L'inevitabile successione
È molto difficile chiudere l'era
Berlusconi, ma è certo che in una prospettiva non troppo lontana la sentenza
della Cassazione ha posto fine alla sua leadership politica. In un Paese civile
le sentenze delle Corti, infatti, fossero anche le più infondate e discutibili,
vanno eseguite. Su questo non possono e non devono esserci dubbi.
Fine della leadership di Berlusconi,
dunque. Certo, il Cavaliere potrebbe sempre
in qualche modo dirigere il Pdl da casa sua, mandare cassette registrate da
trasmettere alla televisione, rilasciare un'intervista al giorno, collegarsi
dovunque in teleconferenza. Ma il fatto di non poter essere eletto e far
ascoltare mai la sua voce in Parlamento, di non poter farsi vedere in un
comizio, di non potersi recare in alcuna riunione all'estero, tutto ciò rende
di fatto impossibile qualunque suo reale ruolo di comando. È vero che egli non
è uomo da rassegnarsi facilmente, e che l'Italia ha ormai abituato il mondo
alle proprie numerose anomalie, ma si può immaginare un Paese o un partito
guidati a questo modo? Cioè nel modo in cui si troverà Berlusconi tra poche
settimane? Dunque prima o poi egli dovrà passare la mano in qualche modo. L'ora
della sua successione è arrivata.
Anche se come si sa, egli non si è mai curato di prepararla. Non è un caso che
finora, a quel che sembra, l'unica forma di successione che gli è venuta in
mente non è all'interno del suo partito di plastica, bensì è quella
personal-familiare nella persona della figlia Marina (che peraltro ha detto proprio ieri di non pensarci nemmeno):
un'incredibile e, più che incredibile contraddittoria, trasposizione nella
dimensione dinastica della vicenda più orgogliosamente self made man e più
sfrenatamente egotista che abbia mai visto la politica italiana.
La verità è che finché si rimane
nell'ambito del partito berlusconiano il
problema di trovare una futura leadership è per la Destra un problema
insolubile. All'interno del Pdl non esiste alcuna personalità in grado di
essere realmente accettata da tutti gli altri come capo, e al tempo stesso di
risultare credibile agli occhi dell'elettorato.
Per rappresentare nelle urne gli elettori italiani di destra è necessario perciò che
oggi si avvii la nascita di qualcosa di nuovo e di diverso, che può essere il
frutto solo di un grande rimaneggiamento di sigle, di famiglie, di gruppi e di
storie politiche. Al quale - questo sembra essere il punto decisivo - deve
partecipare attivamente anche quell'area moderata, non di sinistra, che finora
si è detta di centro: si è detta tale, a me pare, per un solo motivo, in
sostanza: per la comprensibile paura di essere confusa con la Destra esistente,
vale a dire con Berlusconi, con il suo stile e le sue pratiche. Ormai, però, si
è aperta una prospettiva in cui tale paura non ha più motivo di essere.
Le donne e gli uomini del Centro, gli ambienti che li esprimono, devono solo convincersi che
in un Paese normalmente bipolare - e l'Italia ormai lo è definitivamente -
essere di destra vuol dire semplicemente avere opinioni, valori e adottare
politiche diverse da quelle della Sinistra. E che dunque se, come è il loro
caso, non si hanno le opinioni e i valori della Sinistra, ciò significa
inevitabilmente che si è di Destra, e che in ciò non c'è nulla di male. In una
democrazia Destra e Sinistra, infatti, non sono l'una il male e l'altra il
bene, o viceversa. Sono semplicemente due diversi luoghi dello schieramento
politico, e in parte (ma solo in parte) anche due modi di pensare il mondo: entrambi
legittimi perché a sostegno di entrambi possono essere addotte ottime ragioni.
Se migliori in un caso o nell'altro, dipende solo dalle circostanze.
Se non si è di sinistra, dunque, è all'elettorato di destra che bisogna rivolgersi. Ma senza
retropensieri e infingimenti. Senza fare, ad esempio, ciò che invece ha fatto
rovinosamente il Centro nell'ultima campagna elettorale: e cioè di dare
chiaramente a intendere che, se del caso, esso non escludeva dopo le elezioni
di potersi alleare con la Sinistra. Oggi come oggi, infine, una ricostruzione
politica della Destra a partire dal Centro dovrebbe anche avere chiaro che per
interloquire con l'elettorato che per anni si è riconosciuto nel Pdl non si
devono, no, tacere le ombre pesanti che via via si sono venute addensando su
Berlusconi, ma al tempo stesso si deve non solo riconoscergli la parte
imprescindibile e positiva che egli ha avuto a suo tempo nella trasformazione
del sistema politico italiano, ma anche fare proprie alcune battaglie (perdute)
che hanno caratterizzato la sua vicenda. A cominciare da quella altamente
simbolica, ma assolutamente sacrosanta, per una riforma del sistema
giudiziario.
È vero che in Italia per adottare la linea che ho sommariamente indicato bisogna
superare un potentissimo interdetto socio-culturale: quello costruito per anni
e anni dalla Sinistra, la quale ha sempre cercato di far credere che essere di
destra voglia dire essere contro la democrazia (dimenticando, tra l'altro, che
su questo piano essa stessa non aveva certo tutte le carte in regola...). Ed è
pure altrettanto vero che nel nostro Paese, a partire almeno dagli anni 70 del
secolo scorso, la borghesia corporativa e della rendita e il capitalismo senza
capitali - pieni com'erano e come sono di scheletri negli armadi, e perciò
oltremodo bisognosi di un protettore politico - hanno sempre trovato comodo
cercarlo a sinistra: cioè nella parte che gli appariva di volta in volta più
forte, più cattiva, o più alla moda. Ma tutto questo, se non m'inganno, il
vorticoso incalzare dei tempi e l'urgenza dell'agenda politica se lo stanno
ormai portando via. La crisi del Paese vuol dire la fine, tra tante altre cose,
pure di questi antichi riflessi condizionati. Anche a destra è venuto il
momento di voltare pagina.
Ernesto Galli della Loggia
da "Il Corriere della Sera"
11 agosto 2013
Ernesto Galli della Loggia
da "Il Corriere della Sera"
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