Il problema di fondo del caso
Cesana. «Chi ama la res publica avrà la mano mozzata»
da TEMPI, novembre 25,
2014 Luigi Amicone
Il problema
è che Cesana non fa nessun assalto, a meno di interpretare come un “assalto” il
far bene il proprio mestiere di amministratore pubblico.
Non occorre
essere di Milano e conoscere i fatti per essere in grado di esprimere un
giudizio, come si dice, a ragion veduta. Come può accadere a ognuno di noi
tutte le volte che ci impediamo di conoscere “come stanno le cose” e ci
attestiamo testardamente su “come le vediamo noi le cose” facendo vincere il
peggio di noi, cioè pregiudizio, arroganza, ignoranza, tale Giancarlo Cesana,
professore universitario e da quattro anni presidente della Fondazione
Policlinico di Milano (nomina della giunta Formigoni confermata dalla giunta
Maroni), non deve proporre un suo candidato a un certo ruolo pubblico e, per
giunta, deve anche dimettersi. Perché? Perché lo vuole Repubblica.
Naturalmente
l’unico modo con cui una corazzata dell’informazione come Repubblica può
chiedere le dimissioni di chicchessia e porre il veto a una nomina che la legge
disciplina e assegna non ai giornali di proprietà privata, ma ai preposti
organi dello Stato, è scatenare la gazzarra. Cioè una campagna a mezzo stampa.
C’è diffamazione e calunnia da parte di Repubblica nello spingere la
figura di Cesana a rappresentare l’intero movimento a cui appartiene e così,
parte per il tutto, come ha titolato il giornale debenedettiano nel suo dorso
milanese, all’apice della sua tre giorni di virulenta campagna anticiellina,
«Cl va all’assalto del patrimonio»?
Prima ancora
di valutare il profilo eventualmente calunnioso e diffamatorio di un titolo
sparato per mettere a fuoco il bersaglio e portare il lettore sul terreno
dell’indignazione e della stigmatizzazione di questa «Cl» che «va all’assalto
del patrimonio», bisognerebbe chiedersi di che razza di “assalto” è questo di
Cesana. Bene, l’assalto è questo. Cesana propone come candidato alla presidenza
di un ente che gestirà la messa a reddito del patrimonio del Policlinico, la
stessa persona che in questi anni ha rimesso in sesto e valorizzato un
patrimonio pubblico che giaceva immobilizzato, soggetto a gestioni opache e
clientelari. L’assalto è questo: Cesana ha proposto in maniera trasparente,
appropriata e approvata da tutti gli organi dello Stato a cui spetta
legittimamente, per legge, la decisione di nomina, questa persona che si è
dimostrata una persona onesta, capace, efficiente.
Non solo.
Dopo aver proposto questa persona, al primo colpo sparato sui giornali che
senza entrare nel merito del curriculum del candidato hanno obliquamente e
razzisticamente segnalato che costui non è un rotariano, non è della Fiom e non
è neanche un berlusconiano, ma un “ciellino”, Cesana ha tranquillamente
replicato che «io tra un anno finisco il mio mandato, se l’obiezione è che il
candidato è di Cl, come sapete anch’io lo sono, dunque neanch’io vado bene».
Dunque, qual
è il problema nel pandemonio che ha sollevato Repubblica? Il problema è
che, eventualmente, bisognerebbe dimostrare il contrario di quanto abbiamo
appena detto. E cioè che Cesana e la persona da lui proposta sono dei
disonesti, la loro gestione del Policlinico si è dimostrata inefficiente, non
c’è motivo per promuovere a ruoli di responsabilità l’uno, e l’altro si
dovrebbe dimettere. Questo, solo questo, documentato da fatti precisi e circostanziati,
potrebbe giustificare un attacco che descrive come un assaltatore un
amministratore pubblico e, nell’intervista Marco Vitale, raffigura come
dei ladri e dei banditi l’intera comunità ciellina.
