Il 4 luglio Benedetto XVI, a Castelgandolfo, ha ricevuto due
lauree honoris causa.
A conferirgliele è stato il cardinale Stanislaw Dziwisz, già
segretario di Giovanni Paolo II e oggi arcivescovo di Cracovia. Il
dottorato honoris causa gli è stato assegnato dalla Pontificia Università
“Giovanni Paolo II” di Cracovia e dall’Accademia di Musica di Cracovia.
PASSAGGIO DELLA CROCE |
In questa circostanza dopo un lungo
silenzio il papa ha dette alcune cose: ha parlato del grande amico, il
pontefice polacco (“Senza di lui il mio cammino spirituale e teologico non è
neanche immaginabile”) e poi della musica che era l’oggetto del dottorato.
Papa Benedetto – pur nella brevità
del discorso – ha incantato (come al solito), e ha detto cose di vera attualità,
e ha dispiegato il mistero di bellezza
della musica.
AMORE, MORTE E DIO
Ha detto che sono specialmente tre i luoghi da cui la musica sgorga:
·
“l’esperienza dell’amore” che apre alla
creatura “una nuova grandezza e ampiezza della realtà”;
·
“l’esperienza della tristezza”, specie quando si viene toccati
“dalla morte e dal dolore”.
·
Infine il terzo luogo “è l’incontro con il divino”.
Osserva il papa:
“Forse è possibile affermare che in
realtà anche negli altri due ambiti – l’amore e la morte – il mistero divino ci
tocca e, in questo senso, è
l’essere toccati da Dio che complessivamente costituisce l’origine della musica
(…) Si può dire che la qualità della musica dipende dalla purezza e dalla
grandezza dell’incontro con il divino, con l’esperienza dell’amore e del
dolore. Quanto più pura e vera è quell’esperienza, tanto più pura e grande sarà
anche la musica che da essa nasce e si sviluppa”.
A questo punto Ratzinger ha messo il
dito su una piaga. Ha ricordato che con la riforma liturgica postconciliare è
riemerso l’“antichissimo contrasto” tra chi vuole la musica sacra nella
liturgia e chi privilegia la partecipazione attiva dei fedeli.
Benedetto XVI ha risolto il
conflitto genialmente, dicendo che proprio la liturgia celebrata da San
Giovanni Paolo II nei suoi tantissimi viaggi per il globo, davanti a miliardi
di esseri umani, ha mostrato “tutta l’ampiezza delle possibilità espressive
della fede nell’evento liturgico” e pure come la “grande musica della tradizione occidentale non sia
estranea alla liturgia, ma sia nata e cresciuta da essa”.
Il papa ha poi sottolineato
l’unicità cristiana (per tutti coloro che credono che tutte le religioni siano
uguali):
·
“Nell’ambito delle
più diverse culture e religioni” ha detto “è presente una grande letteratura,
una grande architettura, una grande pittura e grandi sculture. E ovunque c’è
anche la musica. E tuttavia in nessun altro ambito culturale c’è una musica di
grandezza pari a quella nata nell’ambito della fede cristiana: da Palestrina a
Bach, a Händel, sino a Mozart, Beethoven e Bruckner. La musica occidentale è
qualcosa di unico, che non ha eguali nelle altre culture. Questo ci deve far
pensare”.
Dopo questo accenno all’occidente ha
aggiunto (e fate attenzione alla drammaticità delle prime parole):
·
“Non conosciamo il futuro della nostra cultura
e della musica sacra. Ma una cosa è
chiara: dove realmente avviene l’incontro con il Dio vivente che in Cristo
viene verso di noi, lì nasce e cresce nuovamente anche la risposta, la cui
bellezza proviene dalla verità stessa”.
Ha concluso:
“Quella musica, per me, è una dimostrazione della verità del
cristianesimo. Laddove si sviluppa una risposta così, è
avvenuto l’incontro con la verità, con il vero creatore del mondo. Per questo la grande musica sacra è una
realtà di rango teologico e di significato permanente per la fede dell’intera
cristianità, anche se non è affatto necessario che essa venga
eseguita sempre e ovunque. D’altro canto è però anche chiaro che essa non può
scomparire dalla liturgia e che la sua presenza può essere un modo del tutto
speciale di partecipazione alla celebrazione sacra”.
Poche affascinanti parole, semplici,
ma potenti per intelligenza della realtà e genialità cattolica.
(da un articolo di A. Socci, Libero
5 luglio 2015)
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