Monsignor Nicola Bux è
stato uno dei principali relatori della due-giorni di Anagni. “A Cesare e a
Dio” può rappresentare un momento spartiacque dell’attuale dibattito attorno ai
rapporti intercorrenti tra Chiesa e politica. E Bux, già collaboratore di
Joseph Ratzinger, non fa mistero di come la situazione, rispetto a qualche anno
fa, sia profondamente mutata.
Qual è l’odierno
rapporto tra Chiesa e politica?
Per comprenderlo,
bisogna vedere come la pensava Gesù Cristo: al quesito se pagare o meno il
tributo a Cesare, simbolo dell’autorità politica, ha fatto realisticamente
osservare che, usando la moneta, si riconosce implicitamente l’autorità di chi
l’ha coniata; il punto è di non attribuire a questa attributi divini. Di
conseguenza, i cristiani non bruciarono incenso all’imperatore che si riteneva
‘figlio di Dio’, ma riconoscevano come unico Signore Gesù Cristo, figlio
unigenito di Dio. Questi aveva pure precisato: il mio regno non è di questo
mondo. Così, la Chiesa, che è il germe
di tale regno, non se ne può occupare se non per chiedere la libertà di far
conoscere il Vangelo. Di tutte le altre cose, in primis dei poveri, si
interessava per evangelizzarli. Quindi, è inutile l’analisi che i ricchi
diventano sempre più ricchi e i poveri più poveri, peraltro contestata dalle
statistiche; è pure inutile rincorrere l’utopia di far scomparire la povertà,
perché Cristo ha detto: i poveri li avrete sempre con voi. Infatti, la Chiesa, si è occupata di civilizzare il
mondo con l’evangelizzazione; a tal proposito, ad Anagni, è stato portato
l’esempio dei Longobardi. Insomma alla Chiesa interessa la conversione degli
uomini, perché è questa che cambia il mondo. La ‘vera politica’ è cristianizzare il mondo, predicando la
conversione, non mondanizzare la Chiesa. Se l’uomo si converte, non resta
imbrigliato nelle categorie conservatore/progressista, reazione/rivoluzione che
hanno attraversato a fasi alterne la storia, ma è capace di operare la sintesi
equilibrata tra tradizione e innovazione.
Rispetto ai tempi di
Ruini qualcosa è cambiato?
Sì, in Vaticano sono
stati convocati i movimenti popolari, in gran parte atei e veteromarxisti;
invece, non è stato incoraggiato il grande movimento per la vita, forse perchè
il papa ha dichiarato di non comprendere i principi non negoziabili. Invece,
Giovanni Paolo II ha reso la Chiesa consapevole che il male morale si può
incarnare storicamente nella politica, come è avvenuto con l’Unione Sovietica;
perciò non si può scendere a compromessi, ma si può vincere con l’aiuto di Dio.
Negli anni ’70, in Occidente e pure in Vaticano c’era la convinzione che il
comunismo sovietico sarebbe durato ancora a lungo e quindi bisognava scendere a
compromessi. La famosa ost-politik del card. Casaroli avallata da Paolo VI; un
po’come si sta facendo con la Cina oggi. Giovanni
Paolo II invece confidava nella vittoria morale e si dedicò ad affrontare il
male, non con marce e convegni per la legalità e la pace, ma come un uomo di
Chiesa, per di più sacerdote, deve fare: quando era arcivescovo di
Cracovia, promosse la preghiera, le Messe per la patria; da papa, le Messe di
Solidarnosc ai cancelli delle fabbriche, l’Anno della redenzione nel 1984, la
consacrazione alla Madonna. Così nel 1989 cadde il muro di Berlino e l’anno
dopo si dissolse pure l’Unione Sovietica. Fu la resa, grazie alla fede
religiosa. Non è il tempo ad essere
maggiore dello spazio, ma la morale ad essere più della politica; tantomeno
può essere l’ingiustizia la fonte delle diseguaglianze, ma il mistero di
iniquità, il male morale. Tutto questo ricorda che all’origine della politica
deve esserci la vita morale. La politica
è vera quando è consapevole dell’incompletezza dell’uomo – ossia il peccato
originale – : se non se ne libera, andrà come l’ubriaco incessantemente dalla
rivoluzione alla restaurazione. Per questo, nella Chiesa, ha osservato il prof.
De Marco, non si deve mai accantonare la dialettica tra il peccato e la grazia.
Se l’uomo si converte, diventa capace di annunciare la parola di vita e dove
fosse perseguitato, parlerà il sangue, come scrive Karol Wojtyla nella lirica a
Santo Stanislao.
Qual è lo stato di
salute dei cosiddetti partiti di ispirazione cristiana? Ne esistono ancora?
