VINCENT NAGLE
Il
bambino e la grazia di capire
In queste settimane mi sono accaduti un paio di fatti
dolorosi che, come primo impatto, mi hanno fatto venire la voglia di allontanarmi,
almeno nel sentimento e nel giudizio, da una compagnia che frequento da
tempo. Riflettendo su questi eventi e su quale risposta sollecitavano in
me, mi è venuto spesso in mente un bambino di dieci o undici anni a cui ho
amministrato la prima comunione durante un pellegrinaggio in Terra Santa.
Eravamo a Cafarnao, sul Lago di Galilea. Proprio dove
Gesù aveva vissuto nella casa di Simon-Pietro e dove aveva fatto il suo lungo
discorso sull'eucarestia, insistendo sulla sua identità come Pane della Vita
disceso dal cielo che uno doveva mangiare per avere la vita eterna. Aveva
insistito così tanto su questo punto da non lasciare alcuno spazio a
interpretazioni metaforiche e da scandalizzare perciò molti dei suoi, che per
questo si erano allontanati da lui. Quelli che rimasero, lo fecero solo perché
Lui aveva "parole di vita eterna" e perché avevano creduto e
conosciuto che Gesù era "il Santo di Dio".
Prima di chiamare il bambino avanti per ricevere la
sua prima comunione, l'ho interrogato. Gli ho fatto vedere il pane e
vino, e poi ho spiegato come attraverso la preghiera eucaristica recitata dal
sacerdote quel pane e vino diventano corpo e sangue di Gesù. Poi gli ho chiesto
se, quando il pane e il vino diventano corpo e sangue di Cristo, lo diventano
sul serio, veramente, o solo più o meno, solo in un certo senso. Lui ci ha
pensato su e poi ha risposto, ragionevolmente: "Più o meno, come se lo
fosse".
Ho accettato senza sorpresa né disapprovazione la sua
risposta e ho affermato che la nostra ragione da sola ci porta solo fin lì, ad
accettare solo metaforicamente quello che afferma Gesù su questo
mistero.
Poi ho indicato me stesso, il suo papà, e il leader del gruppo —
un cristiano molto carismatico e intelligente — e ho detto: "noi però
siamo convinti con tutto quel che siamo, che quel che succede in questo
sacramento è una trasformazione totale, reale e vera, ed è solo l'apparenza che
rimane. Sapendo adesso questo, cosa dici tu?".
"È vero
realmente — ha risposto lui —, è il corpo e sangue di Cristo". Al che, ho
replicato "quello che hai detto è molto ragionevole e molto intelligente,
cioè leggere la realtà attraverso la compagnia che ti fa vivere di più il
reale. Crescendo però devi sempre scoprire i motivi per dar credito a questa
autorità".
Come dicevo, tutto questo mi tornava in mente davanti
a un brutto contraccolpo preso nel contesto di una compagnia che frequento e
che spesso mi ha fatto conoscere ed amare la realtà molto più profondamente,
passionalmente e coraggiosamente di quanto avrei mai potuto fare da solo. Come
questo bambino, e come gli stessi apostoli, dovevo decidere di rischiare ancora
di leggere e verificare la realtà seguendo una compagnia che mi sfida, oppure
non farlo.
Viviamo in un mondo complesso che non si presta
facilmente a un'inquadratura nostra che riesca a spiegare e maneggiare tutti i
fatti che sorgono sia nella nostra vita personale sia su un piano più generale
di società e comunità globale.
Eppure vivere è il nostro compito
primario. Ci vuole una compagnia la cui esperienza ci fa camminare con
letizia sempre più grande dentro il mondo senza censura, facendoci sperimentare
come i fatti che ci accadono fanno parte di una storia positiva, senza però
pretendere di poter misurare tutto o eliminare la misteriosità drammatica che
vi troviamo.
Per poter camminare così, come ha scoperto il bambino, come
accadde agli apostoli e come è capitato anche a me in questi giorni, si deve
rischiare anche quando non si capisce bene.
dal Sussidiarionet
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