IL
RIANNUNCIO DEL CRISTIANESIMO:ROBI RONZA LEGGE IL LIBRO DI CARRON
Nell’ambito del processo di riannuncio
del cristianesimo al tramonto dell’età moderna, che iniziò con John Henry
Newman alla fine del secolo XIX, l’importanza di Luigi Giussani (clicca qui) e della sua opera sono un fatto
obiettivamente indiscutibile. Nella lettera che nel 2002 gli inviò in occasione
del 20° anniversario del riconoscimento pontificio della Fraternità di
Comunione e Liberazione, Giovanni Paolo
II aveva scritto a Luigi Giussani che il movimento da lui fondato sa indicare
«non una strada, ma la strada» all’incontro con Cristo: ha insomma
una specifica capacità di riannuncio del fatto cristiano tout court
nell’arduo contesto dell’epoca post-moderna in cui viviamo.
Già nel 1977, nel presentare la traduzione tedesca della prima edizione del
libro-intervista di Luigi Giussani (attualmente edito da Rizzoli, nella successiva edizione
accresciuta, col titolo Il Movimento di Comunione e Liberazione,
1954-1986), Hans Urs von Balthasar, figura di primo piano nella storia
della teologia e della filosofia del secolo XX, aveva scritto che «fra i movimenti ecclesiali dell’Europa di
oggi», Cl è «senza alcun dubbio quello che possiede die stärkeste spirituelle
Stosskraft, la più potente forza d’urto spirituale». Alla luce di questi
straordinari riconoscimenti diventa perciò quanto mai importante che Cl non si
perda per strada, e c’è sempre molto da fare per questo.
La campagna di disinformazione e di discredito di cui il movimento è così
spesso oggetto appare tuttavia così sproporzionata rispetto alle sue colpe da indurre a qualche
sospetto. Non lo si discute, come sarebbe
legittimo e anche positivo; lo si discredita e basta. Al discredito è stato
senza dubbio dato qualche pretesto, come venne a suo tempo anche autorevolmente
riconosciuto. Troppo spesso sembra però che si voglia cogliere al volo l’occasione per mettersi alle spalle un
annuncio cristiano testimoniato in forme che non consentono di liberarsene
semplicemente bollandolo come astratto o arcaico. La disinformazione invece
è senza scuse, anche se di certo non soltanto Luigi Giussani e Cl ne fanno le
spese. Essendo, infatti, il sistema massmediatico non solo italiano, ma
internazionale complessivamente orientato
contro l’esperienza religiosa in genere, e contro quella cristiana in
particolare, dell’intera Chiesa in ogni sua espressione esso dà di regola
un’immagine distorta.
Spaccia il fatto cristiano come un indifendibile retaggio oscuro del
passato che però può salvarsi se si trasforma in un sostegno
docile e bonaccione del lato “benevolo” della modernità. Il primo e
maggiore esempio di tale distorsione è l’eco
mediatica sempre filtrata e distorta del
magistero di papa Francesco.
In questo quadro, a che cosa mira La
bellezza disarmata, il saggio che Julián Carrón, successore di Luigi Giussani alla guida di
Cl, ha recentemente pubblicato? Se abbiamo capito bene mira da un lato,
scavalcando la nube dei pregiudizi e dei fraintendimenti che l’avvolgono, a riproporre all’opinione pubblica il
movimento di Cl per quello che è, ossia un luogo di riannuncio e di educazione
alla fede, e nient’affatto una semplice forza sociale né tanto meno una
forza politica. Dall’altro a sollecitare
i “ciellini” a riscoprire il proprium della visione e del metodo che
caratterizzano il movimento.
Sacerdote e teologo, Julián Carrón è, per indicazione dello stesso Luigi
Giussani, il suo primo successore alla guida di Comunione e Liberazione. Ipso facto chi succede a
un fondatore non è fondatore egli stesso. Pur se condivide con tutto il cuore
l’opera che è chiamato a continuare, per definizione non può ereditare quella
che si potrebbe definire l’autorevolezza specifica del fondatore. A lui è
tuttavia più vicino di chiunque altro: perciò può accadere che ci si aspetti
dal primo successore quanto poi non ci si attenderà da quelli che lo
seguiranno. Il suo è perciò inevitabilmente un compito tanto impegnativo quanto
per certi versi drammatico. Studioso e autore, Carrón, succeduto a Luigi
Giussani alla sua morte nel 2005, in questi dieci anni ha predicato, ha preso
la parola in convegni e congressi, ha scritto articoli, ha rilasciato
interviste, ma non ha pubblicato libri.
