La sentenza della Corte Suprema di qualche giorno fa che,
in contrasto con quanto previsto dall’Obama-care, ha permesso a due aziende
statunitensi quotate in borsa – la Hobby
Lobby e la Conestoga Wood Specialties - di non pagare le spese per la
contraccezione eventualmente sostenute dai propri dipendenti, sta creando un
effetto a catena. Infatti, dopo solo 24 ore dalla pronuncia dei giudici della
Suprema Corte, due tribunali federali hanno preso decisioni identiche a favore
di una televisione cattolica e cinque enti no-profit di ispirazione cristiana
del Wyoming: la diocesi di Cheyenne, la Caritas statale, l’orfanatrofio di
Saint Joseph, la scuola di Saint Anthony e l’Università cattolica del Wyoming.
In modo analogo ha sentenziato una corte dell’Illinois a favore del Wheaton
College alle porte di Chicago.
E siamo solo all’inizio dato che ad oggi sono 100 i gruppi che hanno fatto
causa al ministero della
Salute a motivo della riforma sanitaria di Obama varata nel 2010. Senza poi
contare che 80 enti no profit hanno già vinto la loro sfida nei tribunali
federali o statali. Voci di corridoio affermano che il presidente stia
preparando una contromossa per arginare questo diluvio di ricorsi che molto
probabilmente lo vedrebbero in futuro di nuovo perdente. Il cardine di queste
vittorie si situa su uno snodo giuridico
particolare: la libertà religiosa. Secondo i giudici tale libertà deve
essere tutelata anche quando Tizio agisce da imprenditore e non solo alla
domenica quando si reca in chiesa.
Importare questo ragionamento giuridico in casa nostra verrebbe qualificato
da molti scandaloso, anzi al limite del
ridicolo. L’espressione dei propri convincimenti religiosi da noi non solo
non è tutelata – semmai tollerata posto che sia esercitata nel chiuso di
ambienti domestici o in luoghi deputati – ma addirittura viene osteggiata.
Poniamo mente solo a tutta la querelle che è fiorita intorno alla teoria del
gender: l’asserzione di personali giudizi di carattere morale – propri anche
del portato culturale cattolico – viene interpretata come atto di
discriminazione a danno delle persone omosessuali. Ma il caso Obama-care versus
libertà religiosa è d’insegnamento per noi altri anche per ulteriori motivi.
La strategia vincente made in Usa è
quella non di lisciare il pelo del nemico per il verso giusto, tentando
compromessi con il governo o arrabattandosi nel trovare nelle norme delle
riforma sanitaria di Obama pertugi per non pagare le assicurazioni su aborto e
contraccezione (ci saranno pur state in questa riforma delle parti buone, no?).
Bensì è una strategia dichiaratamente antagonista che dice un “No” semplice e
tondo tondo alla riforma sanitaria.
Tutto l’opposto, ad esempio, di quello che è avvenuto e sta avvenendo in alcuni settori della cultura “cattolica” in merito alla pronuncia della
nostra Corte Costituzionale sull’eterologa dove non pochi, all’indomani della sentenza ed anche prima, si sono
affrettati ad indicare la strada della legittimazione parlamentare
dell’eterologa come rimedio per arginare la stessa eterologa (un bel
controsenso). Optando per la formalizzazione normativa di quanto disposto
dai giudici, alcuni “cattolici”
illuminati non solo hanno fatto propria una soluzione in contrasto con la
morale naturale – mai si può varare una legge intrinsecamente malvagia seppur
meno malvagia di un’altra – ma si sono altresì allineati perfettamente
all’orientamento deciso dalla Corte. In buona sostanza: negli Usa Obama pone
una norma liberticida e diocesi, università, conventi, imprese la contrastano
in radice e vincono. Noi ci troviamo davanti a dei giudici che dicono “Sì” all’eterologa
e una parte del mondo pro-life dice pure lui “Sì” all’eterologa seppur in
versione un poco depotenziata (cosa poi che nei fatti sarà tutta da verificare:
vedasi cosa ha detto il ministro Lorenzin un paio di giorni fa al
Corriere).
Insomma, tanto per rimanere legati alla recente cronaca calcistica, i
giudici mettono a segno sette
gol e noi siamo tutti contenti se riusciamo a limitare la sconfitta e segnare
il gol della bandiera. Ma, è bene ricordarselo, anche se abbiamo fatto una rete
l’incontro l’abbiamo perso ugualmente. E’ l’eterologa che va in finale, non la
dottrina della Chiesa. Qualcuno obietterà: “Ma lì è l’America, è la patria dei
duri e puri, un Paese con una lunga tradizione di manifestazioni popolari. Noi
siamo diversi per sensibilità e storia”. Risposta: l’Italia è la culla della
cristianità, nazione dove ha sede la cattedra di Pietro. Non si capisce cosa ci
manca per ribaltare la situazione in quanto a tradizione, risorse e talenti.
Non è nelle nostre corde dire evangelicamente “Sì sì, no no”? La soluzione è
semplice: impariamo a dirlo questo “Sì sì, no no”. Milioni di bambini che
continuamente muoiono per aborto e per Fivet lo esigono.
Continuiamo ad approfondire il tema del “che fare?”. Andiamo a bussare alla
porta dei politici? Il
mondo della politica non offre appigli. Anzi, gli esponenti “cattolici” nel
momento attuale o remano contro o, per usare un eufemismo, hanno le idee
confuse. Bene lavorarli ai fianchi, ma non aspettiamoci fuochi artificiali. Ci
appelliamo ai pastori? La realtà italiana ecclesiale, nella maggior parte dei
casi, col cambio di stagione della teologia morale ha messo in naftalina la
pastorale sui principi non negoziabili e allorché ne parla assume posizioni
dottrinali eterodosse. Il silenzio
omertoso di una buonissima fetta della Chiesa italiana su questi temi –
vedasi da ultimi eterologa e unioni civili di Renzi – fa addirittura sospettare
che le bocche chiuse siano merce di scambio per ottenere qualcosa d’altro.
Ci rivolgiamo infine alla base del laicato? Ampi settori del mondo pro-life
o sono ostaggi di
questa Chiesa del silenzio (e l’espressione non rimanda alla Chiesa
perseguitata) e quindi stanno al verone a guardare. Oppure, se sono da questa
indipendenti, nel momento attuale sono assai divisi in lotte intestine e dunque
– a parte qualche significativo caso – risultano essere paralizzati
nell’azione. Ma forse è proprio questo “significativo caso” che potrebbe
essere la nostra ancora di salvezza. Esistono realtà laicali ben formate e
agguerrite sul piano operativo. Perché non esportare il loro modello in altri
ambiti e non ingrandire di scala i loro progetti? Nei momenti di confusione,
basta una voce chiara che dica e proponga di fare cose semplici ma radicali per
trascinare. Forse che questa è la strada buona?
di Tommaso Scandroglio da lanuovabq
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