| 16 Dicembre 2015
Alla celeberrima domanda
di Papa Francesco stanno rispondendo in tanti, in questi giorni: tutti pronti a
giudicare malissimo, e senza appello, i gay. Però stavolta contro questi
giudizi malevoli e sprezzanti non si alza nessuna voce, nessuno Scalfarotto che
protesti, nessun Vecchioni che si schieri. Il punto è che, nel caso di cui
parliamo, si tratta di omosessuali che
non appartengono alle lobby che si
sono autoproclamate rappresentanti di tutte le persone omosessuali, che
cercano, con arroganza, di intimidire, in nome della propria diversità,
chiunque sia diverso da loro.
Accade semplicemente che
non tutte le persone omosessuali siano entusiaste dei vari Arcigay e Casseri e
circoli Mieli che proliferano nel paese: c’è
chi addirittura vorrebbe, come omosessuale, vivere da cristiano, proprio
come dice Papa Francesco, che nella sua frase – riportata per intero –
affermava: “Ma si deve distinguere il
fatto che una persona è gay dal fatto di fare una lobby. Se è lobby, non tutte
sono buone. Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi
sono io per giudicarla? Il catechismo della Chiesa cattolica dice che queste
persone non devono essere discriminate ma accolte”. Ecco, è successo che –
udite udite – alcuni preti, e addirittura qualche vescovo, abbiano fatto
propria l’indicazione di Papa Francesco, ed abbiano accolto persone omosessuali
che si sono rivolte a loro, perché vogliono vivere da cristiani.
Una decisione personale
e privata, di singoli cittadini che valutano e scelgono liberamente;
spieghiamo, per essere sicuri di essere compresi da tutti, che si tratta di persone omosessuali che
vogliono esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione, e che,
invece di sfilare in piazza con piume e paillettes, far celebrare il proprio
matrimonio dal sindaco Marino, o andare in Ucraina per diventare padri
ricorrendo all’utero in affitto, preferiscono
ritrovarsi insieme per parlare e pregare, e per fare questo preferiscono
addirittura rivolgersi a un prete cattolico piuttosto che ai dirigenti di
Arcigay.
BOSCH, le delizie dell'inferno |
Questa faccenda risulta
intollerabile ai sedicenti paladini dei diritti civili e ai democratici
sostenitori delle libertà di alcuni (ma non di tutti). Un giornalista dell’Espresso si è quindi intrufolato sotto falsa
identità in uno di questi gruppi (gemmati dall’associazione americana
“Courage”), e ha pubblicato un articolo sullo svolgimento degli incontri,
dimostrando per l’ennesima volta – se ancora ce ne fosse bisogno – la palese
inutilità dell’esistenza di quella istituzione chiamata Garante della privacy.
Il giornalista-infiltrato usa toni sprezzanti e
offensivi, che descrivono il gruppo come “un mix di fanatismo, auto-punizione e
tecniche mutuate dai gruppi di alcolisti”, e che vanno inevitabilmente a
colpire le persone omosessuali che a questi incontri partecipano per decisione
libera e volontaria: sono descritti come persone plagiate, confuse,
sostanzialmente inconsapevoli di quel che sta loro succedendo, persone la cui
libera scelta non vale quanto la libera scelta altrui, perchè “sfidando il
buonsenso e facendo leva sul proprio credo, i partecipanti si sottomettono con
pignoleria alle indicazioni della congregazione per la dottrina della fede”.
Un manipolo di
sprovveduti, insomma, questi omosessuali cristiani, pronti a farsi turlupinare
da preti retrogradi e ovviamente sessuofobici. Vuoi mettere il coming out del
fighissimo ex Mons. Charamsa, che chiaramente il giornalista propone come
contraltare – nel senso letterale del termine. Ad andarci di mezzo è stato anche il vescovo di Reggio Emilia, Mons.
Camisasca, chiamato in causa perché uno dei gruppi dell’associazione
incriminata si trova nella sua città.
“Il vescovo - si legge
in una nota della diocesi - conosce la realtà di Courage da un anno perchè
alcuni uomini con orientamento verso persone dello stesso sesso, si sono a lui
rivolti per essere aiutati a vivere nella preghiera, nella meditazione della
sacra scrittura e nella castità. ". Courage,
aggiunge Camisasca, "non intende essere una terapia riparativa e non
chiede a nessuno di aderire a tali terapie. È un aiuto a vivere secondo quanto
espresso dal catechismo della chiesa cattolica e dalla tradizione della
chiesa". Le reazioni di alcune associazioni gay locali, come “La
Gioconda” di Reggio, sono quelle che ci si aspetta, con l’accusa al vescovo di “trascinare la nostra città in pensieri cupi e
malati”.
Per le persone
omosessuali così violentemente intimidite, per la loro sensibilità, non c’è un
pensiero, come non c’è una parola di dubbio sul trattamento che è stato loro
riservato. E’ solo il vescovo che se ne preoccupa, sottolineando che
"addolora che libere persone che si trovano a pregare siano violate così
pesantemente nella loro privacy di cittadini italiani". Suona sempre più
forte l’allarme per la libertà di parola, di pensiero e di associazione nel
nostro paese, con un’ultima domanda: con la legge Scalfarotto (approvata alla
Camera ma per ora incagliata al Senato), gli omosessuali che si ritrovano in
queste associazioni, sarebbero puniti come omofobi?
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