DI MASSIMO INTROVIGNE
L’«Instrumentum Laboris» per il prossimo Sinodo
Straordinario sulla famiglia, presentato il 26 giugno 2014, non rappresenta –
il documento lo chiarisce – la posizione della Santa Sede o del Papa, ma
illustra le risposte al questionario del novembre 2013 arrivate a Roma
principalmente dalle Conferenze Episcopali, anche se in teoria chiunque – anche
i semplici fedeli – poteva rispondere. Si tratta dunque di una silloge di
opinioni disparate: uno «strumento di lavoro», appunto.
Chiarita la sua natura, occorre però leggerne tutte le 87 pagine(si arriva fino a pagina 77, ma le prime dieci sono numerate in numeri romani): un esercizio faticoso ma obbligatorio e da cui emerge un quadro delle posizioni dei vescovi del mondo intero forse un po’ diverso da quello che le conferenze stampa di qualche episcopato del Nord Europa lasciavano intendere. Tutto sommato, le Conferenze Episcopali – c’è da credere che il documento cerchi di ricostruirne le opinioni della loro maggioranza – appaiono molto caute: pongono domande più che fornire risposte, e non sono affatto entusiaste delle ideologie dominanti.
Il testo riprende le
otto domande del questionario del 2013, ed è diviso in tre
parti. La prima si riferisce al tema della famiglia nella Sacra Scrittura e nel
Magistero, di cui si richiamano i grandi testi fra cui l’enciclica del
venerabile Paolo VI (1897-1978) «Humanae vitae» e l’ampio corpus sulla
famiglia di san Giovanni Paolo II (1920-2005).
Le risposte ai
questionari affermano che l’insegnamento biblico sulla famiglia è abbastanza conosciuto, ma «resta ancora molto da fare, perché esso
diventi il fondamento della spiritualità e della vita dei cristiani». «In
questa prospettiva, risalta quanto sia decisiva la formazione del clero ed in
particolare la qualità delle omelie, sulla quale il Santo Padre Francesco ha
recentemente insistito».
Molto peggio vanno le cose in tema di Magistero, la cui conoscenza «sembra essere generalmente scarsa». Qualche risposta imputa «la responsabilità della scarsa diffusione di questa conoscenza agli stessi pastori, che, secondo il giudizio di alcuni fedeli, non conoscono loro stessi in profondità l’argomento matrimonio-famiglia dei documenti». I fedeli manifestano anche «una certa insoddisfazione nei confronti di alcuni sacerdoti che appaiono indifferenti rispetto ad alcuni insegnamenti morali. Il loro disaccordo con la dottrina della Chiesa ingenera confusione tra il popolo di Dio». Come si vede, è più o meno il contrario di quanto affermato da alcuni media: i fedeli protestano non contro i sacerdoti che presentano la dottrina della Chiesa, ma contro quelli che manifestano il loro «disaccordo» con il Magistero. Al contrario, «là dove si trasmette in profondità, l’insegnamento della Chiesa con la sua genuina bellezza, umana e cristiana è accettato con entusiasmo da larga parte dei fedeli».
Molto peggio vanno le cose in tema di Magistero, la cui conoscenza «sembra essere generalmente scarsa». Qualche risposta imputa «la responsabilità della scarsa diffusione di questa conoscenza agli stessi pastori, che, secondo il giudizio di alcuni fedeli, non conoscono loro stessi in profondità l’argomento matrimonio-famiglia dei documenti». I fedeli manifestano anche «una certa insoddisfazione nei confronti di alcuni sacerdoti che appaiono indifferenti rispetto ad alcuni insegnamenti morali. Il loro disaccordo con la dottrina della Chiesa ingenera confusione tra il popolo di Dio». Come si vede, è più o meno il contrario di quanto affermato da alcuni media: i fedeli protestano non contro i sacerdoti che presentano la dottrina della Chiesa, ma contro quelli che manifestano il loro «disaccordo» con il Magistero. Al contrario, «là dove si trasmette in profondità, l’insegnamento della Chiesa con la sua genuina bellezza, umana e cristiana è accettato con entusiasmo da larga parte dei fedeli».
