martedì 3 dicembre 2019

RENE’ GIRARD: LA DEMOCRAZIA NON CI SALVERA’



Il grande politologo francese così spiegava lo scontro fra Islam e Occidente

Un estratto da un libro della Jaca Book (“Venti maestri del secolo scorso”) che contiene anche questa intervista 

Di Roberto Righetto

Qualcuno l’ha definito il “Darwin delle scienze umane”, perché non solo l'antropologo del­le religioni René Girard è il massimo studioso del rapporto fra religione e violenza - restano fondamentali su questo tema i suoi saggi La violenza e il sacro e Il ca­pro espiatorio -, ma è colui che ha ripercorso le vicende dell'intera evoluzione umana grazie alla psi­cologia, la letteratura, la mitologia, la storia della cultura. La sua teoria più famosa è quella del capro espia­torio, che lega la nascita delle civil­tà ( e delle religioni arcaiche) a un omicidio rituale originario, vale a dire all'istituzione di un sacro col­pevole, che nelle antiche religioni veniva appunto caricato di tutte le colpe collettive e, poi, ritualmente ucciso, o espulso. Era la logica del­la vendetta. Così la civiltà, la socie­tà, la città poteva sopravvivere. Ma questo meccanismo  si è inter­rotto solo col cristianesimo, che l'ha ribaltato con la compassione per la vittima. Con questo grande antropologo, che ha vissuto e inse­gnato tra la Francia e gli Stati Uniti, parliamo del confronto fra islam e Occidente dopo la guerra in Iraq.

La seconda guerra del Golfo è finita ma lo scontro di civiltà -fra le culture e le religioni­sembra davvero aver luogo: aveva ragione Samuel Hun­tington? Lei cosa ne pensa?
«Samuel Huntington sostiene argomenti veri, ma esagera e fa un'analisi semplicistica di fenome­ni che hanno molte più cause ed effetti di quanto lui faccia notare. La sua teoria viene molto utilizzata per contrapporre il mondo cristia­no e quello musulmano, ma in real­tà nel contrasto fra islam e Occiden­te vi sono assai più motivazioni di origine economica, culturale, scien­tifica e tecnologica che religiosa. :Non voglio dire che l'elemento reli­gioso non c'entri nulla, anzi, ma senza dubbio non è il fattore deter­minante di quanto si sta verifican­do nel mondo dopo l'11 settem­bre. Che è stato davvero un evento capitale. Anzitutto per l'America, che ha perduto il suo sentimento di sicurezza e di inviolabilità».

Noi abbiamo visto cosa però è accaduto in Algeria, in Bo­snia, nel Medio Oriente: come evitare che le religioni siano considerate sinoninio di con­tlitti e violenze?
«È molto difficile, non tanto per­ché le religioni siano causa diretta di conflitti: il problema è che gli uo­mini utilizzano tutte le appartenen­ze, le motivazioni nazionalistiche, etniche e anche religiose, per farsi la guerra. Non solo la religione dun­que, ma anche i patriottismi, le ideologie, le classi sociali, le idee politiche: ogni pretesto è buono. Nel secolo scorso si pensava che la causa delle guerre fosse la lotta so­ciale fra le classi, oggi si pensa lo stesso delle religioni, ma io credo che entrambe le analisi siano sba­gliate. Ricordi quanto scriveva Swift nei Viaggi di Gulliver: due po­poli si combattono perché non so­no d'accordo su come cuocere le uova à la coque, se rompendole in cima o in fondo. Swìft aveva ragio­ne nel considerare la futilità delle motivazioni per fare la guerra. Og­gi, morte le ideologie, resta la ten­denza permanente degli uomini a dividersi fra "noi" e "loro", per iden­tità e segni d'identità elementari: la diversa fede, il diverso colore della pelle. Oppure pensi a Montaigne, che era tutt'altro che un fanatico. Così commentava le guerre di reli­gione che insanguinarono la Fran­cia nel XVI secolo: se si provasse a convocare uomini pronti a fare la guerra in nome della religione cat­tolica o protestante, non si riusci­rebbe a mettere insieme un batta­glione, un solo battaglione. Vale a dire che non si troverebbero cin­quanta uomini disposti a battersi per motivi veramente religiosi. Pen­so che anche oggi sia profonda­mente sbagliato fare un processo alle religioni come scaturigini dei conflitti. E questo credo che valga in America ancora più che in Euro­pa.

Ma come? I fondamentalisti islamici e gli estremisti ebrei si combattono con furore. E in Europa solo pochi anni fa gli ortodossi serbi hanno versato fiumi di sangue in Bosnia ... 
«Facciamo un passo indietro, guardiamo al secolo appena trascorso. Ecco, il Novecento è stato forse il secolo delle massime violenze della storia; ma la Grande Guer­ra fu un massacro innescato dai na­zionalismi, non dalla fede; e il se­condo conflitto mondiale non fu al­tro che una lotta gigantesca, colos­sale tra i due totalitarismi, il marxi­smo e il nazismo; e questi ultimi sono stati ambedue non solo areli­giosi, ma profondamente ostili alla religione. Chi afferma che la fede è la madre delle violenze contempo­ranee, come fa buona parte della cultura laica - che sostiene che i monoteismi sono la madre di tutte le violenze - tratta la religione da capro espiatorio. La carica di colpe non sue. La connessione fra sacro e violenza era molto più presente nelle religioni arcaiche».

Ma come vincere allora i fon­damentalismi? Come aiutate i popoli musulmani ad appro­dare alla democrazia?
«È estremamente difficile. Dob­biamo avere uno sguardo disincan­tato e allora vedremo che non è af­fatto detto che democrazia voglia dire assenza di guerra. Noi occiden­tali siamo ottimisti ma in realtà non ne siamo affatto certi: non è detto che i popoli siano più pacifici perché hanno un governo più o meno democratico. Noi siamo soli­ti pensare che i popoli sono più pa­cifici dei governi. Ma è proprio ve­ro? Nello stesso tempo, viviamo in un mondo in cui lo sviluppo econo­mico, basato sulla concorrenza fre­netica, la forma di conflitto oggi più espansa, sta per diventare lui stesso una minaccia. Lo ripeto, an­che se non è politicamente corret­to dirlo: non abbiamo affatto la cer­tezza che la democrazia sia il mez­zo naturale per darci la pace. Da due secoli l'Europa ha ucciso il re, e si pensava che una volta soppres­si i re non ci sarebbero state più guerre».



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