Quelle femministe che
boicottano Israele ma sono silenti sui crimini sessuali dell’Isis
La National Women’s Studies Association vota per il boicottaggio delle
colleghe israeliane e delle istituzioni dello stato ebraico. Ma si guarda bene
dal condannare le atrocità perpetrate sulle donne musulmane da Hamas, Isis,
Boko Haram, talebani
Se non ora quando,
verrebbe da chiedersi.
Quale nemico migliore dello Stato islamico da
condannare nella più grande assise di femministe del nord America, quell’Isis
che rapisce, vende e stupra le donne sotto il suo controllo, che le ingabbia
sotto il burqa e le usa come carne da cannone nelle operazioni suicide?
E se il califfo al
Baghdadi non scalda abbastanza la platea militante delle femministe, perché non
denunciare i crimini contro le donne nella teocrazia iraniana, dove sono
proibite le unghie lunghe, le gemme nei denti, i cappottini stretti, i foulard
che lasciano uscire lunghi ciuffi di capelli e gli stivali con i tacchi sopra
ai pantaloni?
Ovviamente no.
La National Women’s Studies Association ha scelto un
nemico ben più appagante e meno pericoloso: lo stato di Israele.
L’unico paese del
medio oriente dove le donne occupano una posizione di prestigio in politica,
nella cultura, nelle attività sociali, da Golda Meir a diversi premi Nobel fino
a Tzipi Livni, leader dell’opposizione.
E se si dovesse
varcare la linea del 1967 basta chiedere alle donne palestinesi se stiano
meglio a Ramallah o a Riad.
Eppure, le femministe
della National Women’s Studies Association hanno votato il boicottaggio delle
colleghe israeliane e delle istituzioni dello stato ebraico. Come ha detto la
professoressa Simona Sharoni a Inside Higher Ed, “il 90 per cento dei membri
della National Women’s Studies Association ha votato la risoluzione”.
“Il voto è un tradimento della realtà e delle donne,
specialmente delle donne che vivono sotto la sharia”, dice al Foglio Phyllis Chesler, settantenne madrina
del femminismo americano dall’alto delle milioni di copie vendute di “Le donne
e la pazzia”, caposaldo della letteratura femminista degli anni Settanta.
“L’associazione non condanna le atrocità perpetrate
sulle donne musulmane da Hamas, Isis, Boko Haram, talebani. Nulla sulla natura
pervasiva della mutilazione genitale femminile o il matrimonio infantile nel
mondo arabo-islamico. Nulla sul terribile destino delle donne che osano
scegliersi i mariti. Israele non è un
paradiso femminista, ma le donne si battono per i loro diritti e se le nostre
controparti femministe facessero lo stesso alla Mecca, Mogadiscio, Teheran,
Islamabad e Kabul, sarebbero incarcerate, stuprate, torturate, decapitate o
lapidate.
Le femministe hanno
scelto thanatos su eros, timorose delle
accuse di ‘razzismo’ e ‘islamofobia’. Sono codarde e conformiste nella loro
perfidia.
Ci sono femministe che trovano allucinante l’apartheid di genere dell’islam
ma hanno paura di dirlo e di perdere la
reputazione, gli amici, il lavoro”. E’ stato un imprenditore ebreo
canadese, Steve Maman, a salvare centinaia di ragazze yazide dalla schiavitù
sessuale dello Stato islamico. E’ il paradosso indicato da Phyllis Chesler: “Sono stati i cristiani, non le femministe,
a salvare queste ragazze dall’Isis”.
E’ il paradosso di femministe scatenate
contro l’oscurantismo cattolico sulla donna ma supine sulla soumission della
donna musulmana, teoriche dell’unisex
ma anche del velo islamico come “emancipazione”, boicottatrici
dell’“occupazione” di Israele che si inginocchiano, silenti, di fronte
all’occupazione dei corpi delle donne nel mondo arabo-islamico. Sono le
migliaia di yazide bionde segregate legate al letto del califfo a chiederlo
alla National Women’s Studies Association che boicotta Israele e non i crimini
islamisti: se non ora quando?
Non hanno scelto di dare in affitto il loro utero.
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