Certamente, le
risposte segnalano anche elementi che rendono difficile
ad alcuni accettare l’insegnamento della Chiesa: «Le nuove tecnologie diffusive
ed invasive; l’influenza dei mass media; la cultura edonista; il relativismo;
il materialismo; l’individualismo; il crescente secolarismo; il prevalere di
concezioni che hanno portato ad una eccessiva liberalizzazione dei costumi in
senso egoistico; la fragilità dei rapporti interpersonali; una cultura che
rifiuta scelte definitive, condizionata dalla precarietà, dalla provvisorietà,
propria di una “società liquida”, dell’“usa e getta”, del “tutto e subito». Se
in Asia e in Africa la Chiesa trova difficoltà «nel confronto con le culture
tribali e le tradizioni ancestrali, in cui il matrimonio ha caratteristiche
assai diverse rispetto alla visione cristiana, come ad esempio nel sostenere la
poligamia o altre visioni che contrastano con l’idea di matrimonio
indissolubile e monogamico», in Occidente fa problema la nozione di «legge
naturale», che è al centro di molti testi del Magistero ma oggi non è più
compresa dalla cultura maggioritaria.
Da molti giovani oggi
l’aggettivo «naturale» è inteso nel senso non di conforme alla
natura umana, ma di «spontaneo»: fare quello che «viene naturale» è considerato
di per sé buono. «In sintesi, si tende ad accentuare il diritto alla libertà
individuale senza compromesso: le persone si “costruiscono” solo in base ai
propri desideri individuali. Ciò che si giudica sempre più divenire “naturale”
è più che altro l’autoreferenzialità della gestione dei propri desideri ed
aspirazioni. A ciò contribuisce pesantemente l’influsso martellante dei mass
media e dello stile di vita esibito da certi personaggi dello sport e dello
spettacolo».
Dalle risposte emergono quindi suggerimenti di adeguare il linguaggio, parlando di «ordine della creazione» o di «legge scritta nel cuore dell’uomo» anziché di «legge naturale». Peraltro, prima di rivedere il linguaggio del Magistero, si tratta di farlo conoscere: molte risposte al questionario invitano il Sinodo a mettere a tema come «promuovere una migliore conoscenza del Magistero», a partire dal ricchissimo corpus su amore, matrimonio e famiglia di san Giovanni Paolo II.
«Senza famiglia l’uomo
non può uscire dal suo individualismo», ma nello stesso tempo
oggi l’individualismo attacca la famiglia. Per difenderla, non può mancare la
«promozione di leggi giuste, come quelle che garantiscono la difesa della vita
umana dal suo concepimento e quelle che promuovono la bontà sociale del
matrimonio autentico tra l’uomo e la donna». E non può mancare una spiritualità
della famiglia, a proposito della quale molte risposte hanno insistito sulla
preghiera familiare, la devozione popolare e «l’importanza di vivere il
sacramento della riconciliazione e la devozione mariana». Diverse risposte
criticano i corsi prematrimoniali, nei confronti dei quali si riscontra una
vasta insoddisfazione. I fidanzati li seguono con «poca attenzione»; «le coppie
si presentano spesso all’ultimo momento, avendo già fissato la data del
matrimonio, anche quando la coppia presenta aspetti che necessiterebbero di
particolare cura».
Il secondo capitolo
raccoglie le risposte circa le sfide pastorali sulla famiglia. Parte dalla
crisi della fede, insieme causa della crisi della famiglia e talora anche suo
effetto: «La crisi nella coppia, nel matrimonio o nella famiglia si trasforma
spesso e gradatamente in una crisi di fede». Questo genera problemi sia interni
sia esterni alla famiglia. All’interno, «la mancanza di condivisione e
comunicazione fa sì che ciascuno affronti le proprie difficoltà nella solitudine».
Accanto al divorzio, «molti episcopati sottolineano con grande preoccupazione
la massiccia diffusione della pratica dell’aborto. La cultura dominante sembra
per molti aspetti promuovere una cultura di morte rispetto alla vita nascente
[…]. Non pochi interventi sottolineano come anche una mentalità contraccettiva
segni di fatto negativamente le relazioni familiari». In questo clima nascono
anche i terribili fenomeni della violenza sui bambini, della pedofilia (si fa
cenno anche a quella dei sacerdoti, così nociva per la testimonianza della
Chiesa) dell’incesto, della prostituzione infantile alimentata dal turismo
sessuale, delle dipendenze da droga, alcool e pornografia, che tutti
condannano, spesso però dimenticando di porre attenzione alle loro cause profonde
e «in particolare all’immagine di famiglia veicolata» dalla cultura dominante
«e all’offerta di anti-modelli, che trasmettono valori errati e
fuorvianti».
