di Francesco Agnoli
Dio o niente. È questo il titolo
del libro intervista del cardinale africano Robert Sarah presentato su Libero di
martedì come “Il manifesto dei vescovi contro Bergoglio”. Davvero non si
capisce il vezzo dei giornali, di qualsiasi colore e tendenza, quando non
manipolano apertamente la realtà (vedi Repubblica e Corriere),
di buttare tutto in caciara. In realtà, in questo caso la colpa non è del
cardinal Sarah, ma di quei “cattolici” che dividono il mondo tra coloro che sarebbero
i veri interpreti di papa Francesco, cioè loro, e chi invece va additato come
“nemico” ed avversario della misericordia e del nuovo corso della Chiesa.
Ricordiamo tutti le lamentazioni del cardinal Kasper che, dopo aver esposto le sue tesi piuttosto
periclitanti, sia da un punto di vista teologico, che canonico e storico, osò
lamentarsi prima contro i cardinali che avevano espresso anche loro il proprio
parere, nel celebre Permanere nella verità di Cristo (Cantagalli), poi, durante
il Sinodo, contro gli ecclesiastici africani, fautori dell’indissolubilità
matrimoniale e avversi al gender, invitati a non rompere le scatole ai dotti e
bianchi ecclesiastici tedeschi come lui. Soprattutto nel primo caso Kasper fu
presentato da vari giornalisti cattolici come l’uomo di papa Francesco, e i
cinque cardinali come dei ribelli: quasi non fosse ribellione, al contrario,
voler mutare la dottrina di sempre, e come se il Papa potesse essere colui che
invece di custodire e tramandare il deposito della fede, ne dispone a
piacimento.
Se vogliamo stare ai fatti, Robert Sarah non è capo di alcuna cordata
ideologica o di potere, ma solo un cardinale particolarmente stimato da Benedetto XVI ed anche da papa
Francesco, che infatti lo ha nominato prefetto della Congregazione per il culto
divino e la disciplina dei sacramenti il 3 novembre 2014, cioè proprio dopo che
al Sinodo sulla famiglia Sarah era stato uno dei più convinti avversari della
visione del matrimonio kasperiana. In effetti, titolo a parte, Franco Bechis,
nell’articolo di Libero dichiara molto onestamente che Sarah
non ha alcuna intenzione di proporsi come antipapa o come capo di una qualche
fazione. Coloro che lo hanno conosciuto, confermano tutti quello che scrive il
giornalista francese che lo ha intervistato, Nicolas Diat, già alla quarta riga
della sua introduzione: «… c’è solo l’evidenza di trovarsi al cospetto di un
uomo di Dio». Il sottoscritto ha avuto la fortuna di conoscere vari cardinali
che gli hanno fatto la stessa impressione: semplici, umili, innamorati di
Cristo e della Chiesa. Ma anche un mondo di preti, di monsignori e di alti
prelati troppo attenti al gioco delle cordate, alle ripercussioni di gesti e
parole sulla propria carriera, alle prudenze mondane che caratterizzano lo
sguardo corto degli uomini che si attendono tutto … da altri uomini.
No, Sarah ha tutto l’aspetto, l’atteggiamento, il parlare, di un uomo
libero, che si misura con la veritàdel Vangelo e del magistero, e non con i calcoli del mondo. “Dio o niente”,
il titolo della sua intervista, basta da sé a dimostrarlo: non ha nulla di
sociologico, né di ambiguo o indiretto. Dice chiaramente il nocciolo del
pensiero del cardinale, dia ciò fastidio o meno a chi legge. Detto
questo, messo da parte un po’ del fumo che si è alzato e che si alzerà durante
il Sinodo soprattutto per opera di zelanti “cattolici”, ecclesiastici e laici,
decisi a sbarazzarsi della Tradizione della Chiesa, sarà bene dire qualcosa su
questo libro che esce per i tipi di Cantagalli, cioè dell’editore più gettonato
dai cardinali. Sì perché Sarah non ha scelto una casa editrice
garibaldina, ma lo stessa che per decenni ha ripubblicato i classici del
pensiero cristiano, e che edita volumi dei cardinali Angelo Bagnasco, Angelo
Scola, Joseph Ratzinger, Camillo Ruini, Mauro Piacenza e tanti altri… Alcuni di
questi andrebbero ripresi in mano proprio in questi giorni. Mi riferisco
soprattutto ai testi sull’amore sponsale del cardinale Carlo Caffarra, Non è
bene che l’uomo sia solo, e alle Memorie e digressioni di un cardinale italiano,
opera istruttiva, gustosa, profonda, di un cardinale che ci ha lasciati da
poco: Giacomo Biffi.