La bellezza disarmata, su cui ci soffermiamo qui dopo esserci presi il tempo che ci è stato
necessario per leggerlo e
studiarlo attentamente, è dunque la prima eco sistematica di questi suoi dieci
anni alla guida di Comunione e Liberazione. Pubblicato da Rizzoli nello scorso
settembre, il libro, quasi 340 pagine di testo, prende le mosse da un certo
numero di lezioni e di altri interventi indicati in calce come fonti, ma non è
una semplice raccolta di scritti d’occasione. In particolare per ciò che
concerne le prime due delle quattro parti in cui si articola, lo si può ben
considerare un testo ex novo. Beninteso, La bellezza disarmata non
è di certo una… comunicazione interna. Come nella prefazione scrive Javier
Prades, rettore dell’Università San Damaso di Madrid, con questa sua opera
Carrón mira a dare il contributo di una sua risposta alla domanda: «che cosa sta accadendo agli europei? E, in
particolare, che cosa sta accadendo ai cristiani europei?»; una risposta
insomma alla crisi dell’Europa che, per il ruolo culturale centrale che il
nostro continente conserva anche nel mondo globalizzato di oggi, si riflette
poi ovunque.
Sulla base degli scritti e della sua personale memoria di Luigi Giussani,
che egli cita largamente, e anche sulla scorta di interventi di altri tra cui in primo luogo l’allora
cardinale Joseph Ratzinger, Julián Carrón inizia osservando che nel nostro tempo è giunta al diapason la
crisi che Giussani aveva così acutamente preconizzato. Di qui il crollo di
quei valori che l’Illuminismo aveva creduto di poter far vivere anche
staccandoli dalla loro radice cristiana e quindi la perdita di fondamenti che è
ora urgente ricuperare.
Da dove allora
ripartire per «riguadagnare i fondamenti» che, osserva Carrón «è l’urgenza
più grande che abbiamo»? Dal cuore, nel
senso biblico della parola, camminando nella libertà e fidando nella ragione
aperta al mistero, lungo una via che conduce alla «bellezza disarmata» che dà
titolo al libro. In tale prospettiva il capitolo 2 della prima parte
consiste in un interessante excursus sul rapporto tra verità e libertà. Un
rapporto che nella Chiesa si è infine chiarito con il Concilio Vaticano II a
conclusione di un lungo cammino.
Al cuore dell’uomo i cristiani devono innanzitutto e tipicamente offrire
quanto hanno di meglio,ossia la novità di Cristo: tra i
punti-chiave del libro questo ha suscitato particolare attenzione e merita
qualche chiarimento. É stato detto che in tale prospettiva Cl, già nota per la
sua forte presenza nella vita pubblica del nostro Paese, imbocca la strada di
quella “scelta religiosa” che a suo tempo aveva così criticato. Se da qualche
parte ciò accade è per un fraintendimento. Non è, infatti, ciò che risulta
dalla lettura del libro dove (cfr. pag. 19-29) si critica una «battaglia per la difesa dei valori divenuta nel tempo
così prioritaria da risultare più importante rispetto alla comunicazione della
novità di Cristo», ma nello stesso tempo si afferma che l’alternativa non
risiede «in una fuga spiritualistica dal mondo. La vera alternativa è piuttosto
la comunità cristiana non svuotata del suo spessore storico (…)».
Non vi si ritrova nemmeno la presunta “scomunica” dell’impegno politico di
cui spesso si sente parlare. Infatti, «Chi è impegnato sulla scena pubblica, in campo culturale
o politico, ha il dovere, da cristiano, di opporsi alla deriva antropologica
odierna». Viene però ribadito un criterio da sempre affermato, ma non sempre
applicato con il dovuto rigore: quello secondo cui chi è impegnato sulla scena
pubblica «non può coinvolgere tutta la Chiesa in quanto tale». E ciò in primo
luogo per un motivo sostanziale: perché «la Chiesa ha l’obbligo, oggi, di
incontrare tutti gli uomini, indipendentemente dalla loro ideologia o
appartenenza politica». «L’impegno dei cristiani in politica dove si decide del
bene comune degli uomini rimane necessario (…) Oggi più che mai è importante. Senza mai dimenticare che nelle circostanze
attuali tale impegno assume (…) prevalentemente un valore critico e di
contenimento, entro i limiti del possibile, degli effetti negativi delle pure
procedure e della mentalità che ne è causa».
Non si può però presumere che dall’impegno pubblico «possa meccanicamente
sorgere il rinnovamento ideale e spirituale della
città degli uomini. Questo nasce da “ciò
che viene prima”, che primerea, da un’umanità nuova generata dall’amore a
Cristo, dall’amore di Cristo». Da tale richiamo – su cui peraltro nessun
cristiano consapevole non può che essere d’accordo -- non deriva affatto un
invito alla gente di Cl a ritirarsi dalla vita pubblica, ponendo termine
a un’attenzione che già Giovanni Paolo II aveva apprezzato nella lettera citata
più sopra, quanto piuttosto un suo ripensamento comunque indispensabile oggi,
in un contesto storico così diverso da quello in cui aveva avuto inizio, ossia
all’epoca della Guerra fredda.
Il cuore del problema messo a tema nel libro non è ad ogni modo quello, pur
cruciale, cui abbiamo accennato più sopra.
