Vetri rotti e parole che non ci ruberanno
Caro direttore,
sabato sera 8 novembre 2014, sono stato a Viareggio per tenere una conferenza sui rischi che la libertà di opinione e di credo religioso corre rispetto al disegno di legge Scalfarotto contro l’omofobia, e alla deriva propagandistica del 'gender' nelle scuole.
L’incontro, intitolato «Omofobia o Eterofobia? Gendercrazia: a rischio la libertà di espressione», era stato organizzato dal locale circolo del movimento 'La Manif pour Tous' e dall’Oratorio della Parrocchia di Santa Rita, presso la cui sala teatro si è svolta la manifestazione. Mi avevano anche avvertito del fatto che Viareggio era una piazza 'difficile', con militanti dell’associazionismo politico gay molto attivi e un clima, come si dice, 'gayfriendly'. Per questo motivo, gli organizzatori della conferenza avevano inviato, venerdì 7 novembre alle ore 19.11,
una comunicazione all’indirizzo di posta elettronica certificata del locale Commissariato di Polizia per richiedere vigilanza a fronte dell’«intenzione di creare disordini» da parte di «attivisti lgbt».
Purtroppo, il Commissariato ha ritenuto di non accogliere la richiesta, e nei pressi della Parrocchia di Santa Rita non si è vista nemmeno l’ombra di un agente di polizia.
Sabato sera, dunque, sono arrivato con la mia auto fino all’ingresso della sala parrocchiale, ove mi aspettava un nutrito gruppo di persone, e lì ho parcheggiato la macchina. Ho aperto il baule e, aiutato dai ragazzi della parrocchia, ho portato all’interno della sala libri e altro materiale utile per la conferenza. Operazione ripetuta più volte che ha evidentemente consentito di identificare in maniera inequivocabile la mia auto. Qualcuno mi ha detto che sono stato imprudente. Forse ha ragione, ma io non mi ero mai posto prima il problema, poiché ingenuamente ritengo di vivere in un Paese sicuro e tollerante. Ma l’«imprudenza» si paga. Me ne sono reso conto, quando gli amici viareggini costernati mi hanno comunicato che la mia auto, unica tra quelle parcheggiate nei pressi della Parrocchia, aveva subìto atti vandalici. E i vetri in terra stavano a dimostrarlo. In questi casi, ciò che più ferisce non è tanto il danno materiale in sé, perché quello si può rimediare, ma la ferita inflitta alla nostra libertà, che non è facilmente riparabile – tantomeno con i soldi – e che s’accompagna a un senso oscuro di impotenza. Chi potrà risarcire i danni recati al diritto di libertà? Resta l’amara considerazione che anche la sola presenza simbolica di un agente di polizia avrebbe forse potuto evitare almeno i danni. Ma questo è un altro discorso.
Aggiungo solo che atti di intimidazione così vili, che ricordano quelli subiti in altri tempi, in altri Paesi e sotto altri e illiberali regimi, non possono scoraggiare quanti in Italia intendono difendere la libera manifestazione del pensiero e del proprio credo religioso. Anzi, proprio queste provocazioni violente danno una ragione in più per continuare. Caro direttore, ma cosa sta accadendo nel nostro Paese?
Gianfranco Amato, Presidente dei Giuristi per la Vita
Che cosa sta accadendo, caro avvocato Amato? Glielo dico con una battuta: c’è chi punta a far diventare «silenziosa» la grande maggioranza dei cittadini del nostro Paese. Uomini e donne che sanno che cos’è la vita e che cosa nella vita conta, rispettano tutti, non discriminano nessuno e proprio per questo non accettano che nella nostra società si pretenda di confondere ciò che non può essere confuso, per esempio la solidarietà (anche carica di "affetto") con il matrimonio (ovvero con il "luogo" della generazione naturale dei figli). E non vogliono che questa confusione conduca a fare «parti uguali tra disuguali». Uso volutamente una frase di don Lorenzo Milani, che indica splendidamente la grande ingiustizia umana da cui guardarsi, perché la scelta preferenziale per i piccoli e per i deboli di questo straordinario prete ed educatore è stata così chiara e coinvolgente, che con il suo disarmato e disarmante aiuto possiamo capirci davvero e capire più a fondo i molteplici rischi che stiamo correndo tutti, cattolici e laici, militanti gay e paladini della famiglia cosiddetta tradizionale (a me piace dire naturale e costituzionale). Il primo di questi rischi è quello di dimenticarci dei figli (un rischio, a sua volta, dalle molte facce nell’Italia di oggi). O, meglio, di ricordarcene solo quando vengono ridotti a "bandiera", dichiarati un "diritto" di qualunque individuo che aspiri a farsi genitore o quando ci rendiamo conto che non sono più considerati persone da accogliere per ciò che sono, ma figure da "progettare" a misura dell’autoreferenziale felicità di moda e della dignità standard ammessa dai canoni di quel «pensiero dominante» che papa Francesco richiama spesso e che denuncia come impregnata dalla «cultura dello scarto».
