sabato 19 settembre 2015

GLI USA IN ATTESA DI FRANCESCO

George Weigel intervistato da Marco Respinti
la nuova bussola quotidiana 17-09-2015


In occasione della partecipazione all’VIII Incontro Mondiale delle Famiglie in programma a Filadelfia, il 22 settembre Papa Francesco arriverà negli Stati Uniti. Per ragioni diverse ma tutte rilevantissime, i viaggi dei suoi predecessori, il beato Paolo VI (1897-1978), san Giovanni Paolo II (1920-2005) e Benedetto XVI, sono stati sempre decisivi, impressi in modo indelebile nella memoria di chi c’era, dei cronisti e persino della storia non solo strettamente religiosa. Un po’, certamente, perché gli Stati Uniti sono il Paese più potente del mondo sul piano economico e militare, così come più influente sul piano sociale e culturale; ma un po’ anche perché sono un Paese “misterioso”, nato nel secolo dell’illuminismo trionfante, marcato indelebilmente dal sigillo del protestantesimo radicale, eppure di fatto ben disposto nei confronti del cattolicesimo come lo sono pochi altri Paesi.

The Holy Name Cathedral in Chicago
Del cattolicesimo americano vivo e combattivo, George Weigel è certamente uno dei rappresentanti più intelligenti e noti. Sua è la monumentale biografia in due volumi Testimone della speranza. La vita di Giovanni Paolo II (tard. it. Mondadori, Milano 2000) e La fine e l’inizio. Giovanni Paolo II: la vittoria della libertà, gli ultimi anni, l’eredità (trad. it. Cantagalli, Siena 2012), ma preziosissimo – tra i molti suoi libri preziosi – è anche La cattedrale e il cubo. Europa, America e politica senza Dio (trad. it. Rubbettino, Soveria Mannelli [Catanzaro] 2006). Senior Fellow e direttore del programma di Studi cattolici dell’Ethics and Public Policy Center di Washington, Weigel ha accettato di scattare per La Nuova Bussola Quotidiana qualche istantanea di quel “Paese misterioso” alla vigilia del viaggio apostolico del Pontefice. 

Che Paese sono oggi gli Stati Uniti d’America? Pronti per la visita di Papa Francesco?
Penso che l’interesse per la visita del Santo Padre sia enorme e che quindi il Paese lo accoglierà con grande calore.

Le critiche di Papa Francesco all’economia libera di mercato sono molte dure e del capitalismo gli Stati Uniti sono, per molti versi, la casa. I cattolici di buona dottrina, fedeli al Magistero, come per esempio lei, sono in genere ampiamente favorevoli all’economia capitalista. Cosa pensa del pensiero economico dell’attuale pontefice?

Nelle affermazioni che i media e la Sinistra politica amano citare, Papa Francesco ha mai usato la parola “capitalismo”. Il Papa critica l’avidità, la corruzione e la mancanza di attenzione ai poveri. E con queste sue critiche io sono totalmente d’accordo: si tratta infatti di problemi seri. Ma quel che il Pontefice conosce, per l’esperienza che ha dell’Argentina e di altri luoghi dall’America Latina, non è affatto il “capitalismo” inteso come il mercato regolato dal diritto e dalla cultura; quel che c’è in America Latina è infatti principalmente o una forma molto brutta del cosiddetto “crony-capitalism” (il capitalismo clientelare fatto di relazioni strette e sovente poco chiare tra businessmen e funzionari pubblici a discapito della libertà d’intrapresa e della genuina concorrenza), oppure il vecchio mercantilismo travestito da populismo.

I Papi non entrano mai nelle dispute politiche di alcun Paese, ma sui “princìpi non negoziabili” gli Stati Uniti del presidente Barack Obama hanno davvero raggiunto l’apice dell’arroganza ideologica. Pensa che, incontrandolo, Papa Francesco toccherà direttamente l’argomento?
L’incontro tra il Pontefice e Obama sarà di natura privata. Non saprei quindi davvero cosa dire. Eppure il Papa è perfettamente consapevole delle pressioni che l’Amministrazione Obama sta esercitando sulla Chiesa Cattolica attraverso quello che è un vero e proprio disegno d’irriverenza governativa nei confronti della libertà religiosa – un disegno che oggi minaccia la nostra capacità di essere quella “Chiesa ospedale da campo” che il Papa ci chiama a essere. Il Papa sa molto bene anche questo, e io per primo spero che con il presidente Obama solleverà la questione.

Pensa che il viaggio apostolico del Papa possa rafforzare e rincuorare quei cattolici americani che ancora non hanno perso la speranza e la voglia di battersi in difesa del matrimonio e della famiglia naturale, soprattutto dopo la recente sentenza con cui la Corte Suprema federale ha legalizzato le “nozze” LGBT negli Stati Uniti?
La battaglia per la difesa del matrimonio correttamente inteso è stata persa culturalmente molto prima che nel massimo tribunale del nostro Paese. Ricostruire un’autentica cultura del matrimonio sarà il lavoro di generazioni. Spero che il Santo Padre ci aiuti a muovere i primi passi di questo lungo cammino, quanto meno insegnandoci che è questa la strada che dobbiamo percorrere, per amore della nostra integrità di cattolici e come espressione della nostra responsabilità di cittadini.

Poco dopo il rientro del Pontefice dagli Stati Uniti, il 4 ottobre si aprirà il Sinodo dei vescovi sulla famiglia. Da tempo, numerosi rappresentanti della Chiesa che è in Germania, Austria e Svizzera parlano di temi legati al divorzio come mai si era sentito prima da presuli e porporati cattolici. Il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il card. Gerhard Ludwig Müller, paventa addirittura il rischio di una scisma.

Com’è, sul punto, lo stato di salute della Chiesa statunitense?
Molto, molto, ma molto più sano che nei Pesi che lei ha appena citato.

Un’ultima domanda. Prima di arrivare negli Stati Uniti, dal 19 settembre il Papa visiterà Cuba, una Cuba oramai democratizzata che oggi non fa più paura…

A Cuba non esiste alcuna nuova “democrazia”. Da quando, grazie alla mediazione vaticana, l’Amministrazione Obama si è accordata con il dispotismo cubano, nell’isola non è stato fatto un solo passo avanti nella tutela dei diritti umani. Spero che questo sia uno dei punti che il Papa solleverà con Raúl Castro.

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