«La mamma
sei tu lei è la portatrice. E sei tu che decidi tutto, anche se farla abortire.
La legge ha più volte stabilito che lei non ha alcun diritto». Qui un figlio
costa 135 mila euro
Prendere un
appuntamento per avere un figlio con una madre surrogata è facile. Sul sito
California Premium Surrogacy si clicca su «genitori intenzionali» e si compila
un modulo in cui si forniscono nome, cognome, email, accompagnati da un breve
messaggio. La risposta arriva entro poche ore. La mattina dopo ci presentiamo
alla Santa Monica Fertility Clinic nell’omonimo boulevard di questa cittadina
baciata dal sole dove ogni desiderio sembra a portata di mano.
«Buongiorno Monica sono Julie Webb,
la coordinatrice dei pazienti, sono contenta che tu sia venuta a trovarci
dall’Italia». Capello corto, viso acqua e sapone, abbigliamento casual, ci fa
fare il giro della clinica, un appartamento a pian terreno dall’aspetto modesto
ma confortevole: «La comodità — dice — è che facciamo tutto qui, dal pick up
degli ovuli della donatrice al transfer dell’embrione nell’utero della portatrice.
Voi non dovete preoccuparvi di nulla, pensa a tutto il dottor Jain. Se non
potete venire dall’Italia possiamo sentirci su Skype. Se al momento del parto
avete un impedimento andiamo in clinica io e l’avvocato per prenderci cura del
neonato».
Ma la mamma surrogata potrebbe
cambiare idea e tenersi il bambino? «La mamma sei tu — precisa Julie — lei è la
portatrice. E sei tu che decidi tutto, anche se farla abortire. La legge ha più
volte stabilito che lei non ha alcun diritto. Sarà scritto tutto nel contratto
che firmerete con l’avvocato. Una volta fatto l’accordo si va dal giudice e si
fa un atto di prenascita così è già chiaro che siete voi i genitori. Il bimbo,
se volete, avrà la cittadinanza americana». A 51 anni è impossibile pensare di
usare i propri ovuli, e così scorriamo insieme i profili delle donatrici di
ovuli.
Ce ne sono
di tutti i tipi: bionde, brune, ricce, lisce, nere, asiatiche, bianche. Nella
scheda sono segnate età, altezza, peso, colore degli occhi, scuole frequentate,
voti ottenuti, passioni e hobby. C’è persino la storia clinica della famiglia.
«Le nostre ragazze hanno fatto tutti i controlli medici possibili. Potete stare
tranquilli» dice la coordinatrice. Chiediamo consiglio sul profilo da scegliere
dal catalogo: «Dovrebbe essere una donna il più possibile vicina ai miei tratti
somatici, giusto?». Scuote la testa: «Dipende dai gusti. Ognuno fa come vuole.
Mi ricordo una paziente cinese che ha scelto ovuli di una donna bianca».
E quando nasce il bimbo cosa
succede? Potremo portarlo subito via? Dovrà stare con la surrogata qualche
giorno? «Decidi tu — spiega Julie — puoi stare nella stanza accanto e ti
portano il bambino. Se vuoi la surrogata si tira il latte e tu glielo dai col
biberon, i primi giorni fa bene al piccolo perché c’è il colostro e anche a lei
perché tirandosi il latte aiuta l’utero a tornare a dimensioni normali».
Quanto ci vuole per trovare la
surrogata giusta? «Dipende! Le nostre sono tutte della zona, facciamo uno
screening accuratissimo, andiamo a vedere dove vivono, come mangiano,
controlliamo la fedina penale e poi le sottoponiamo a screening psicologi.
Siamo molto, molto severi per evitare sorprese dopo. Solo il 10% delle domande
viene accettata». Ma perché lo fanno? «Beh è un gesto ben visto dalla società
perché è altruistico, per aiutare una coppia in difficoltà e poi chiaramente
per i soldi che per legge non devono servire a sopravvivere ma a stare meglio.
Una surrogata non può essere senza casa o dipendente dai sussidi dello Stato».
I tempi per la procedura non sono
biblici. Se accettiamo, a febbraio potremo fare il primo transfer e il bambino
potrebbe arrivare entro la fine del prossimo anno. «Io ho già una portatrice
ready to go — spiega Julie con un mezzo sorriso — che se dovessi fare io questo
percorso prenderei subito. È lesbica, molto coscienziosa ma non ansiosa.
Perfetta secondo me. È alla prima gravidanza surrogata ma ha già due figli
suoi. Tieni conto che le surrogate che l’hanno già fatto costano di più, vedi
qui sul catalogo c’è scritto premium vuol dire che sono le più gettonate. Molti
preferiscono una portatrice lesbica perché non ha rapporti sessuali con
penetrazione e in gravidanza è sempre meglio evitare».
Parliamo di soldi che sono in tre
tranche. Per la donazione di ovuli ci vogliono quasi 40mila dollari. Per la
madre surrogata si parte con 58mila cui si devono poi aggiungere altri 77mila
per un totale di 135mila dollari. La portatrice prende un compenso a ogni
passo: alla prima iniezione, al transfer, alla conferma del battito, per i
viaggi, per i vestiti e una paghetta mensile. In tutto nelle tasche della donna
entrano 40mila dollari. Il colloquio dura un’ora, non ci viene chiesto perché
facciamo questa scelta, né se abbiamo figli. Mentre ci accompagna alla porta
Julie sembra soddisfatta «Sono molto eccitata per voi che state iniziando
questo percorso».
Due minuti dopo arriva l’email con
la password per scegliere la donatrice di ovuli.
Dispiace,
ma davvero dispiace, che commentando questa foto non uno (e dico non uno) abbia
avuto una parola per lo sguardo perso della madre e per il dolore del bimbo che, appena venuto al mondo (come sa chiunque
abbia avuto figli) cerca solo il contatto con la madre e il suo seno.
La violenza a
suon di denari commessa contro quella donna e quel bimbo è priva di alcun
senso. Si mercifica la maternità, si umilia la donna, si rende un bimbo oggetto
di compravendita. Mi batterò tutta la vita per il diritto dei più deboli: qui,
la donna e il neonato. (Mario Adinolfi)
Bj Barone e Franckie
Nelson con Milo, nato da utero in affitto, fotografati da Lindsay Foster (DA
Ilfatto quotidiano, 5 luglio 2014)
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