La tenerezza di Francesco mette Gesù davanti a ogni
"strategia"
Il primo giorno
americano di Francesco è stato talmente zeppo di eventi
che è difficile scegliere da cosa cominciare: in
ordine c'è stata la sua impacciata presenza nel tempio del potere
mondiale, o almeno in quello che ne è il simbolo, la Casa Bianca, la
sventagliata ai vescovi americani riuniti nella cattedrale di San Matteo, e la
canonizzazione presso il National Shrine of the Immaculate Conception, di
fra Junipero Serra, apostolo della California e colosso
dell'evangelizzazione.
Nella
teatrale solennità della South Lawn, nell'incontro con Barack Obama
ed elegantissima signora, ha, credo involontariamente, confermato quanto
molti entusiasti supporter americani pensano di lui, vale a dire
che è più vicino a Martin Luther King che a Benedetto XVI.
La complicità dell'unica citazione del suo discorso, quella del reverendo
di "I have a dream", ha portato molti opinionisti a elogiare non
solo l'indiscussa autorità morale, ma anche l'apertura mentale, l'audacia
del riformatore, l'energia esibita nell'imprimere una torsione alla Chiesa
avvertita, troppo spesso, come ripiegata su se stessa, statica e conservatrice.
La liturgia laica messa
in piedi dal presidente degli Stati Uniti era tutta tesa a consacrare l'uomo
della Speranza, il mediatore generoso dell'accordo con Cuba, l'eroe della
lotta al climate change e l'idolo clericale di milioni
di fans.
Insomma Francesco leader
mondiale, più che religioso, dal "buon radar politico",
stratega furbo che fiuta sempre il vento e indica obiettivi, magari non
proprio alla portata, ma sempre "politicamente corretti".
Bergoglio ha ancora 4 giorni e 15 discorsi per mostrare che è un
colossale autoinganno.
Più interessante l'incontro con i 400
monsignori americani nella cattedrale di Washington, o almeno meno scontata l'attesa.
Che tra il pontefice argentino e l'episcopato
più ricco e numeroso del mondo l'intesa non fosse perfetta,
non è una novità anzi per giorni è stato il luogo
comune sventolato da siti e osservatori sulle colonne di quotidiani
più o meno ostili. Il "papa comunista" è lontano dal
sentire ecclesiale americano, troppo a sinistra per un corpo vescovile
più spostato a destra, un pontefice insofferente al cattolicesimo
statunitense a tinte civili che sposa liberismo e Vangelo. Queste le
argomentazioni ricorrenti.
Sia chiaro, la
dissonanza c'è, ed è evidente, ma non è all'origine del
corposo momento di incontro che Francesco ha voluto riservare ai vescovi
americani. Gliene ha dette quattro — commentava un collega — e con quel
suo fare dolce li ha messi in riga. Non
credo che un discorso articolato, spiritualmente e
teologicamente inappuntabile, magistrale quanto un'enciclica possa essere
ridotto ad una ramanzina, o peggio a "il Papa sono io e
comando io". Bergoglio ha fatto molto di più.
E sebbene gli americani
abbiamo preso gusto nel fargli le pulci, testando persino la
sua "cattolicità", difficilmente potranno sfuggire alla logica
della tenerezza, alla paternità amorosa che sprizza da ogni parola
pronunciata da Francesco davanti ai confratelli statunitensi.
Solo alcuni accenni di un discorso
che va letto integralmente, senza censure.
1. Pregare, predicare,
pascere, le nuove tre p che definiscono un vescovo.
2. Non complesse
dottrine ma l'annuncio gioioso di Cristo
3. Arretrare,
decentrarsi e abbassarsi, evitando la tentazione
dell'autoreferenzialità e del narcisismo.
4. Non fare della Croce
un vessillo di lotte mondane.
5. Non
lasciarsi paralizzare dalla paura o leccarsi le ferite inferte dalla
secolarizzazione.
6. Praticare la via del
dialogo con tutti: il linguaggio aspro e bellicoso della divisione non si
addice alle labbra del pastore.
7. Meglio la
prossimità dell'amore che l'ancoraggio alle certezze granitiche.
8. Comunione,
collegialità e unità. Il mondo è fin troppo frazionato per
aggiungerci le divisioni tra pastori.
9. Non evadere le
questioni irrinunciabili: sacralità della vita, poveri, bambini,
immigrati, anziani e malati, vittime di terrorismo e guerra, ambiente e
famiglia.
10. Esercitare la
pastorale della prossimità e l'accoglienza verso i migranti.
Detto così sembra
un decalogo, con l'aggravante di una connotazione imperativa.
Ma lo straordinario
Francesco ha tenuto quello che per tutti sarebbe stato un
intervento correttivo con una dolcezza e
una umiltà tali da spingere gli interlocutori a
protendersi nell'ascolto. Non un giudice o un maestrino, ma un fratello
tra fratelli, che ama troppo la Chiesa per tracciare strategie, preferendo
di gran lunga la guida dello Spirito ai programmi personali. Un uomo capace
di esercitare autorità e misericordia verso una Chiesa che ancora
cura la ferita dello scandalo pedofilia, e che avverte ancora il bisogno di
ribadire un "mai più" che dovrebbe ormai essere quasi
scontato.
Quando poi torna a
parlare di nuovo spagnolo, durante la celebrazione per la canonizzazione
del missionario francescano a cui si devono i nomi delle più grandi
metropoli della west coast, ripete quanto affermato in
cattedrale davanti ai vescovi: Gesù per
tutti. Un messaggio inclusivo che si traduce in un annuncio senza
paura, senza pregiudizi, senza purismi. E' l'annuncio
dell'abbraccio misericordioso di Cristo che non fa liste selettive, non
distingue tra degni e non, non elabora progetti.
Anche ai fedeli arrivati per festeggiare
il nuovo santo, come ai vescovi americani, il Papa chiede di non chiudersi
in un'élite cristallizzata o di arroccarsi sulle proprie sicurezze, ma di
diventare Chiesa in uscita, pronta a condividere la tenerezza
riconciliatrice di Dio.
Cristiana Caricato
ilsussidiarionet
giovedì 24 settembre
2015
leggi tutto il discorso
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/september/documents/papa-francesco_20150923_usa-vescovi.html
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