venerdì 13 dicembre 2019

IL RAPPORTO FRA FEDE E POLITICA



 Mons. NICOLA BUX

Monsignor Nicola Bux è stato uno dei principali relatori della due-giorni di Anagni. “A Cesare e a Dio” può rappresentare un momento spartiacque dell’attuale dibattito attorno ai rapporti intercorrenti tra Chiesa e politica. E Bux, già collaboratore di Joseph Ratzinger, non fa mistero di come la situazione, rispetto a qualche anno fa, sia profondamente mutata.


Qual è l’odierno rapporto tra Chiesa e politica?
Per comprenderlo, bisogna vedere come la pensava Gesù Cristo: al quesito se pagare o meno il tributo a Cesare, simbolo dell’autorità politica, ha fatto realisticamente osservare che, usando la moneta, si riconosce implicitamente l’autorità di chi l’ha coniata; il punto è di non attribuire a questa attributi divini. Di conseguenza, i cristiani non bruciarono incenso all’imperatore che si riteneva ‘figlio di Dio’, ma riconoscevano come unico Signore Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio. Questi aveva pure precisato: il mio regno non è di questo mondo. Così, la Chiesa, che è il germe di tale regno, non se ne può occupare se non per chiedere la libertà di far conoscere il Vangelo. Di tutte le altre cose, in primis dei poveri, si interessava per evangelizzarli. Quindi, è inutile l’analisi che i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri più poveri, peraltro contestata dalle statistiche; è pure inutile rincorrere l’utopia di far scomparire la povertà, perché Cristo ha detto: i poveri li avrete sempre con voi. Infatti, la Chiesa, si è occupata di civilizzare il mondo con l’evangelizzazione; a tal proposito, ad Anagni, è stato portato l’esempio dei Longobardi. Insomma alla Chiesa interessa la conversione degli uomini, perché è questa che cambia il mondo. La ‘vera politica’ è cristianizzare il mondo, predicando la conversione, non mondanizzare la Chiesa. Se l’uomo si converte, non resta imbrigliato nelle categorie conservatore/progressista, reazione/rivoluzione che hanno attraversato a fasi alterne la storia, ma è capace di operare la sintesi equilibrata tra tradizione e innovazione.

Rispetto ai tempi di Ruini qualcosa è cambiato?
Sì, in Vaticano sono stati convocati i movimenti popolari, in gran parte atei e veteromarxisti; invece, non è stato incoraggiato il grande movimento per la vita, forse perchè il papa ha dichiarato di non comprendere i principi non negoziabili. Invece, Giovanni Paolo II ha reso la Chiesa consapevole che il male morale si può incarnare storicamente nella politica, come è avvenuto con l’Unione Sovietica; perciò non si può scendere a compromessi, ma si può vincere con l’aiuto di Dio. Negli anni ’70, in Occidente e pure in Vaticano c’era la convinzione che il comunismo sovietico sarebbe durato ancora a lungo e quindi bisognava scendere a compromessi. La famosa ost-politik del card. Casaroli avallata da Paolo VI; un po’come si sta facendo con la Cina oggi. Giovanni Paolo II invece confidava nella vittoria morale e si dedicò ad affrontare il male, non con marce e convegni per la legalità e la pace, ma come un uomo di Chiesa, per di più sacerdote, deve fare: quando era arcivescovo di Cracovia, promosse la preghiera, le Messe per la patria; da papa, le Messe di Solidarnosc ai cancelli delle fabbriche, l’Anno della redenzione nel 1984, la consacrazione alla Madonna. Così nel 1989 cadde il muro di Berlino e l’anno dopo si dissolse pure l’Unione Sovietica. Fu la resa, grazie alla fede religiosa. Non è il tempo ad essere maggiore dello spazio, ma la morale ad essere più della politica; tantomeno può essere l’ingiustizia la fonte delle diseguaglianze, ma il mistero di iniquità, il male morale. Tutto questo ricorda che all’origine della politica deve esserci la vita morale. La politica è vera quando è consapevole dell’incompletezza dell’uomo – ossia il peccato originale – : se non se ne libera, andrà come l’ubriaco incessantemente dalla rivoluzione alla restaurazione. Per questo, nella Chiesa, ha osservato il prof. De Marco, non si deve mai accantonare la dialettica tra il peccato e la grazia. Se l’uomo si converte, diventa capace di annunciare la parola di vita e dove fosse perseguitato, parlerà il sangue, come scrive Karol Wojtyla nella lirica a Santo Stanislao.


