Eugenia Roccella da “ILFOGLIO”
Anche Guzzanti, dopo Feltri e la Pascale. Tutti a spiegare che iscriversi
all’Arcigay è liberale, anzi è la quintessenza del liberalismo. Chi non
accompagna la marcia nuziale gay, chi pensa che le differenze, per essere
rispettate, non possano essere schiacciate su un’impossibile e noiosa
omologazione, non è liberale. E’ reazionario, conservatore, pieno di odio per i
diversi, ipocrita e sessuofobico, ecc. ecc.
Io che sono
nata radicale e femminista, che ho vissuto gli anni del caso Braibanti, e
ricordo come la sinistra trattava “gli invertiti”, compreso Pasolini, io che ho
passato la giovinezza tra lesbiche e froci (allora rivendicare gli appellativi
dispregiativi adoperati comunemente, e rovesciarli, era una gioiosa sfida al
benpensantismo), non mi ci raccapezzo più. Ma come, Pasolini non ha
accoratamente pregato, nel suo testamento ideale, la lettera mandata al
congresso radicale nel giorno della sua morte, di “continuare a scandalizzare”,
di non omologarsi?
E che cos’è
questa disperata volontà di mimare l’affettività etero, la coppia-per-sempre,
chiedere il matrimonio, l’adozione, l’istituzionalizzazione persino delle piume
e dei lustrini, se non una volontà di rifiutare ogni pur blanda trasgressione,
di negare ogni diversità, una volta si sarebbe detto di imborghesirsi? I gay (e
ha ragione chi, come Isotta, non ama il termine) vogliono i figli con l’utero
in affitto, come il senatore Lo Giudice; vogliono farsi fotografare mentre
stringono al petto nudo un neonato, come la coppia canadese le cui immagini
hanno spopolato: ma la donna che ha partorito quel bimbo deve essere
espulsa dalle foto e dalla vita della nuova famigliola. I gay vogliono
inserirsi a pieno titolo nel politicamente corretto, ed essere finalmente dalla
parte dei benpensanti e della polizia (la galera a chi non si allinea!),
vogliono in testa alle sfilate del gay pride il sindaco, il prefetto, le
autorità pubbliche. E poi vogliono
reprimere la libertà di opinione con la legge Scalfarotto, anziché fare una
battaglia culturale, prendere in giro, rovesciare i significati, smontando
allegramente il senso offensivo delle parole. Va bene, abbiamo capito, la
strategia è cambiata: non più libertà sessuale ma normalizzazione, la parola
d’ordine non è più “sono diverso e ne sono fiero”, ma “non sono diverso e se tu
lo affermi ti denuncio”. Ma cosa ha a che fare tutto questo con il liberalismo?
O forse si confonde essere liberale con essere liberal, e dunque
aggiornati, progressisti, ben collocati nel coro.
Per un liberale lo stato deve intromettersi il meno possibile nella vita
privata delle persone, deve regolare, imporre, pretendere, il meno possibile. Ognuno ha la sacrosanta libertà di amare chi vuole, di stare con chi
vuole, nei modi che preferisce: ma allo stato la cosa non interessa, e non deve
interessare.
Il matrimonio non è il riconoscimento pubblico dell’amore di coppia, la
festa statale perché A e B sono follemente innamorati. E’ un’istituzione che
serve come guscio protettivo per la filiazione, per inserire la procreazione in
un quadro ordinato di diritti e doveri. Alla
società interessa la continuità generazionale, non i sentimenti dei singoli. Lo
stato invasivo, che si infiltra nel privato, che norma ogni atteggiamento
personale, ogni scelta del singolo non è certamente liberale. Ma ormai, per i
politici e gli intellettuali (con la luminosa eccezione di Piero Ostellino) gay
fa automaticamente rima con liberale, ed è così anche se si difendono i reati
d’opinione, tanto fieramente combattuti quando erano prerogativa del codice
Rocco. Ma se lo vuole Scalfarotto, tutto cambia.
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