Meno tragici, ma più
diffusi sono «i problemi relazionali che i media,
unitamente ai social network e internet, creano all’interno della famiglia. Di
fatto, televisione, smartphone e computer possono essere un reale impedimento
al dialogo tra i membri della famiglia, alimentando relazioni frammentate e
alienazione: anche in famiglia si tende sempre più a comunicare attraverso la
tecnologia. Si finisce così per vivere rapporti virtuali tra i membri della
famiglia, dove i mezzi di comunicazione e l’accesso a internet si sostituiscono
sempre di più alle relazioni».
Ma le sfide alla
famiglia vengono anche dall’esterno: dall’organizzazione
moderna del lavoro, dalle vecchie e nuove povertà, dalle «pressioni culturali»
fra cui «il consumismo», che genera anche l’idea del «“figlio ad ogni costo” e
i conseguenti metodi di procreazione artificiale». E ancora il testo menziona
le pressioni sui figli che derivano dal carrierismo, le guerre, le migrazioni
forzate, «la diffusione di sètte, le pratiche esoteriche, l’occultismo, la
magia e la stregoneria».
La terza parte del
questionario riguarda le «situazioni difficili». Si parte dalle convivenze, spesso fondate su «un’idea di libertà che
considera il legame matrimoniale una perdita della libertà della persona». Di
fronte a questo diffuso rifiuto del matrimonio «si ritiene essenziale aiutare i
giovani ad uscire da una visione romantica dell’amore, percepito solo come un
sentimento intenso verso l’altro, e non come risposta personale ad un’altra
persona, nell’ambito di un progetto comune di vita, in cui si dischiude un
grande mistero e una grande promessa. I percorsi pastorali devono farsi carico
dell’educazione all’affettività, con un processo remoto che inizi già
nell’infanzia».
Quanto ai divorziati,
mentre quelli non risposati sono tra i «nuovi poveri» bisognosi di
speciale solidarietà pastorale, tra i divorziati risposati «si riscontrano
diversi atteggiamenti, che vanno dalla mancanza di consapevolezza della propria
situazione alla indifferenza, oppure ad una consapevole sofferenza». Molti
«considerano con noncuranza la propria situazione irregolare»: senza confessarsi,
semplicemente si comunicano. «Spesso non si coglie il rapporto intrinseco tra
matrimonio, Eucaristia e penitenza; pertanto, risulta assai difficile
comprendere perché la Chiesa non ammetta alla comunione coloro che si trovano
in una condizione irregolare. I percorsi catechetici sul matrimonio non
spiegano sufficientemente questo legame». Occorre evitare, afferma il
documento, «il rischio di una mentalità rivendicativa nei confronti dei
sacramenti. Inoltre, assai preoccupante risulta essere l’incomprensione della
disciplina della Chiesa quando nega l’accesso ai sacramenti».
Alcune risposte
chiedono di «snellire la procedura per la nullità», come già auspicato da Benedetto XVI. Ma altre «invitano alla prudenza,
segnalando il rischio che tale snellimento e semplificando o riducendo i passi
previsti, si producano ingiustizie ed errori; si dia l’impressione di non
rispettare l’indissolubilità del sacramento; si favorisca l’abuso e si ostacoli
la formazione dei giovani al matrimonio come impegno di tutta la vita; si
alimenti l’idea di un “divorzio cattolico”».
Dalle risposte non
emerge una posizione univoca sulla possibilità di ammettere alla
comunione alcune categorie di divorziati risposati. Si raccomanda solo «grande
misericordia: la Chiesa è chiamata a trovare forme di “compagnia” con cui
sostenere questi suoi figli in un percorso di riconciliazione. Con comprensione
e pazienza, è importante spiegare che il non poter accedere ai sacramenti non
significa essere esclusi dalla vita cristiana e dal rapporto con Dio».
Diversa è la questione
delle coppie omosessuali. «Nelle risposte delle Conferenze
Episcopali, circa le unioni tra persone dello stesso sesso – afferma il
documento –, ci si riferisce all’insegnamento della Chiesa». «Non esiste
fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le
unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. […]
nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali “devono essere
accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni
marchio di ingiusta discriminazione”», secondo le parole del «Catechismo della
Chiesa Cattolica». Contrariamente a quanto anticipato da diversi media,
apprendiamo che «tutte le Conferenze Episcopali si sono espresse contro una
“ridefinizione” del matrimonio tra uomo e donna attraverso l’introduzione di
una legislazione che permette l’unione tra due persone dello stesso sesso», e
questo senza nulla togliere a un «atteggiamento rispettoso e non giudicante nei
confronti delle persone». Le risposte esprimono anche preoccupazione per la
«promozione della ideologia del gender, che in alcune regioni tende ad
influenzare anche l’ambito educativo primario, diffondendo una mentalità che,
dietro l’idea di rimozione dell’omofobia, in realtà propone un sovvertimento
della identità sessuale».