Si tratta piuttosto della crisi
antropologica che travaglia il tempo in cui viviamo. Un elemento caratterizzante di tale
crisi è il «crollo delle evidenze» che Luigi Giussani già denunciava negli anni
’80 del secolo scorso e che, come scriveva il cardinale Ratzinger nel 1998,
«nel frattempo è diventato un fatto compiuto». Ciò cui siamo di fronte non è
insomma solo un problema di fede e nemmeno solo un problema etico. Siamo appunto di fronte a una crisi
dell’umano in quanto tale. Oggi occorre perciò innanzitutto, come Benedetto
XVI ebbe a dire nel 2009 rispondendo a domande dei parroci romani,«suscitare il
senso della realtà di cui si vuole parlare». Questa, osserva Carrón, «è la
grande sfida davanti alla quale si trova l’Europa (…) la riduzione dell’uomo,
il suo accantonamento, la mancanza di coscienza di che cosa egli sia, di quale
sia la natura del suo desiderio»
.
Di fronte a tale stato di cose è possibile risvegliare il soggetto perché
possa essere veramente se stesso liberandosi così «dalla dittatura dei propri piccoli desideri e da
tutte le false risposte?». «Per far fronte alle sfide attuali», dice Carrón
riandando a Giussani, «deve accadere
qualcosa che ridesti tutto l’io, così che esso possa ricominciare a
guardare le cose con sufficiente chiarezza e aderire a ciò che di nuovo
riconosce come evidente». Se non
comunicheremo, vivendolo, quell’essenziale che solo è capace di attrarre e
promuovere l’io non potremo rispondere, né dare un contributo reale al
superamento della «situazione di debolezza e di vuoto in cui si trova gettato
l’uomo di oggi».
Come il cristianesimo può continuare a venire riproposto in una tale
situazione è tema della seconda parte del libro, intitolata “Un avvenimento per rinascere”. Il
cristianesimo è un fatto, un avvenimento, non una dottrina. Quindi lo si
comunica vivendolo, e non presentandolo e difendendolo come se fosse
sostanzialmente un codice etico, una piattaforma di valori. Come lo stesso
Benedetto XVI scrive nella sua enciclica Deus Caritas est,
«All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande
idea, bensì l’incontro con un avvenimento,
con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione
decisiva». L’accento sull’incontro ricorre un po’ in tutto il volume. Lo
ritrova ad esempio alle pagine 23,27,67,207,252. È uno dei suoi leit
motiv.
Ciò chiarito, osserviamo noi, resta da fare i conti con gli irrigidimenti,
gli schematismi, le incomprensioni che nel concreto della condizione umana
inevitabilmente caratterizzano un esodo così complesso dalla mentalità dominante con la sua tipica, radicata separazione tra
le idee e la realtà delle cose. Una mentalità dominante che, proprio perché
tale, non si ferma di certo alle porte di un’esperienza di Chiesa, ma vi
serpeggia in ogni direzione. Per liberarsene, insomma, accorre perciò una bella
carica di umiltà e di fraternità reciproca accompagnata dall’invocazione di un
aiuto che non può venire da noi. Nella logica dell’incontro come modo primario
di comunicazione dell’annuncio cristiano nonché della testimonianza come
compito fondamentale dei cristiani in una società plurale c’è poi da mettersi
in cammino stando bene attenti a non diventare gnostici per difendersi dal
rischio di diventare pelagiani, e a non diventare catari per difendersi dal
rischio di diventare gnostici.
Si tratta di ripartire dalla propria esperienza, da se stessi in azione per
domandarsi non tanto «Che cosa devo fare?», ma da «Io chi sono?
Che cosa sono?». Sulla base di
un’esperienza e di una riflessione tipicamente ispirate a Giussani, a Benedetto
XVI e ad altri maestri, nella seconda parte del libro l’autore delinea
l’itinerario che ne consegue e che «un allargamento del nostro concetto di
ragione» rende possibile. Un allargamento che implica appunto il non facile
venir meno di quella separazione tra la ragione e la realtà dei fatti su cui il
pensiero moderno si fonda; e che l’ordine costituito del potere, culturale
prima che politico, impone con forza. «Il
reale continua inesorabilmente a venirci incontro destando in noi stupore, cioè
curiosità e desiderio»: occorre quindi non cessare di lasciarsi interrogare
dalla realtà. É per questa via che si può andare oltre la debolezza della
coscienza indotta dalla crisi dell’umano di cui si diceva.
La bellezza disarmata continua poi con una terza e quarta parte rispettivamente dedicate
l’una, dal titolo “Emergenza educativa”,
al problema dell’educazione e della scuola e l’altra, dal titolo “Un
protagonista nuovo sulla scena del mondo”, a specifici temi (la famiglia,
l’impresa, il ruolo della Compagnia delle Opere e altro) lo sviluppo dei quali
è tra l’altro spunto per ritornare sulle questioni fondamentali che sono a tema
delle prime due parti.
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