Qual è lo stato di salute dei cosiddetti partiti di ispirazione cristiana? Ne esistono ancora?
Sembrano scomparsi: i reduci sono impegnati a riciclarsi. La dittatura del relativismo – come disse Ratzinger – porta a far passare tutto ciò di cui ci si dovrebbe vergognare. Il cattolicesimo si è sciolto nell’indistinto. Come ha osservato Sandro Magister, sembra che questo pontificato abbia assunto come principio la contraddizione, e non il principio di non contraddizione; i pastori fanno apparire la Chiesa in contraddizione con Cristo, invece di essere segno di contraddizione per il mondo. E così, i preti entrano a gamba tesa nella politica, brandendo la Costituzione italiana invece del Vangelo, un fenomeno già visto in altre epoche. Tuttavia, vi sono ora movimenti che favoriscono la vita, che uniscono cattolici e laici razionali. La Fondazione Magna Carta, con l’Associazione che riprende il Progetto culturale che fu lanciato dal card. Ruini, può operare per favorire l’aggregazione e pian piano una presenza rinnovata di cattolici e laici in politica. La Chiesa, però, deve riprendere la sua missione di educare alla fede e alla vita morale, condizione senza la quale è impossibile tale presenza.

Concorda sul fatto che sia venuto soprattutto il momento dei laici?
Cristo è venuto nel mondo per un giudizio, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi (Gv 9,39). Attraverso i fedeli laici, la Chiesa entra in relazione con gli affari temporali, sì, ma dicono che quando vanno in politica, non trovano la Chiesa dietro di sé, quando addirittura non son visti con ostilità dalla gerarchia. Così i cattolici votano senza sentire la Chiesa. Che dire? I laici devono pensare la fede, affinchè diventi cultura, come diceva Giovanni Paolo II. I preti devono essere sacerdoti come Giovanni Paolo II, dicendo sempre la verità, senza badare se vi sia gente pronta ad ascoltare. Devono avere il coraggio di dire quello che la coscienza morale obbliga a dire e a fare. Siamo seminatori, che non devono preoccuparsi di quali parti della terra accetteranno il seme, ma di tenere viva la speranza che un giorno raccoglieremo. Diversi uomini di Chiesa, spesso non si rendono conto di mentire a se stessi e agli altri, esaltando il dialogo invece delle scelte morali, ovvero le opinioni invece della verità. Rendendo testimonianza alla verità, questa ci difende, perché la verità accade in due. In tal modo, incontreremo pure i laici razionali.

 Che cosa le ha lasciato la due giorni di Anagni? Qualcosa l’ha stupita?
La cripta della cattedrale illustra efficacemente che i cristiani del medioevo avevano chiaro il rapporto tra Chiesa e politica: aiutare l’uomo a comprendere se stesso in rapporto alla creazione e nello stesso tempo a dare testimonianza alla verità di Cristo fino al sangue. La storia può essere compresa solo quando l’Agnello dell’Apocalisse, cioè la Rivelazione di Gesù Cristo, apre i sette sigilli, specialmente il quinto sigillo che parla dei martiri adunati sotto l’altare. Il martirio è l’estrema ratio dei cristiani nel mondo. Così, scrive san John Henry Newman ne Gli Ariani del IV secolo: “I cristiani non osservano il proprio dovere […] quando si dividono in molti partiti […] ma, non fanno altro che il proprio dovere quando si associano tra loro, e quando tale coesione interna viene usata per combattere all’esterno lo spirito del male, alle corti dei re o tra le varie moltitudini. E se essi non possono ottenere di più, possono, almeno, soffrire per la verità e tenerne desto il ricordo, infliggendo agli uomini il compito di perseguitarli”. C’è un relativismo soft nella Chiesa, grazie ad infiltrati e doppiogiochisti, una variante del relativismo hard in Europa e altre parti del mondo. Tuttavia, gli anticorpi esistono, erano in sonno, ma Giovanni Paolo II e Benedetto XVI li hanno svegliati, pur in un contesto ecclesiale debole, demotivato e renitente. I cosiddetti cattolici democratici, ovvero di sinistra, – definirsi così è sintomo dello smarrimento del senso cattolico – sono fraintendibili, perché seguono la mentalità del tempo presente e non la parola di Cristo, l’adeguamento della Chiesa al mondo e non la conversione del mondo. Lo dimostra il tentativo di metterla a capo della globalizzazione, persino proponendo un patto educativo mondiale, un nuovo umanesimo che prescinde da Cristo. Gli “Appunti di BXVI” pubblicati nell’aprile scorso, costituiscono invece il manifesto a sostegno della resistenza cristiana e di quanti amano la verità. Gli incontri promossi da “Magna Carta” possono favorire la rete e offrire lo spazio per confrontarsi su fede e ragione, e così mandare un messaggio chiaro e utile alla Chiesa e alla politica.

 Intervista di Francesco Boezi  pubblicata su L’Occidentale.

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