contro la democrazia, ma per un pelo avrebbe potuto vincere le elezioni politiche per la quarta volta nonostante la diffamazione e i processi (uno zero qualcosa per cento); ed è uscito dalla gara con la proposta di governo che poi ha prevalso ed è oggi espressa dal governo Letta voluto e tutelato come di dovere dal presidente della Repubblica. Quindi chi dice che si deve distinguere, che sono fatti privati, è un cretinetti e un ipocrita, fauna abbondante nella classe discutidora italiana.

E allora? Che fare? Tirare giù tutto o contribuire agli sfascisti della lobby che vuole eterodirigere la sinistra e lo stato, e ai loro disegni stampati ogni giorno nella prima pagina di Repubblica, sarebbe assurdo e autolesionistico. Accoppiare a una condanna ingiusta una catastrofe politica, che sarebbe sentita come un attentato alla stabilità del paese e al pallido e non amato tentativo di mettere un argine alla più lunga recessione del dopoguerra, è altamente sconsigliabile. Tacere, lavorare di opportunismo, cambiare leadership senza il pieno consenso e attivo del Cav., fingersi genericamente governativi: tutto questo non si può e non si deve, sarebbe la risposta subalterna, indegna, priva di prospettiva e di fiducia, all’aggressione subita per due decenni, una resa. Invece una cosa la si può tentare, ed è nella pelle degli avvenimenti e della loro logica.

Cassare la Cassazione, ma nei fatti politici e nei comportamenti pubblici del “reo” e dell’armata popolare dei suoi amici e sostenitori. Dovunque sia costretto a eleggere domicilio, e anche senza passaporto e onorificenza della Repubblica, il prigioniero Berlusconi non perderà il diritto di parola e di azione attraverso la sua gente e il suo movimento e la sua rappresentanza. Chi lo ha consegnato a questa situazione indecente, a questa inaudita sproporzione, deve pagare le conseguenze del caso. Se un carisma personale è forte, se una leadership ha motivazioni sensate, e in questo senso oggi si aggiungono alle altre le ragioni di una ribellione al trattamento violento e prevaricatore, il potere democratico lo si può esercitare anche da casa propria. E, se le cose saranno fatte con prudenza, con determinazione intelligente, con il senso di una surrealtà da rimettere con i piedi per terra, sarà un grande spettacolo, e a subire alla fine le conseguenze della prepotenza saranno gli arroganti e i maramaldi che oggi si accaniscono nascosti dietro le sottane dei cassazionisti. Qui avevamo per tempo anticipato la possibilità di un leader politico anomalo, e adesso anomalo anche perché privato dei diritti civili e colpito da una sanzione che sa di faziosità politica, che riuscisse a resistere e a ricostruire una identità, una rivincita, da una posizione inaudita. L’esperimento può cominciare da subito, posto che la tempra del “reo” è forte abbastanza, e che la figura del prigioniero libero, della vittima di un’ingiustizia che si ostina a dialogare con il paese e a fare politica, assomiglia a Berlusconi come una goccia d’acqua.



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