Cantagalli, l’editore dei cardinali, dunque, ha deciso ora di guardare
anche all’Africa, cioè al Continente più promettente per il cattolicesimo del futuro.
Pubblicando un libro che è già un best seller in altri Paesi, e che piace
proprio per lo stile schietto, diretto, franco del suo autore. “Il vostro
parlare sia sì sì, non no, il resto viene dal Maligno”, recita il Vangelo,
mentre la lingua di legno di molti ecclesiastici ammorbidisce, ingarbuglia,
modifica il messaggio evangelico, soffocandolo in un mare di parole. Anche sul
matrimonio Gesù è stato chiarissimo, così conciso da utilizzare, per parlarne,
pochissime, inequivocabili parole. Ma sarebbe riduttivo sostenere che il libro
del cardinal Sarah è una risposta a Kasper e Marx, o persino a certe ambiguità
di Francesco, oppure il tentativo di ribadire la morale della Chiesa così come
essa è sempre stata. Ciò che dice Sarah, è anzitutto, che la fede non è
negoziabile: tutto sta o cade sulla nostra fede in Cristo. “Dio o niente”, può
anche essere sviluppato ulteriormente: “Dio, o tutto, o niente. Non si prende a
pezzi”. É il principio delle fede in se stessa. O ci fidiamo di Lui, o non ci
fidiamo. O crediamo che la sua verità e il suo amore ci salvino, o non ci
crediamo. Le vie di mezzo non sono possibili. Non lo sono, almeno, nei momenti
decisivi, in quelli delle scelte difficili, importanti. Un figlio, o lo si ama,
o non lo si ama. Se lo sia ama a giorni, se lo si ama quando si comporta in un
certo modo, e non in un altro, allora non lo si ama davvero. Così la moglie,
gli amici… Così Dio.
L’ottica con cui Sarah argomenta è quella di un cristiano africano. Sarah
non appartiene alla vecchia Europa, un tempo cristiana, ed oggi impegnata a smontare, pezzo per pezzo,
la sua storia e la sua fede, ponendo qualcosa in soffitta, con cautela e un po’
di finto riguardo, e buttando altro, con rabbia, nell’immondizia. Non
appartiene alla Chiesa tedesca, che ha gloriosamente resistito, in molti casi,
alla ferocia nazista, ma si è arresa quasi del tutto all’ individualismo
materialistico e al pensiero unico di oggi. La Germania, e in generale l’Europa
del Nord, che per primi hanno fatto della fede un “fai da te” con il “libero
esame” luterano, vedono le chiese svuotarsi, e a permanere, in certi casi, è
soltanto qualche residuo di potere economico. L’Africa, invece, è un
Continente che ha cominciato a conoscere il cristianesimo solo poche decine di
anni fa, soprattutto grazie ad un santo italiano, Daniele Comboni. Lì la Chiesa
assomiglia a quella dei primi secoli: cresce, conquista spazi, mossa
dall’entusiasmo dei nuovi adepti. Perché questo? Perché la “buona novella”, in
un Continente sino a ieri solo animista o islamico, è, appunto, “nuova”,
novella, e quindi più facilmente visibile, sia nei suoi contenuti più profondi,
sia nei suoi effetti.
L’africano che si avvicina a Cristo vede in lui, come i pagani romani, un
Liberatore, dalla paura dell’astrologia e della magia, dalla paura dei morti che ritornano, dei
riti tenebrosi che ancora caratterizzano molta religiosità africana. Cristo,
figlio di Dio, fratello degli uomini, è una rivelazione impetuosa, per chi ha
sempre concepito la divinità come una forza capricciosa, minacciosa,
incomprensibile, vendicativa. E poi gli africani toccano con mano gli effetti
liberanti dell’insegnamento di Cristo: della sua idea di perdono e di
fratellanza, in un Continente di lotte tribali e di vendette simili alle
antiche faide germaniche; della sua idea di famiglia, in un paese in cui la
donna è stata spesso trattata, come scriveva Daniele Comboni, come una pecora
da comperare o da vendere, e l’uomo ha concepito per millenni la sua
mascolinità come licenza e potere, invece che come servizio. Sarah lo fa capire
chiaramente: il matrimonio indissolubile è in Africa un grande, irrinunciabile,
annuncio, perché propone apertamente l’alleanza tra l’uomo e la donna,
valorizzando la donna e responsabilizzando l’uomo; perché dice ad entrambi che
sono fatti per l’amore, l’amore vero, l’amore fedele, e che ciò è possibile.