Sembrano scomparsi: i reduci sono impegnati a riciclarsi. La dittatura del relativismo – come disse Ratzinger –
porta a far passare tutto ciò di cui ci si dovrebbe vergognare. Il
cattolicesimo si è sciolto nell’indistinto. Come ha osservato Sandro Magister,
sembra che questo pontificato abbia assunto come principio la contraddizione, e
non il principio di non contraddizione; i pastori fanno apparire la Chiesa in
contraddizione con Cristo, invece di essere segno di contraddizione per il
mondo. E così, i preti entrano a gamba
tesa nella politica, brandendo la Costituzione italiana invece del Vangelo, un
fenomeno già visto in altre epoche. Tuttavia, vi sono ora movimenti che
favoriscono la vita, che uniscono cattolici e laici razionali. La Fondazione
Magna Carta, con l’Associazione che riprende il Progetto culturale che fu
lanciato dal card. Ruini, può operare per favorire l’aggregazione e pian piano
una presenza rinnovata di cattolici e laici in politica. La Chiesa, però, deve riprendere la sua missione di educare alla fede e
alla vita morale, condizione senza la quale è impossibile tale presenza.
Concorda sul fatto che
sia venuto soprattutto il momento dei laici?
Cristo è venuto nel mondo per un giudizio, perché
coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi (Gv 9,39). Attraverso i fedeli laici,
la Chiesa entra in relazione con gli affari temporali, sì, ma dicono che quando
vanno in politica, non trovano la Chiesa dietro di sé, quando addirittura non
son visti con ostilità dalla gerarchia. Così i cattolici votano senza sentire
la Chiesa. Che dire? I laici devono
pensare la fede, affinchè diventi cultura, come diceva Giovanni Paolo II. I preti devono essere sacerdoti come
Giovanni Paolo II, dicendo sempre la verità, senza badare se vi sia gente
pronta ad ascoltare. Devono avere il coraggio di dire quello che la coscienza
morale obbliga a dire e a fare. Siamo seminatori, che non devono preoccuparsi
di quali parti della terra accetteranno il seme, ma di tenere viva la speranza
che un giorno raccoglieremo. Diversi
uomini di Chiesa, spesso non si rendono conto di mentire a se stessi e agli
altri, esaltando il dialogo invece delle scelte morali, ovvero le opinioni
invece della verità. Rendendo testimonianza alla verità, questa ci difende,
perché la verità accade in due. In tal modo, incontreremo pure i laici
razionali.
Che cosa le ha
lasciato la due giorni di Anagni? Qualcosa l’ha stupita?
La cripta della
cattedrale illustra efficacemente che i cristiani del medioevo avevano chiaro
il rapporto tra Chiesa e politica: aiutare l’uomo a comprendere se stesso in
rapporto alla creazione e nello stesso tempo a dare testimonianza alla verità
di Cristo fino al sangue. La storia può essere compresa solo quando l’Agnello
dell’Apocalisse, cioè la Rivelazione di Gesù Cristo, apre i sette sigilli,
specialmente il quinto sigillo che parla dei martiri adunati sotto l’altare. Il
martirio è l’estrema ratio dei cristiani nel mondo. Così, scrive san John Henry
Newman ne Gli Ariani del IV secolo: “I cristiani non osservano il
proprio dovere […] quando si dividono in molti partiti […] ma, non fanno altro
che il proprio dovere quando si associano tra loro, e quando tale coesione
interna viene usata per combattere all’esterno lo spirito del male, alle corti
dei re o tra le varie moltitudini. E se essi non possono ottenere di più,
possono, almeno, soffrire per la verità e tenerne desto il ricordo, infliggendo
agli uomini il compito di perseguitarli”. C’è
un relativismo soft nella Chiesa, grazie ad infiltrati e doppiogiochisti,
una variante del relativismo hard in Europa e altre parti del mondo. Tuttavia,
gli anticorpi esistono, erano in sonno, ma Giovanni Paolo II e Benedetto XVI li
hanno svegliati, pur in un contesto ecclesiale debole, demotivato e renitente. I
cosiddetti cattolici democratici, ovvero di sinistra, – definirsi così è
sintomo dello smarrimento del senso cattolico – sono fraintendibili, perché
seguono la mentalità del tempo presente e non la parola di Cristo,
l’adeguamento della Chiesa al mondo e non la conversione del mondo. Lo
dimostra il tentativo di metterla a capo della globalizzazione, persino
proponendo un patto educativo mondiale, un nuovo umanesimo che prescinde da
Cristo. Gli “Appunti di BXVI”
pubblicati nell’aprile scorso, costituiscono invece il manifesto
a sostegno della resistenza cristiana e di quanti amano la verità. Gli incontri
promossi da “Magna Carta” possono favorire la rete e offrire lo spazio per
confrontarsi su fede e ragione, e così mandare un messaggio chiaro e utile alla
Chiesa e alla politica.
Intervista di Francesco Boezi pubblicata su L’Occidentale.
Nessun commento:
Posta un commento