George Weigel intervistato da Marco Respinti
la nuova bussola quotidiana 17-09-2015
In occasione della partecipazione all’VIII Incontro Mondiale delle Famiglie
in programma a Filadelfia, il 22 settembre Papa Francesco arriverà negli Stati
Uniti. Per ragioni diverse ma tutte rilevantissime, i viaggi dei suoi
predecessori, il beato Paolo VI (1897-1978), san Giovanni Paolo II (1920-2005)
e Benedetto XVI, sono stati sempre decisivi, impressi in modo indelebile nella
memoria di chi c’era, dei cronisti e persino della storia non solo strettamente
religiosa. Un po’, certamente, perché gli Stati Uniti sono il Paese più potente
del mondo sul piano economico e militare, così come più influente sul piano
sociale e culturale; ma un po’ anche perché sono un Paese “misterioso”, nato
nel secolo dell’illuminismo trionfante, marcato indelebilmente dal sigillo del
protestantesimo radicale, eppure di fatto ben disposto nei confronti del
cattolicesimo come lo sono pochi altri Paesi.
The Holy Name Cathedral in Chicago |
Del cattolicesimo americano vivo e combattivo, George Weigel è certamente uno dei
rappresentanti più intelligenti e noti. Sua è la monumentale biografia in due
volumi Testimone della speranza. La vita di Giovanni Paolo II (tard.
it. Mondadori, Milano 2000) e La fine e l’inizio. Giovanni
Paolo II: la vittoria della libertà, gli ultimi anni, l’eredità (trad.
it. Cantagalli, Siena 2012), ma preziosissimo – tra i molti suoi libri preziosi
– è anche La cattedrale e il cubo. Europa, America e politica senza Dio (trad.
it. Rubbettino, Soveria Mannelli [Catanzaro] 2006). Senior Fellow e direttore
del programma di Studi cattolici dell’Ethics and Public Policy Center di
Washington, Weigel ha accettato di scattare per La Nuova Bussola
Quotidiana qualche istantanea di quel “Paese misterioso” alla vigilia
del viaggio apostolico del Pontefice.
Che Paese sono oggi gli Stati Uniti d’America? Pronti per la visita di Papa
Francesco?
Penso che l’interesse per la visita del Santo Padre sia enorme e che quindi
il Paese lo accoglierà con grande calore.
Le critiche di Papa Francesco all’economia libera di mercato sono molte dure
e del capitalismo gli Stati Uniti sono, per molti versi, la casa. I cattolici
di buona dottrina, fedeli al Magistero, come per esempio lei, sono in genere
ampiamente favorevoli all’economia capitalista. Cosa pensa del pensiero
economico dell’attuale pontefice?
Nelle affermazioni che i media e la Sinistra politica amano citare, Papa
Francesco ha mai usato la parola “capitalismo”. Il Papa critica l’avidità, la
corruzione e la mancanza di attenzione ai poveri. E con queste sue critiche io
sono totalmente d’accordo: si tratta infatti di problemi seri. Ma quel che il
Pontefice conosce, per l’esperienza che ha dell’Argentina e di altri luoghi
dall’America Latina, non è affatto il “capitalismo” inteso come il mercato
regolato dal diritto e dalla cultura; quel che c’è in America Latina è infatti
principalmente o una forma molto brutta del cosiddetto “crony-capitalism” (il
capitalismo clientelare fatto di relazioni strette e sovente poco chiare tra
businessmen e funzionari pubblici a discapito della libertà d’intrapresa e
della genuina concorrenza), oppure il vecchio mercantilismo travestito da
populismo.
I Papi non entrano mai nelle dispute politiche di alcun Paese, ma sui
“princìpi non negoziabili” gli Stati Uniti del presidente Barack Obama hanno
davvero raggiunto l’apice dell’arroganza ideologica. Pensa che, incontrandolo,
Papa Francesco toccherà direttamente l’argomento?
L’incontro tra il Pontefice e Obama sarà di natura privata. Non saprei
quindi davvero cosa dire. Eppure il Papa è perfettamente consapevole delle
pressioni che l’Amministrazione Obama sta esercitando sulla Chiesa Cattolica
attraverso quello che è un vero e proprio disegno d’irriverenza governativa nei
confronti della libertà religiosa – un disegno che oggi minaccia la nostra
capacità di essere quella “Chiesa ospedale da campo” che il Papa ci chiama a
essere. Il Papa sa molto bene anche questo, e io per primo spero che con il
presidente Obama solleverà la questione.
Pensa che il viaggio apostolico del Papa possa rafforzare e rincuorare quei
cattolici americani che ancora non hanno perso la speranza e la voglia di
battersi in difesa del matrimonio e della famiglia naturale, soprattutto dopo
la recente sentenza con cui la Corte Suprema federale ha legalizzato le “nozze”
LGBT negli Stati Uniti?
La battaglia per la difesa del matrimonio correttamente inteso è stata
persa culturalmente molto prima che nel massimo tribunale del nostro Paese.
Ricostruire un’autentica cultura del matrimonio sarà il lavoro di generazioni.
Spero che il Santo Padre ci aiuti a muovere i primi passi di questo lungo
cammino, quanto meno insegnandoci che è questa la strada che dobbiamo
percorrere, per amore della nostra integrità di cattolici e come espressione
della nostra responsabilità di cittadini.
Poco dopo il rientro del Pontefice dagli Stati Uniti, il 4 ottobre si aprirà il Sinodo dei
vescovi sulla famiglia. Da tempo, numerosi rappresentanti della Chiesa che è in
Germania, Austria e Svizzera parlano di temi legati al divorzio come mai si era
sentito prima da presuli e porporati cattolici. Il prefetto della Congregazione
per la dottrina della fede, il card. Gerhard Ludwig Müller, paventa addirittura
il rischio di una scisma.
Com’è, sul punto, lo stato di salute della Chiesa statunitense?
Molto, molto, ma molto più sano che nei Pesi che lei ha appena citato.
Un’ultima domanda. Prima di arrivare negli Stati Uniti, dal 19 settembre il
Papa visiterà Cuba, una Cuba oramai democratizzata che oggi non fa più paura…
A Cuba non esiste alcuna nuova “democrazia”. Da quando, grazie alla
mediazione vaticana, l’Amministrazione Obama si è accordata con il dispotismo
cubano, nell’isola non è stato fatto un solo passo avanti nella tutela dei
diritti umani. Spero che questo sia uno dei punti che il Papa solleverà con
Raúl Castro.
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