È vero,
manca solo il naso adunco e la kippah, e la fotografia scattata da Repubblica
con l’assistenza di Marco Vitale sarebbe perfetta: «La verità è che i manager
di Cl vogliono fare gli affari loro, mettere le mani su un bottino molto
ghiotto. È da quando ero al Policlinico che vanno all’assalto del patrimonio
dell’ospedale, e ieri come oggi si nascondono dietro la storia della creazione
di una fondazione privata per saccheggiare i beni pubblici».
Qual è il
problema di queste dichiarazioni che Cesana definirà «inqualificabili,
arrivando a una ostilità di tipo razziale»? Il problema è che sono fuori dalla
realtà. Il problema è che sono semplicemente false. Il problema, come conclude
Cesana, è che «mi spiace solo, come succede per le calunnie, che possa
ostacolare chi fa. Lui (Vitale, ndr), che è stato sì quattro anni al
Policlinico, ma poi se ne è andato sbattendo la porta perché il cambiamento era
impossibile. Infatti non ha lasciato traccia».
Dunque, il
problema è che Cesana non fa nessun assalto, a meno di interpretare come un
“assalto” il far bene il proprio mestiere di amministratore pubblico. Lo dico
io? Lo dice Cl? È un peccato, lo sappiamo, ma purtroppo lo dicono gli stessi
avversari sindacali, politici e culturali di Cesana. Cesana vanta performance
di amministratore impeccabile. Cesana si è fatto una discreta nomea di
personalità capace, stimata per il coraggio delle sue idee, pronto a discutere
con tutti e a non sottrarsi ad alcuna controversia. Cesana si è mostrato saggio
e prudente nella gestione del patrimonio, lodevole nell’aver risolto situazioni
a cui nessun amministratore aveva osato mettere mano prima di lui (come lo
sgombero di case che da decenni erano occupate e gestite dalla mafia).
Infine,
Cesana non ha mai attirato sul suo operato le attenzioni della pur vigile,
sensibile, occhiuta, magistratura milanese. Insomma se Cesana è un
amministratore eccellente, onesto, perbene, come si fa a prenderlo come il
Cavallo di Troia di Cl? Semplice, lo si fa e basta. Come si può sfregiare un
quadro per il semplice gusto di sfregiarlo. Si chiama teppismo. Ora, qual è la
differenza tra un writer che impiastra di scritte treni e muri delle città e Repubblica
che impiastra di ladro e bandito Cesana e i suoi amici ciellini? Non sta a noi
dirlo, naturalmente. Ma ogni lettore può sospettarlo.
Ma non
finisce qui. Perché la tre giorni del “dagli al ciellino” decisa da Repubblica
nell’ultimo weekend ha una coda ancora più obliqua e velenosa dello schietto e
frontale astio di Vitale a cui viene il sangue agli occhi al sol sentire
parlare di Comunione e Liberazione. La coda è un editoriale di Gad Lerner in
cui chiarisce: non c’è niente, nel merito, per cui si possa accusare Cesana di
disonestà o malversazione, di assalto o di banditismo, il fatto è – e siamo
solo all’incipit del pezzo di Lerner, ma è un incipit che contiene già tutto
l’argomento accusatorio – che «dopo la caduta di Formigoni, Giancarlo Cesana
impersona il culmine ma anche il limite della presenza ciellina a Milano».
Ragionavano
più o meno allo stesso modo a Berlino e Mosca ai bei tempi del padrone
totalitario. Chi nel silenzio colpevole, chi facendo buon viso a cattiva sorte,
chi volentieri collaborando con il padrone. Cosa può fare oggi il cittadino
libero di Lombardia, laico o religioso egli sia, se ha interesse e passione per
la res pubblica? Fin dove gli è consentito arrivare nella sfera pubblica se
egli non agisce secondo i canoni, le convinzioni, le graziose concessioni o,
per lo meno, i non impedimenti, di potentati stile Repubblica? Lo sapeva
già Czeslaw Milosz: «Pensi a bere il caffè e a dare la caccia alle farfalle.
Chi ama la res publica avrà la mano mozzata».
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