Per chi frequenta i vari social
network, per chi legge i giornali, ma anche per chi partecipa alla vita del
movimento di CL con passione e con spirito critico, è evidente che ci troviamo
di fronte a una situazione nuova, anche drammatica, che chiede a tutti la
chiarezza di un giudizio.
Mi sembra che ciò che ha fatto da miccia a questa rinnovata preoccupazione per le sorti del movimento sia il giudizio sull’opportunità o meno della partecipazione al cosiddetto Family Day del 20 giugno a Roma. E anche l’incontro con Papa Francesco il 7 marzo, con il suo giudizio, immediatamente «inquadrato» dal comunicato stampa uscito poche ore dopo.
Il Meeting di Rimini di quest’anno, con la proibizione a Padre Giorgio Carbone, a Benedetta Frigerio e a Raffaella Frullone di parlare nello stand dei Domenicani e il violento attacco del parlamentare grillino Fantinati a tutta Comunione e Liberazione come una potentissima lobby che avrebbe perso il volto cristiano, è stato il momento culminante perché giudizi e domande uscissero allo scoperto, e fossero ascoltati e/o posti da moltissimi.
Giudizi e domande a cui credo sia necessario rispondere da parte dei singoli e da parte dell’autorità del movimento, come pure da parte della Chiesa (essendo il carisma stesso del movimento nella forma della Fraternità di Comunione e Liberazione riconosciuto dalla Chiesa stessa).
Da tempo mi risuona nella mente questa immagine di Eliot, nel suo «Assassinio nella Cattedrale», là dove Tommaso Becket si trova a lottare contro vari tentatori. I primi tre, attesi, li sconfigge con facilità. L’ultimo, inatteso, sembra quasi sopraffarlo. Perché? Così scrive Eliot: «Chi siete voi, che mi tentate con i miei stessi desideri?» e la risposta al Cancelliere del tentatore suona così: «Io v’offro ciò che ambite. Chiedo ciò che avete da dare. È troppo per una tale visione di grandezza eterna?» e così si conclude: «L’ultima tentazione è il più grande tradimento: compiere la corretta azione per uno scopo sbagliato.»
In questi giorni sentiamo spesso richiedere obbedienza e unità, e queste sono le parole care della nostra vita ed esperienza. Abbiamo a cuore testi come «L’unità nella Chiesa» di Möhler e quanto con insistenza ci ha sempre detto Don Giussani.
Ma mai come in questi momenti tale richiamo si accompagna con una durezza che sembra escludere ogni misericordia, mettendo fuori dalla porta chi pone domande e vuole suggerire soluzioni diverse.
Non credo, sinceramente, che la risposta a questa situazione di crisi sia una accentuazione della funzione della autorità, almeno come richiamo «istituzionale». La storia del movimento ha avuto vari momenti di crisi, così come i tre utili libri di Mons. Camisasca hanno evidenziato, e la vita di Don Giussani ci ha indicato come lui stesso ha aiutato il movimento a superarli, facendoli essere una occasione di crescita. Allora il richiamo all’«unità del movimento» non era un espediente tattico per compattare gli aderenti, ma il suggerimento di ritrovare le ragioni profonde della nostra esperienza.
Non quindi una «unità che divide», escludendo il diverso, chi pone domande, chi critica certe scelte, ma un cammino di verità nella carità che permetta la ripresa di quella esperienza che è per me, come credo per ciascuno di noi, ragione dell’adesione a Cristo nella Chiesa, che è un bene sommo per il mondo e una ricchezza per la Chiesa stessa (come la simpatia e stima di s. Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI ci hanno sempre mostrato).
In particolare mi sembra utile quella riflessione di Don Ciccio che, in uno dei suoi ultimi libri, ricordava che il carisma di Don Giussani può e deve continuare in una comunionalità vissuta, capace di valorizzare i volti e le esperienze di chi ha incontrato il movimento e lo serve e testimonia con dedizione. Spesso don Giussani chiedeva a tutti noi di decidere, nell’aderire al movimento, di seguire con fedeltà. Come spesso sapeva indicare quei punti vivi che incarnavano il carisma in modo più autentico. E chiedeva di vivere il «movimento nel movimento» non come fronda o alternativa, ma come testimonianza di una autentica fedeltà creativa.
E poi sempre il don Giuss ci ha testimoniato che l’unità che lui viveva e chiedeva era l’essere unificato nell’incontro con Gesù Cristo, che dava amore alla realtà e forza di testimonianza nell’ambiente. Solo questa unità non divide!
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