Il grande politologo
francese così spiegava lo scontro fra Islam e Occidente
Un estratto da un libro della Jaca Book (“Venti
maestri del secolo scorso”) che contiene anche questa intervista
Di Roberto Righetto
Qualcuno l’ha definito il “Darwin delle
scienze umane”, perché non solo l'antropologo delle religioni René Girard è il massimo studioso
del rapporto fra religione e violenza - restano fondamentali su questo tema i
suoi saggi La violenza e il sacro e
Il capro espiatorio -, ma è colui che ha ripercorso le vicende
dell'intera evoluzione umana grazie alla psicologia, la letteratura, la
mitologia, la storia della cultura. La sua teoria più famosa è quella del capro
espiatorio, che lega la nascita delle civiltà ( e delle religioni arcaiche) a
un omicidio rituale originario, vale a dire all'istituzione di un sacro colpevole,
che nelle antiche religioni veniva appunto caricato di tutte le colpe
collettive e, poi, ritualmente ucciso, o espulso. Era la logica della
vendetta. Così la civiltà, la società, la città poteva sopravvivere. Ma questo meccanismo si è interrotto solo col cristianesimo, che l'ha ribaltato
con la compassione per la vittima. Con questo grande antropologo, che ha
vissuto e insegnato tra la Francia e gli Stati Uniti, parliamo del confronto
fra islam e Occidente dopo la guerra in Iraq.
La
seconda guerra del Golfo è finita ma lo
scontro di civiltà -fra le culture e le religionisembra davvero aver luogo:
aveva ragione Samuel Huntington? Lei cosa ne pensa?
«Samuel Huntington sostiene argomenti
veri, ma esagera e fa un'analisi semplicistica di fenomeni che hanno molte più
cause ed effetti di quanto lui faccia notare. La sua teoria viene molto
utilizzata per contrapporre il mondo cristiano e quello musulmano, ma in realtà
nel contrasto fra islam e Occidente vi
sono assai più motivazioni di origine economica, culturale, scientifica e
tecnologica che religiosa. :Non voglio dire che l'elemento religioso non c'entri nulla,
anzi, ma senza dubbio non è il fattore
determinante di quanto si sta verificando nel mondo dopo l'11 settembre. Che
è stato
davvero un evento capitale. Anzitutto per l'America, che ha perduto il suo sentimento di sicurezza e di
inviolabilità».
Noi abbiamo visto cosa però è accaduto in Algeria, in Bosnia, nel Medio Oriente:
come evitare che le religioni siano considerate sinoninio di contlitti e
violenze?
«È molto difficile, non tanto perché le
religioni siano causa diretta di conflitti: il
problema è che
gli uomini utilizzano tutte le appartenenze, le motivazioni nazionalistiche,
etniche e anche religiose, per farsi la guerra. Non solo la religione dunque, ma anche i patriottismi, le ideologie,
le classi sociali, le idee politiche: ogni pretesto è buono. Nel secolo
scorso si pensava che la causa delle guerre fosse la lotta sociale fra le
classi, oggi si pensa lo stesso delle religioni, ma io credo che entrambe le
analisi siano sbagliate. Ricordi quanto scriveva Swift nei Viaggi di Gulliver: due popoli si combattono perché non sono d'accordo
su come cuocere le uova à la coque,
se
rompendole in cima o in fondo. Swìft aveva
ragione nel considerare la futilità delle motivazioni per fare la guerra. Oggi,
morte le ideologie, resta la tendenza permanente degli uomini a dividersi fra
"noi" e "loro", per identità e segni d'identità
elementari: la diversa fede, il diverso colore della pelle. Oppure pensi a
Montaigne, che era tutt'altro che un fanatico. Così commentava le guerre di
religione che insanguinarono la Francia nel XVI secolo: se si provasse a
convocare uomini pronti a fare la guerra in nome della religione cattolica o
protestante, non si riuscirebbe a mettere insieme un battaglione, un solo
battaglione. Vale a dire che non si troverebbero cinquanta uomini disposti a
battersi per motivi veramente religiosi. Penso che anche oggi sia profondamente
sbagliato fare un processo alle religioni come scaturigini dei conflitti. E
questo credo che valga in America ancora più che in Europa.
Ma come? I
fondamentalisti islamici e gli
estremisti ebrei si combattono con furore. E in Europa solo pochi anni
fa gli ortodossi
serbi hanno versato fiumi di sangue in Bosnia ...
«Facciamo un passo indietro, guardiamo al secolo appena trascorso.
Ecco, il Novecento è stato forse il secolo
delle massime violenze della storia;
ma la Grande Guerra fu un
massacro innescato dai nazionalismi, non dalla fede; e il secondo conflitto mondiale
non fu altro che una
lotta gigantesca, colossale tra i due totalitarismi, il marxismo e il nazismo; e questi
ultimi sono stati ambedue non solo areligiosi, ma profondamente ostili alla
religione. Chi afferma che la fede è la
madre delle violenze contemporanee, come fa buona parte della cultura laica -
che sostiene che i monoteismi sono la madre di tutte le violenze - tratta la
religione da capro espiatorio. La carica di colpe non sue. La connessione
fra sacro e violenza era molto più presente nelle religioni arcaiche».
Ma come vincere allora i fondamentalismi? Come aiutate i popoli musulmani ad approdare alla
democrazia?
«È estremamente
difficile. Dobbiamo avere uno sguardo disincantato e allora vedremo che non è affatto detto che democrazia voglia
dire assenza di guerra. Noi occidentali siamo ottimisti ma in realtà non
ne siamo affatto certi: non è detto che i
popoli siano più pacifici perché hanno un governo più o meno democratico.
Noi siamo soliti pensare che i popoli sono più pacifici dei governi. Ma è proprio
vero? Nello stesso tempo, viviamo in un mondo in cui lo sviluppo economico,
basato sulla concorrenza frenetica, la forma di conflitto oggi più espansa,
sta per diventare lui stesso una minaccia. Lo ripeto, anche se non è politicamente corretto dirlo: non abbiamo affatto la certezza che la democrazia sia il mezzo naturale per darci la pace. Da
due secoli l'Europa ha ucciso il re, e si pensava che una volta soppressi i re
non ci sarebbero state più guerre».
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