Le società che hanno futuro sono quelle che credono, amano e sperano. Non
quelle impegnate a demolire l’idea stessa della possibilità dell’amore, della
fedeltà, della costanza. Sono quelle in cui i legami buoni sono riconosciuti
come tali, indicati, auspicati, cercati.
Sarah, inoltre, non vuole assolutamente omettere di ricordare tutta intera
la grandezza del messaggio evangelico: messaggio di Verità, perché la Verità è la prima Carità;
messaggio di Carità, perché la Verità esiste davvero solo nell’Amore, nella
delicatezza, nel suo ancoraggio ad un Dio che è insieme, appunto, Logos ed
Amore. Per questo separare dottrina e prassi è atteggiamento schizofrenico, e
come tale senza sbocchi. Siamo lontanissimi dallo sguardo dei cardinali Kasper
e Marx, e in generale dall’ ottica che quasi spontaneamente, per certi versi
“comprensibilmente”, caratterizza un mondo cristiano agonizzante. Qual è,
infatti, la tentazione del cristiano occidentale? Svendere passo passo la fede,
i suoi contenuti, di fronte alla corrosione esercitata della cultura dominante.
E questa svendita, questo graduale disarmo, questo adeguarsi alla mentalità
mondana, è bene presentarlo, a sé, agli altri, con un bel vestito: non come un
cedimento, una mancanza di fiducia, ma come un aggiornamento; come fosse
dettato non dalla disperazione, dalla sfiducia, ma dalla misericordia, dalla
tolleranza, dalla “apertura”.
Misericordia è educare, perdonare, curare, rialzare, con carità ammonire e
rimproverare; è sia curare,che prevenire; sia curare, che, poi, rimettere in piedi. Sarah, come in
generale gli africani, lo ha chiaro nella testa, perché la società africana lo
mostra con evidenza: c’è, in quel grande Continente, un mondo di povertà, di
poligamia, di aids, di bambini orfani, di stregoneria, di vendetta… e c’è un
mondo di giovani che abbandonano le superstizioni e la poligamia dei padri, che
percepiscono l’amore di Cristo, che trattano da mogli le loro donne e che a
differenza degli antenati non fanno figli, destinati a rimanere orfani, al di
fuori del matrimonio (cioè dell’istituzione che, più di ogni altra, cura ogni
giorno gli egoismi dei coniugi e l’istintività dei figli, e curando educa alla
generosità e al sacrificio, all’amore e al perdono, alla fiducia e alla
pazienza…). Questi due mondi, entrambi vivi e presenti in Africa,
richiamano l’opera che la Chiesa ha svolto per secoli: educazione e cura;
predicazione e confessione. La Chiesa è stata, in Europa, la madre delle scuole
e la madre degli ospedali, e ha dato il meglio di sé in quelle grandi figure di
santi della carità e di santi dell’educazione, che insegnano proprio a
conciliare Verità ed Amore.
Di qui passa la sempre più forte crescita dei cristiani in Africa. Dalla
consapevolezza che vi sono nel contempo orfanotrofi da costruire, fallimenti da curare, e nuove
generazioni a cui indicare un nuovo modo di vivere, un modo di vivere più
felice perché più conforme alla “buona novella”. E in Europa? Da noi non c’è
l’avventura esaltante di una civiltà in costruzione, ma quella deprimente di
una civiltà in decomposizione. Per questo sembra a taluni, erroneamente, che
sia omai possibile un solo mondo: quello che ha preso la direzione della
religione fai da te, del Gesù Cristo al massimo interessante filosofo, del
divorzio breve, del matrimonio gay, e dell’utero in affitto… Se così è,
signori, dicono in fondo Kasper e Marx, la buona novella non è più
annunciabile, non è più possibile, non è più credibile… flettiamola,
modifichiamola, adattiamola al mondo. Saltiamo sul carro dei vincitori. Ma
così, direbbe il cardinal Sarah, nel suo libro tutto da leggere, non solo non
si curano i malati; non solo non si educano le nuove generazioni ai grandi
ideali del Vangelo, ma si dimentica che il diffondersi della buona novella sta
anche nella fede in essa che hanno coloro che ne sono portatori ed
interpreti.
In fondo sta tutto qui. Nel credere davvero che la buon novella è vera; nel
credere che è per il bene di tutti; nel credere che è possibile, nei limiti della miseria umana, viverla
e comunicarla, anche nell’Europa post-cristiana di oggi. Ai tempi dell’antica
Roma l’abbondanza dei divorzi e dei ripudi, il numero altissimo di infanticidi,
la decadenza dei costumi… non spinsero gli apostoli ad accomodare il Vangelo,
ma a viverlo così intensamente, da cambiare, piano piano, ogni cosa.
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