Per procedere in questa infausta direzione, caro avvocato, le voci scomode vanno zittite. Il teppismo intimidatorio, come quello che lei ha subìto a Viareggio, è una brutale ed esecrabile conferma di ciò, ma le violenze dirette non sono il mezzo principale di questo tentativo. L’arma principale è quella di "rubare" le parole chiave – amore, dono, gioia… – a chi, come lei e come noi, continua ad affermare che siamo donne o uomini, esseri umani infinitamente diversi e originali e capaci di crescere e cambiare, ma non infinitamente cangianti nella nostra identità di base (secondo, appunto, lo schema del "gender"). Proprio così: vogliono rubarci le parole, e vogliono rendere "brutte" quelle che pensano di non poterci togliere. Credono di riuscirci facendoci adirare, spingendoci alla rissa e all’invettiva, costruendo caricature "crudeli" dei nostri argomenti. Ma i fatti sono tenaci, la realtà è resistente. E noi siamo tenuti a coltivare un ottimismo realista. Andiamo avanti con serenità, senza timori, con pacifica tenacia. Svegliamo chi dorme, teniamo desto chi è già sveglio. Non rassegniamoci all’incomprensione, allo scontro, alla deriva. (E auguriamoci che le forze dell’ordine, che rispettiamo, facciano sempre la loro parte coi violenti e i prevaricatori…).
sabato sera 8 novembre 2014, sono stato a Viareggio per tenere una conferenza sui rischi che la libertà di opinione e di credo religioso corre rispetto al disegno di legge Scalfarotto contro l’omofobia, e alla deriva propagandistica del 'gender' nelle scuole.
L’incontro, intitolato «Omofobia o Eterofobia? Gendercrazia: a rischio la libertà di espressione», era stato organizzato dal locale circolo del movimento 'La Manif pour Tous' e dall’Oratorio della Parrocchia di Santa Rita, presso la cui sala teatro si è svolta la manifestazione. Mi avevano anche avvertito del fatto che Viareggio era una piazza 'difficile', con militanti dell’associazionismo politico gay molto attivi e un clima, come si dice, 'gayfriendly'. Per questo motivo, gli organizzatori della conferenza avevano inviato, venerdì 7 novembre alle ore 19.11,
una comunicazione all’indirizzo di posta elettronica certificata del locale Commissariato di Polizia per richiedere vigilanza a fronte dell’«intenzione di creare disordini» da parte di «attivisti lgbt».
Purtroppo, il Commissariato ha ritenuto di non accogliere la richiesta, e nei pressi della Parrocchia di Santa Rita non si è vista nemmeno l’ombra di un agente di polizia.
Sabato sera, dunque, sono arrivato con la mia auto fino all’ingresso della sala parrocchiale, ove mi aspettava un nutrito gruppo di persone, e lì ho parcheggiato la macchina. Ho aperto il baule e, aiutato dai ragazzi della parrocchia, ho portato all’interno della sala libri e altro materiale utile per la conferenza. Operazione ripetuta più volte che ha evidentemente consentito di identificare in maniera inequivocabile la mia auto. Qualcuno mi ha detto che sono stato imprudente. Forse ha ragione, ma io non mi ero mai posto prima il problema, poiché ingenuamente ritengo di vivere in un Paese sicuro e tollerante. Ma l’«imprudenza» si paga. Me ne sono reso conto, quando gli amici viareggini costernati mi hanno comunicato che la mia auto, unica tra quelle parcheggiate nei pressi della Parrocchia, aveva subìto atti vandalici. E i vetri in terra stavano a dimostrarlo. In questi casi, ciò che più ferisce non è tanto il danno materiale in sé, perché quello si può rimediare, ma la ferita inflitta alla nostra libertà, che non è facilmente riparabile – tantomeno con i soldi – e che s’accompagna a un senso oscuro di impotenza. Chi potrà risarcire i danni recati al diritto di libertà? Resta l’amara considerazione che anche la sola presenza simbolica di un agente di polizia avrebbe forse potuto evitare almeno i danni. Ma questo è un altro discorso.