Quanto alla pastorale
delle persone con tendenze omosessuali, «bisogna distinguere
tra quelle che hanno fatto una scelta personale, spesso sofferta, e la vivono
con delicatezza per non dare scandalo ad altri, e un comportamento di
promozione e pubblicità attiva, spesso aggressiva». Molte risposte chiedono che
si approfondisca «il senso antropologico e teologico della sessualità umana e
della differenza sessuale tra uomo e donna, in grado di far fronte alla
ideologia del gender».
L’ultima parte del
documento riferisce sulle risposte circa l’apertura del
matrimonio alla vita e l’enciclica «Humanae
vitae», che «ha avuto un significato certamente profetico nel ribadire l’unione
inscindibile tra l’amore coniugale e la trasmissione della vita». Ma «nella
stragrande maggioranza delle risposte pervenute, si evidenzia come la
valutazione morale dei differenti metodi di regolazione delle nascite venga
oggi percepita dalla mentalità comune come un’ingerenza nella vita intima della
coppia». Sembra pure che «i metodi “naturali” vengano ritenuti semplicemente
inefficaci e impraticabili»: non se ne capisce il significato profondamente
diverso rispetto alla contraccezione, e pochi sanno che «l’esperienza dimostra
l’efficacia del loro impiego». «Si sente il bisogno che la posizione della
Chiesa a questo proposito venga spiegata meglio, soprattutto di fronte a talune
riduzioni caricaturali dei media».
E anche qui si nota
l’influenza negativa «dell’ideologia del gender, che tende a modificare alcuni assetti fondamentali dell’antropologia, tra
cui il senso del corpo e della differenza sessuale, sostituita con l’idea
dell’orientamento di genere, fino a proporre il sovvertimento della identità
sessuale. […] In tal senso, il discredito dato alla posizione della Chiesa in
materia di paternità e maternità non è che un tassello di una mutazione
antropologica che talune realtà molto influenti stanno promuovendo. La
risposta, pertanto, non potrà essere solo relativa alla questione dei contraccettivi
o dei metodi naturali, ma dovrà porsi al livello dell’esperienza umana decisiva
dell’amore, scoprendo il valore intrinseco della differenza che segna la vita
umana e la sua fecondità». Non basta una «condanna generica» dell’ideologia del
gender: occorre rispondere in modo articolato alle sue sfide, con «una maggiore
diffusione – con linguaggio rinnovato, proponendo una coerente visione
antropologica – di quanto affermato nell’“Humanae Vitae”».
Il documento conclude
con le risposte in tema di educazione. Oggi «i genitori
appaiono molto cauti nello spingere i figli alla pratica religiosa» e «si
sentono spesso insicuri, cosicché proprio nel trasmettere la fede essi restano
spesso senza parole e delegano questo compito, anche se lo ritengono importante,
ad istituzioni religiose. Questo sembra attestare una fragilità degli adulti».
Molte risposte invitano a sostenere maggiormente la scuola cattolica e la
libertà di educazione in un contesto in cui «lo Stato è particolarmente
invasivo nei processi educativi», a difendere – ma anche a curare –
l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche dove lo Stato
lo permette, ad accogliere senza remore i bambini che crescono all’interno di
situazioni familiari irregolari, compresi quelli allevati da coppie
omosessuali, perché «non sono i bambini o i ragazzi ad aver colpa delle scelte
o del vissuto dei propri genitori».
A nessun bambino va negato pregiudizialmente il Battesimo, ma occorre anche sincerarsi che non si tratti di un rito isolato ma dell’inizio di un reale cammino cristiano, magari attraverso la «ricomprensione del valore e del ruolo che assumono il padrino o la madrina». A tutti occorre riproporre, in positivo, la bellezza dell’amore e del matrimonio indissolubile tra un uomo e una donna: che, nonostante tutto, è ancora apprezzata da quanti riescono a comprenderla.
A nessun bambino va negato pregiudizialmente il Battesimo, ma occorre anche sincerarsi che non si tratti di un rito isolato ma dell’inizio di un reale cammino cristiano, magari attraverso la «ricomprensione del valore e del ruolo che assumono il padrino o la madrina». A tutti occorre riproporre, in positivo, la bellezza dell’amore e del matrimonio indissolubile tra un uomo e una donna: che, nonostante tutto, è ancora apprezzata da quanti riescono a comprenderla.
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