Intervista a Rémi Brague
Lo storico
francese Rémi Brague, considerato fra i più grandi pensatori contemporanei, ha
rilasciato un’intervista alla rivista Famille Chrétienne dopo
l’attentato di Nizza. Il filosofo sottolinea il problema dell’islam (e
dell’islamismo) e spiega come affrontare il nemico che sta colpendo l’Europa in
modo cristiano, cioè senza odiarlo. Sull’attitudine di politici e
intellettuali a non chiamare le cose con il loro nome, preferendo parlare di
generico terrorismo e non terrorismo islamico, ad esempio, afferma:
«La paura di nominare
il nemico è antica. Chi, prima della caduta del muro, osava nominare il
marxismo-leninismo o l’Unione Sovietica? Si preferiva parlare vagamente di
“ideologie”. E gli uomini di Chiesa non sono stati da meno nell’applicare
questa strategia evasiva. Il plurale è un escamotage conveniente. Utilizzato
ancora oggi, come quando si parla di “religioni”. Allo stesso modo si
preferisce usare l’acronimo Daesh, che include solo i termini arabi, piuttosto
che usare il termine “Stato islamico”, in modo da evitare di nominare l’islam».
E sulla
necessità di non fare di tutta l’erba una fascio, accusando l’islam di essere
terrorista, spiega:
«La vera linea di demarcazione non è tra
islam e islamismo. Tra questi due non c’è che una differenza di grado, ma non
di natura. Ciò che bisogna veramente e fermamente distinguere è da una parte
l’islam, con tutte le sue sfumature e le sue intensità, e dall’altra i
musulmani in carne e ossa. (…) Non bisogna ridurre queste persone concrete al
sistema religioso che domina i loro paesi d’origine».
Poi, più che
sulla violenza, si sofferma sullo scopo della violenza dei jihadisti:
«Non dimentichiamo che la violenza è prima
di tutto un mezzo e che noi dobbiamo chiederci quale sia lo scopo. Questo scopo
è l’istituzione, in tutto il mondo, di una legislazione che altro non è che una
forma di sharia, in grado di governare la morale individuale e il comportamento
in famiglia, l’economia e infine il sistema politico. Siamo affascinati da
aspetti spettacolari degli attentati, dalle decapitazioni messe in scena dallo
Stato islamico con grande attenzione e bravura. Ma tutto questo ci distrae dal
vero problema, che è quello dello scopo. Il quale può essere ottenuto con altri
mezzi, più discreti, ma altrettanto efficaci, come il senso di colpa
dell’avversario, la pressione sociale, la propaganda ripetuta senza fine, tutte
forme di un inganno».
Infine, il
filosofo Brague spiega davvero che cosa significa perdono cristiano in
relazione agli attentati terroristi:
«Molte persone pensano che il perdono
delle offese, e anche quella richiesta incredibilmente paradossale di Cristo
che è l’amore per i nemici, significhi rifiutare di ammettere che abbiamo dei
nemici. Al di fuori di questa prospettiva cristiana del perdono e dell’amore
per il nemico, l’avversario può solo divenire l’equivalente del male assoluto
(…). Il perdono dei nemici non è mai controproducente. Quello che certamente
produce è la conversione del nostro cuore, il rifiuto di lasciarci trascinare
nella spirale della vendetta, nell’estremizzazione della violenza. Colui che è
pronto a perdonare si chiederà se chi dice di essere suo nemico non abbia anche
qualche ragione di esserlo. Si sforzerà di correggersi, senza sensi di colpa. E
combatterà, perché bisogna combattere, e lo farà anche con coraggio. Ma senza
odio».
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