Aggiungo solo che atti di intimidazione così vili, che ricordano quelli subiti in altri tempi, in altri Paesi e sotto altri e illiberali regimi, non possono scoraggiare quanti in Italia intendono difendere la libera manifestazione del pensiero e del proprio credo religioso. Anzi, proprio queste provocazioni violente danno una ragione in più per continuare. Caro direttore, ma cosa sta accadendo nel nostro Paese?
Gianfranco Amato, Presidente dei Giuristi per la Vita
Che cosa sta accadendo, caro avvocato Amato? Glielo dico con una battuta: c’è chi punta a far diventare «silenziosa» la grande maggioranza dei cittadini del nostro Paese. Uomini e donne che sanno che cos’è la vita e che cosa nella vita conta, rispettano tutti, non discriminano nessuno e proprio per questo non accettano che nella nostra società si pretenda di confondere ciò che non può essere confuso, per esempio la solidarietà (anche carica di "affetto") con il matrimonio (ovvero con il "luogo" della generazione naturale dei figli). E non vogliono che questa confusione conduca a fare «parti uguali tra disuguali». Uso volutamente una frase di don Lorenzo Milani, che indica splendidamente la grande ingiustizia umana da cui guardarsi, perché la scelta preferenziale per i piccoli e per i deboli di questo straordinario prete ed educatore è stata così chiara e coinvolgente, che con il suo disarmato e disarmante aiuto possiamo capirci davvero e capire più a fondo i molteplici rischi che stiamo correndo tutti, cattolici e laici, militanti gay e paladini della famiglia cosiddetta tradizionale (a me piace dire naturale e costituzionale). Il primo di questi rischi è quello di dimenticarci dei figli (un rischio, a sua volta, dalle molte facce nell’Italia di oggi). O, meglio, di ricordarcene solo quando vengono ridotti a "bandiera", dichiarati un "diritto" di qualunque individuo che aspiri a farsi genitore o quando ci rendiamo conto che non sono più considerati persone da accogliere per ciò che sono, ma figure da "progettare" a misura dell’autoreferenziale felicità di moda e della dignità standard ammessa dai canoni di quel «pensiero dominante» che papa Francesco richiama spesso e che denuncia come impregnata dalla «cultura dello scarto».
Per procedere in questa infausta direzione, caro avvocato, le voci scomode vanno zittite. Il teppismo intimidatorio, come quello che lei ha subìto a Viareggio, è una brutale ed esecrabile conferma di ciò, ma le violenze dirette non sono il mezzo principale di questo tentativo. L’arma principale è quella di "rubare" le parole chiave – amore, dono, gioia… – a chi, come lei e come noi, continua ad affermare che siamo donne o uomini, esseri umani infinitamente diversi e originali e capaci di crescere e cambiare, ma non infinitamente cangianti nella nostra identità di base (secondo, appunto, lo schema del "gender"). Proprio così: vogliono rubarci le parole, e vogliono rendere "brutte" quelle che pensano di non poterci togliere. Credono di riuscirci facendoci adirare, spingendoci alla rissa e all’invettiva, costruendo caricature "crudeli" dei nostri argomenti. Ma i fatti sono tenaci, la realtà è resistente. E noi siamo tenuti a coltivare un ottimismo realista. Andiamo avanti con serenità, senza timori, con pacifica tenacia. Svegliamo chi dorme, teniamo desto chi è già sveglio. Non rassegniamoci all’incomprensione, allo scontro, alla deriva. (E auguriamoci che le forze dell’ordine, che rispettiamo, facciano sempre la loro parte coi violenti e i prevaricatori…).
MARCO TARQUINIO
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