Dopo Müller, Brandmüller, Caffarra e De Paolis, un altro cardinale è sceso
in campo alla grande contro le tesi pro comunione ai divorziati risposati
sostenute dal loro collega teologo Walter Kasper nel concistoro dello scorso
febbraio.
È il canadese Thomas Collins, arcivescovo di Toronto, 66 anni, cardinale
dal 2012 e stella emergente del sacro collegio, tra l’altro chiamato da papa
Francesco a far parte della rinnovata commissione cardinalizia di
sovrintendenza sullo IOR.
Il cardinale Collins è intervenuto sulla questione in un’ampia intervista a
Brandon Vogt per il blog cattolico americano “The Word on Fire”, pubblicata il
25 giugno, vigilia della diffusione dell’”Instrumentum laboris“, cioè del testo base del prossimo
sinodo sulla famiglia:
In un passaggio dell’intervista, Collins
argomenta così l’impossibilità di dare la comunione ai divorziati risposati:
“I cattolici divorziati e risposati non possono ricevere la santa comunione
dal momento che, quali che siano la loro disposizione personale o le ragioni
della loro situazione, conosciute forse solo da Dio, essi persistono in una
condotta di vita che è oggettivamente in contrasto con il chiaro comando di
Gesù. Questo è il punto. Il punto non è che essi hanno commesso un peccato; la
misericordia di Dio è abbondantemente assicurata a tutti i peccatori.
L’omicidio, l’adulterio e altri peccati, non importa quanto gravi, sono
perdonati da Gesù, specialmente attraverso il sacramento della riconciliazione,
e il peccatore perdonato riceve la comunione. In materia di divorzio e di
secondo matrimonio il problema sta nella consapevole decisione, per le ragioni
più diverse, di persistere in una durevole situazione di lontananza dal comando
di Gesù. Sebbene non sia giusto per loro ricevere i sacramenti, dobbiamo
trovare migliori vie per aiutare le persone che si trovano in questa
situazione, per offrire loro una cura amorevole.
“Un elemento di possibile aiuto sarebbe che tutti noi capissimo che non è
obbligatorio ricevere la comunione quando si va a messa. Sono molti i
motivi per i quali un cristiano può decidere di non ricevere al comunione. Se
ci fosse minore pressione perché ciascuno riceva la comunione, ciò sarebbe
d’aiuto per coloro che non sono in condizione di farlo”.
E ancora:
“Dobbiamo riflettere su che cosa possiamo fare per aiutare le persone che
si trovano in questa situazione, in forme amorevoli ed efficaci. Ma facendo
questo, dobbiamo anche essere fedeli al comando di Gesù e alla necessità di non
mettere a rischio al santità del matrimonio, con le più gravi conseguenze per
tutti, specialmente in un mondo in cui la stabilità del matrimonio è già
tragicamente compromessa. Se noi dessimo prova con i fatti, se non con le
parole, che il patto matrimoniale non è effettivamente quello che Gesù dice che
è, ciò offrirebbe un sollievo solo momentaneo, al prezzo di una sofferenza di
lunga durata. Se la santità del patto matrimoniale fosse progressivamente
indebolita, alla fine sarebbero i figli a soffrire di più”.
Ma nell’intervista Collins dice molto
più di quanto qui riportato. Verso la fine egli fa anche un parallelo tra le
aspettative di cambiamento che precedettero la “Humanae vitae” di Paolo VI e
quelle – a suo giudizio altrettanto infondate – che precedono il prossimo
sinodo:
“Negli anni che precedettero l’enciclica di papa Paolo VI che ha
riaffermato il costante insegnamento cristiano che la contraccezione non è in
accordo con la volontà di Dio, c’era la diffusa aspettativa che la Chiesa
stesse per cambiare il suo insegnamento. Questo
tipo di aspettativa era basata per una certa parte sull’idea che la dottrina
cristiana è come la politica di un governo: quando le circostanze cambiano, o
quando più gente sostiene un’alternativa invece di un’altra, allora la politica
cambia.
“Ma l’insegnamento cristiano è fondato
sulla legge naturale che è scritta nei nostri cuori da Dio, e specialmente
sulla parola rivelata di Dio. Noi scopriamo la volontà di Dio, e le Scritture e
la fede vivente della Chiesa ci aiutano a fare ciò. Noi non modelliamo la
volontà di Dio secondo ciò che attualmente ci pare meglio.
“Così, quando papa Paolo VI non cambiò ciò che non era nei suoi poteri
cambiare, ma riaffermò la fede cristiana, molta, molta gente fu contrariata, e
semplicemente decise di ignorare l’insegnamento. Questa è la nostra situazione
presente. Io spero davvero che non abbiamo a soffrire una ripetizione di
questo, mentre si diffondono infondate aspettative riguardo a un cambiamento da
parte della Chiesa dell’esplicito insegnamento di Gesù sul matrimonio”.
Una curiosità. Come s’è visto sopra,
anche il cardinale Collins, per spiegare l’impossibilità di dare la comunione
ai divorziati risposati, fa il paragone tra la loro situazione di perdurante e
consapevole “lontananza dal comando di Gesù” e quella di un colpevole di altro
peccato anche gravissimo come l’omicidio, che però, pentito, può essere assolto
e riammesso alla comunione.
La curiosità è che questo stesso paragone, fatto negli stessi giorni dal parroco di Cameri nella diocesi di Novara,
don Tarcisio Vicario, ha invece esposto costui al pubblico ludibrio da
parte del cardinale Lorenzo Baldisseri,
segretario generale del sinodo, che il 26 giugno ha definito le parole del
sacerdote come “una pazzia, un’opinione
strettamente personale di un parroco che non rappresenta nessuno, neanche se
stesso”.
Il giorno precedente anche il
vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, s’era sentito in dovere di “una
netta presa di distanza sia dai toni che dai contenuti del testo” di quel suo parroco,
a motivo della “inaccettabile equiparazione, pur introdotta come esempio, tra
convivenze irregolari e omicidio. L’esemplificazione, anche se scritta tra
parentesi, risulta inopportuna e fuorviante, e quindi errata”.
Per la precisione, ecco le parole
testuali del malcapitato curato: “Per la Chiesa, che agisce in nome del Figlio
di Dio, il matrimonio tra battezzati è solo e sempre un sacramento. Il
matrimonio civile e la convivenza non sono un sacramento. Pertanto chi si pone
al di fuori del sacramento contraendo il matrimonio civile vive una infedeltà
continuativa. Non si tratta di un peccato occasionale (per esempio un
omicidio), né di una infedeltà per leggerezza o per abitudine che la coscienza
richiama comunque al dovere di emendarsi attraverso un pentimento sincero e il
proposito vero e fermo di allontanarsi dal peccato e dalle occasioni che
conducono ad esso”.
Il cardinale Collins non
ha detto niente di diverso. Una “pazzia” anche la sua?
di Sandro Magister
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