Non è Giovanna d’Arco ma il rifiuto occidentale della religione
Contro la scelta psicologista di
rappresentarla come una pazza.
Giovanna D'Arco alla Scala |
Cos’applaudiva unanime
il pubblico alla prima della Scala? L’opera, certo, la direzione,
l’allestimento, gli acuti, la presenza scenica, sicuramente il luccicante
sfarzo e non ultimo il sollievo per essere scampati al pericolo di un
attentato. Soprattutto però applaudiva, stando al Corriere della Sera, una
“pulzella poco santa ma molto umana”, il “parto di fantasia di una ragazza
mitomane e allucinata”, una “vergine visionaria” che “sublima le nevrosi abbracciando la fede in modo integrale”; o
meglio “una giovinetta ottocentesca un po’ toccata”, secondo Repubblica, anzi una “fanciulla disturbata” da una “ordinaria
follia” che la portava allo “sprofondamento ossessivo in contorsioni emotive e
repressioni sessuali”; per la Stampa, senza mezzi termini, non solo il “delirio di una psicotica”, di una
“creatura nevrotica che oscilla fra depressione e follia”, ma anche la
rappresentazione plastica di “quanto pericolosa possa diventare la passione
religiosa che trascende nella sfera civile”, utile in un’epoca di “fanatismo
religioso”, nel nostro “nuovo medioevo”.
Ha un bello sgolarsi
chi cerca di associare la passione cristiana di Giovanna d’Arco alla vittoria
identitaria di Marine Le Pen; siamo di fronte, scrive il Giornale, a “una
Giovanna più pazza che santa”, a “incubi frutto di una mente malata”, insomma
alla “isteria di una donna” che richiama le “immaginazioni di un’isterica” di
cui l’Unità elogia lo sviluppo in una “sfera onirica e surreale”.
Sul tappeto rosso del
dopo-prima, la sfilata delle recensioni s’inchina alla drastica scelta dei
registi Moshe Leiser e Patrice Caurier che hanno trasferito il già vacillante
libretto di Temistocle Solera nella testa di una fanciulla del secolo
Diciannovesimo, malaticcia nonostante le forme sopranesche.
Non è Giovanna d’Arco
ma è convinta di esserlo, non combatte davvero per la Francia ma sogna di
farlo, non muore sulla pira come nella storia né in battaglia come nel libretto
bensì nella stanza in cui è confinata, consunta da un male interiore e
immaginario.
C’è un filo rosso che collega questa scelta
psicologista con la tendenza a derubricare come follia gli atti di terrorismo
islamico, ossia a ridurre scelte morali consapevoli e pubbliche – nel bene o
nel male – a espressioni di individualità strabordanti rimaste vittima di
traumi irrisolti.
I registi hanno voluto costringere la religione entro
la sfera della psicosi, del disturbo, della proiezione interiore frutto di un
padre vessatorio che compra una bambola-madonnina oppure (gran novità) di una
rutilante castità foriera di ossessioni, come già adombrato dall’opera di Verdi
il cui anticlericalismo seguiva la moda pecorona dell’Ottocento.
Mentre infuriano visioni e battaglie, il letto della folle resta sempre in
scena come la persistenza della psicologia nella nostra interpretazione
ombelicale di ogni evento. Nulla accade perché deve ma tutto è ombra di
qualcosa che ci portiamo dentro.
Allora diventa accettabile la qualsiasi interpretazione dell’eroismo di
Giovanna d’Arco – perfino quella fantasiosamente femminista della strana coppia
Carla Fracci (“una donna che ha difeso le donne”) e Patti Smith (“una donna che
ha vissuto la sua vita e non ha ceduto al compromesso”) – anzi, prostrandosi
all’altare della turba psicologica, nessuno si domanda neanche lontanamente se
possa suonare offensiva un’inaugurazione istituzionale, con tanto di inno di
Mameli, in cui si deride la santa patrona di una nazione confinante e per di
più sotto attacco.
Niente, il pubblico applaude ignaro che
troppa psicologia ci renderà indifesi e che il sogno, narratologicamente, è sempre la soluzione più facile per
cavarsela quando non si sa che pesci pigliare.
Nessuno si accorge che l’idea di
rinchiudere questa Giovanna d’Arco non in un consultorio di oggi ma in un letto
ottocentesco un po’ bohémien in realtà è stata geniale, rivelatrice: il nostro
essere refrattari alla religione oggettiva, che crediamo tanto moderno e
progressivo, è rimasto fermo a due secoli fa.
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